Non sembrano dover migliorare a breve le condizioni di vita degli oltre 400mila rifugiati palestinesi nei campi profughi libanesi. La legge sul lavoro, approvata dal parlamento di Beirut nell’agosto del 2010 e mai applicata, si scontra oggi con un nuovo stop. A bloccare gli emendamenti alla normativa sull’impiego è il ministro del Lavoro, Salim Jreissati.
Secondo Jreissati, le modifiche previste dal suo predecessore peggiorerebbero le condizioni lavorative della popolazione palestinese invece di migliorarle. Una conclusione a cui il ministro è giunto dopo consultazioni con l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che gestisce i dodici campi profughi palestinesi in Libano, ma che appare una mera giustificazione per mantenere le comunità palestinesi ai margini della società.
La marginalizzazione della popolazione palestinese in Libano. Una comunità numerosa: secondo i dati ufficiali dell’Unrwa si parla di 400mila profughi (il 10% dell’intera popolazione residente in Libano), a cui se ne aggiungerebbero molti altri “non ufficiali”, perché non registrati presso l’agenzia Onu. Dal 1948, anno della Nakba, la deportazione di 750mila palestinesi dalle proprie terre per mano del neonato Stato di Israele, il Libano – dove all’epoca furono costretti a rifugiarsi circa 100mila palestinesi – ha considerato la popolazione palestinese un serio problema d’identità nazionale, una minaccia al delicato equilibrio politico interno.
La loro naturalizzazione nella società libanese non si è mai concretizzata, a causa di politiche volte a mantenere i campi profughi al di fuori del sistema. I governi libanesi hanno assunto nel tempo misure e normative restrittive, nell’obiettivo di non permettere il facile ingresso dei rifugiati palestinesi nel mercato del lavoro e di non garantire loro l’accesso ai diritti di proprietà di terre e immobili. Con l’effetto di trasformare i campi profughi nel terreno di coltura della resistenza palestinese all’estero: l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha trovato forze vitali nei campi libanesi, spesso target sia delle forze libanesi che di quelle israeliane.
In breve tempo, i rifugiati palestinesi in Libano sono rimasti invischiati in condizioni di vita pessime, privati dei basilari diritti economici e sociali, chiusi in campi-ghetto considerati i peggiori dell’intero Medio Oriente. A determinare tale situazione sono state le stesse politiche implementate da Beirut, volte ad evitare la naturalizzazione della popolazione palestinese e influenzate dal debole equilibrio religioso libanese: quattro milioni di persone divise in 18 diversi gruppi religiosi. Una situazione nella quale la comunità palestinese è considerata quasi uno Stato nello Stato.
Le restrizioni al lavoro: lo stop del Ministero. Il tentativo di miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei rifugiati palestinesi, avviato nell’agosto 2010 dal parlamento libanese e voluto dall’allora premier Saad Hariri, è naufragato tra ritardi e decisioni politiche. Niente è cambiato nella realtà dei fatti: le restrizioni al movimento, necessario ad uscire dai campi profughi per lavorare, non sono mai state ammorbidite.
Secondo gli emendamenti approvati nel 2010, i palestinesi avrebbero potuto ottenere con più facilità permessi di lavoro fuori dai campi profughi (permettendo l’accesso ai lavori attualmente aperti a cittadini stranieri) e accedere alle assicurazioni sanitarie contro gli infortuni, alle pensioni e ad altri benefici sociali. La legge non toccava però la cosiddetta lista nera del lavoro palestinese: determinate professioni (medico, avvocato, ingegnere) sono rimaste non accessibili.
Ma la normativa, mai applicata, incontra oggi un nuovo stop. Il ministro del Lavoro Jreissati ha definito gli emendamenti un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro per la popolazione palestinese. “Non implementeremo la legge”, ha detto il ministro all’agenzia stampa Al-Akhbar. Secondo Jreissati, che occupa la poltrona al ministero del Lavoro da febbraio, la legge sarebbe nulla perché priva dell’approvazione sia del Consiglio di Stato che del Ministero stesso.
Jreissati ha giustificato la sua presa di posizione con le analisi della situazione che gli avrebbero fornito l’Unrwa e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo): dai meeting avuti con le due agenzie, gli emendamenti alla legge sul lavoro sarebbe risultati dannosi per gli stessi rifugiati palestinesi. Secondo il ministro, infatti, si verrebbe a creare un nuovo fondo di sostegno alla popolazione palestinese, che perderebbe così quello fornito finora dall’Unrwa e che garantisce l’accesso alle cure mediche.
“Meglio mantenere lo status quo”, la conclusione del ministro che forse non considera le attuali condizioni di vita nei campi profughi: case costruite una sull’altra, mancanza di sistemi fognari, impossibilità di accesso al sistema dei benefici sociali, un tasso di disoccupazione alle stelle (il 70% dei giovani palestinesi non ha un lavoro e il 90% della popolazione vive grazie alle rimesse dall’estero). Infine i dati dell’Unrwa: il 65% dei profughi palestinesi vive sotto la soglia di povertà, il 7% in miseria estrema
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