Nell`ultimo mese l`esercito siriano ha abbandonato le postazioni nel nord del Paese, lasciando de facto il controllo ai curdi. Una minoranza di due milioni di persone su un totale di 23, fortemente discriminata dal regime di Bashar Al Assad, che si sta riorganizzando per far valere i propri diritti. E che potrebbe giocare un ruolo determinante negli sviluppi della crisi siriana. Sventolando la bandiera del Kurdistan alle manifestazioni anti-regime, i Curdi rivendicano la propria identità. Ma prendono anche le distanze dai ribelli, supportati dalla Turchia. Tra i due litiganti, il terzo gode.
A partire da metà luglio, Assad ha ritirato gran parte dei suoi soldati dal nord, dove secondo un reportage dell`agenzia stampa Associated Press (AP) i ribelli curdi hanno preso il controllo di checkpoints e issato la bandiera curda, esercitando un livello di autonomia mai visto prima. Alcuni contadini hanno raccontato all’AP che il mese scorso i soldati siriani hanno semplicemente abbandonato diverse città e villaggi alla frontiera con la Turchia – quali Qamishli, Amouda, Dirbasiyeh, al-Malkia – e sono stati subito rimpiazzati da ribelli curdi del Partito dell’Unione Democratica (PYD).
Al confine settentrionale si gioca un partita importante tra regime siriano e governo di Ankara, divenuto uno dei maggiori nemici di Assad e sostenitore dei ribelli anti-regime. Damasco ha lasciato spazio ai Curdi – 40% della popolazione nel nord-est della Siria – per poter concentrare gli sforzi militari su Aleppo e Damasco, ma anche per mandare un segnale di avvertimento al vicino settentrionale. Che da parte sua accusa da mesi Assad di appoggiare il movimento curdo siriano PYD, affiliato al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), spina nel fianco di Ankara.
I Curdi – un´etnia indoeuropea originaria dell`Asia – sono circa 30 milioni, suddivisi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria in virtù dell´accordo segreto di Sykes-Picot firmato dai poteri coloniali nel 1916 per smantellare l`Impero Ottomano . “Tanti dei problemi dell`odierno Medio Oriente sono da ricondurre al colonialismo” – analizza il professore Fawaz Gerges della London School of Economics intervistato dall’emittente BBC – “Le frontiere nazionali non corrispondono alle diverse comunità esistenti(…) Le rivolte arabe hanno dimostrato la fragilità del sistema coloniale imposto nella regione”.
Dopo decenni di lotte e discriminazioni sotto i rispettivi regimi, i Curdi stanno guadagnando peso sulla bilancia siriana, rischiando di diventare un elemento importante anche negli equilibri regionali. “Ora c´è la possibilità di ottenere una maggiore autonomia e rispetto per i diritti dei Curdi”- continua Gerges – “ Stanno gettando le basi per una regione autonoma come la loro controparte irachena (autonoma dal 1991, nrd). E´ una situazione da sogno per loro.”
Per decenni la più consistente minoranza etnica della Siria è stata oggetto di discriminazioni da parte di Assad, che vietava l`insegnamento della lingua curda e negava i diritti di cittadinanza. Con lo scoppiare delle rivolte, sia regime che gruppi di opposizione si sono adoperati per ottenere l’appoggio delle minoranze, potenziale ago della bilancia nel rapporto di forze interno. Secondo l`agenzia Associated Press, sin dall`inizio dei disordini, il regime ha elargito la cittadinanza a 200 000 Curdi prima registrati come “stranieri” e ha limitato l´uso della forza per spegnere le proteste nelle regioni curde.
Se è vero che i curdi partecipano a manifestazioni anti-regime, i ribelli non sono però riusciti a tirarli dalla loro parte. Tanto che i partiti curdi hanno boicottato l`incontro dei gruppi di opposizione indetto lo scorso 3 luglio al Cairo, sotto l’egida della Lega Araba. Sull’Agenzia stampa curda irachena AK News, il capo del dipartimento Affari internazionali del Consiglio Nazionale Curdo in Siria (KNCS) Abdul-Kareem Bashar, fa sapere che la conferenza aveva fallito l´obiettivo di unificare i diversi gruppi di opposizione. Il suo collega Abdel Aziz Othman – citato dal portale Kurd Net – gli fa eco: “I Curdi si sono ritirati dalla conferenza perchè i gruppi di opposizione rifiutano di riconoscerli come nazione. Questo non è giusto e noi non accetteremo più di essere marginalizzati”.
Consci del proprio peso regionale, i Curdi siriani stanno intanto intensificando i rapporti con i movimenti Curdi nei Paesi limitrofi. Dopo aver mediato tra il PYD e il Consiglio Nazionale Curdo – maggiore rappresentanza curda – per il controllo congiunto delle zone abbandonate dall’esercito siriano, il presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno Massoud Barzani ha confermato all’AP che i ribelli curdi siriani sono stati addestrati in Iraq, ma non per prendere parte agli scontri in Siria.
A smorzare gli entusiasmi per il controllo esercitato dal PYD al nord, arriva una dichiarazione di un avvocato e attivista curdo della città siriana Qamishli, Mustafa Osso, intervistato dall’AP: i media esagerano sull’ottenuta autonomia dei Curdi, e l’esercito siriano potrebbe riprendere il controllo in ogni istante. “Ciò che è certo, è che non si tornerà più alla stessa era di insubordinazione e di oppressione”- assicura poi. Più che all’indipendenza, i Curdi aspirano ad una maggiore autonomia all’interno dello Stato siriano. Una cosa di cui – comunque andranno le cose – chi sarà al potere in Siria dovrà tenere conto.