Stupri in India: alle radici di un dramma culturale

Le donne subiscono violenze ovunque nel mondo ma abusi e omicidi efferati nel Paese di Gandhi non sono casi isolati. L'indignazione del Nobel Amartya Sen [Sunny Hundal]

Stupri in India: alle radici di un dramma culturale
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6 Gennaio 2013 - 10.33


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di Sunny Hundal

Pochi giorni prima dell’arrivo del 2013, un rapper del Punjab di nome Honey Singh è stato coinvolto in una controversia: un suo concerto a Delhi, dove avrebbe dovuto esibirsi, è stato cancellato in seguito a una campagna online contro di lui. Non vi sono dubbi sul fatto che i suoi testi, nei quali parla esplicitamente di eiaculazione, siano offensivi; molti di essi, nonostante Singh adesso neghi che si tratti di sue canzoni, evocano brutali fantasticherie di stupro. Ma l’indignazione è montata anche per un altro motivo: come è stato possibile che un uomo associato a tali canzoni sia diventato così famoso? E come mai l’industria di Bollywood l’ha ingaggiato come autore di testi più pagato?

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La maggior parte degli indiani reagiscono con sdegno alle accuse, mosse alla cultura indiana, secondo le quali le donne sarebbero discriminate. In realtà, sostengono, l’India esalta le virtù della femminilità e il ruolo delle donne nella società; pone la donna su un piedistallo e addirittura si spinge oltre, descrivendo la natura e il mondo in cui viviamo come «madre terra» o ancora «madre India». Il popolo indiano ha eletto un primo ministro donna, Indira Gandhi, già nel 1966, e vanta molte figure femminili di spicco: ministre, filosofe, studiose, star dello sport e scrittrici. Durante una festività indiana molto famosa, il Rakhi, i fratelli promettono solennemente di proteggere le loro sorelle per tutta la vita. La mitologia hindu, predominante nella cultura indiana, è zeppa di storie di re che muovono i cieli e la terra per salvare damigelle in pericolo. Ma questi simboli non fanno che fornire un’opportuna facciata dietro la quale si cela l’endemica violenza radicata nella società indiana. Sono parte della grossa menzogna secondo la quale le donne in India non se la passano così male solo perché vengono venerate. In realtà è vero il contrario. Nella cultura tradizionale indiana le ragazze vengono date in matrimonio per essere buone mogli, non per essere donne indipendenti con le loro carriere. I valori della tradizione dicono che le donne non sono importanti di per se stesse, ma in quanto produttrici di bambini e custodi della cultura locale.

Una tale mentalità spinge le famiglie a considerare le donne come oggetti che devono rimanere puri e ben controllati: le donne sono di proprietà del padre e poi del marito. I genitori si preoccupano a tal punto di non perdere la faccia nella comunità di appartenenza, che mentre i ragazzi godono di tutta la libertà che vogliono, le ragazze sono costantemente avvisate di non fare niente che potrebbe arrecare vergogna. Questa mentalità spiega come mai molte di loro vengano forzate al matrimonio o addirittura uccise dai parenti. Ciò porta anche ai comportamenti delle madri che giustificano i crimini dei figli dicendo: «Se le ragazze se ne vanno in giro così liberamente, è ovvio che i ragazzi poi facciano degli errori».

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Nei film di Bollywood gli uomini inseguono e molestano le donne molto frequentemente. Come puntualizzato da Swaminathan S Anklesaria Aiyar sul Times of India, l’attore indiano Ranjeet ha girato oltre un centinaio di scene di stupro, «con il pubblico sempre inneggiante». Il messaggio che viene dall’industria cinematografica di Bollywood è che, se insisti con una donna quanto basta, «non importa quante volte lei dirà di no: alla fine dirà sicuramente di sì».

I recenti stupri e assassini di gruppo in India non sono incidenti isolati. Leggere le descrizioni delle donne indiane e di come vivano nella paura dovrebbe preoccupare tutti sul livello di bestialità nella quale è piombata la cultura indiana. E, soprattutto, la situazione dovrebbe indurre le persone come me, di origini indiane, a domandarsi come sia stato possibile arrivare a un tale punto. L’epidemia di violenza non piace alle donne, com’è ovvio, ma il fatto che tali crimini siano in ascesa dovrebbe smuovere qualcosa anche negli uomini.

La violenza contro le donne è un problema culturale. È la cultura che incide sulle leggi di un Paese, è la cultura che incoraggia o scoraggia la violenza. Perché non c’è un dibattito nazionale sull’impatto sociale di 100 milioni di donne che, come evidenziato dal Nobel Amartya Sen, mancano di fatto all’appello in India come in altri Paesi? C’è la tendenza a nascondere la polvere sotto il tappeto, non solo da parte degli indiani ma anche da alcuni occidentali timorosi di apparire razzisti. Si biasima il colonialismo per la mancanza di progetti sociali diretti alle donne, ma il problema in India non è la carenza di fondi (il Paese spende miliardi nel nucleare e nei programmi spaziali), bensì le diverse priorità di un parlamento dominato dai maschi. L’India non ha bisogno della beneficenza dei bianchi che vogliono difenderla: ha semmai bisogno di ascoltare la voce delle donne indiane. Dobbiamo capire che le donne vengono molestate, assaltate e stuprate praticamente in ogni parte del mondo senza far finta che non esistano differenze nei comportamenti culturali “locali”. Secondo quanto dichiarato da esponenti di Jagori, organizzazione non governativa per i diritti delle donne con sede a Delhi, al Times of India, c’è una crescente consapevolezza riguardo la violenza sessuale e molti casi vengono denunciati. Tuttavia «gli uomini non sono in grado di accettare» la sempre maggiore indipendenza delle donne, «e impiegano mezzi violenti per punirle». L’India è piena di icone femminili coraggiose e sicure di sé, ma che hanno avuto successo nonostante l’ambiente culturale e non in virtù del fatto che esso le incoraggi a essere indipendenti. Questa epidemia di violenza non finirà fino a che la mentalità corrente non sarà messa completamente in discussione.

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Articolo originale su The Guardian, traduzione di Belinda Malaspina

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