La leader degli indignados israeliani rischia condanna per violenza

A giugno Daphni Leef aveva cercato di ridare vita al campo di tende a Tel Aviv di protesta contro governo e carovita. Fu picchiata dalla polizia ma ora la violenta è lei.

La leader degli indignados israeliani rischia condanna per violenza
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8 Gennaio 2013 - 15.43


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di Roberto Prinzi

Non trova pace l’israeliana Daphni Leef, la principale attivista della «protesta della tende» nell’estate del 2011. A poco più di sei mesi dal suo arresto nel centralissimo Sderot Rotschild a Tel Aviv, Leef è ora accusata di aver preso parte ad una manifestazione illegale, di aver ostacolato un poliziotto e di aver usato violenza per non essere arrestata. La “leader” delle proteste per la «giustizia sociale» sostiene di essere stata avvisata telefonicamente solo domenica sebbene l’atto di accusa contro di lei sia stato disposto due mesi fa. «Grazie tante alla Polizia d’Israele, grazie davvero» ha commentato ironicamente sul suo account Facebook. «Non solo mi avete arrestato senza alcun motivo fratturandomi la mano e colpendomi alle costole, ora provate anche a rovinarmi il compleanno».

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I fatti in questione risalgono al pomeriggio del 22 Giugno scorso. Emulando quanto aveva fatto un anno prima, Leef con altri sette manifestanti aveva provato a piantare delle tende nel boulevard Rotschild a Tel Aviv. Ma questa volta l’intervento della forze dell’ordine era stato immediato e violento: la giovane, bloccata da diversi agenti, veniva scaraventata con forza per terra e trascinata lungo il marciapiede verso la camionetta della polizia.

Indignati per la violenza contro l’attivista, centinaia di israeliani circondavano la vettura in cui Leef era detenuta bloccando il transito di macchine per diverse ore al grido di «Democrazia, democrazia» e «Stato di Polizia». A fine giornata gli arresti furono undici e sui media locali e sui social network molti israeliani espressero rabbia e sdegno verso uno stato sempre più autoritario e sordo alle loro istanze di «giustizia sociale». Sul banco degli imputati finì anche il sindaco Ron Huldai il paladino dei diritti degli omosessuali per il mondo, ma già noto alle cronache per essere sceriffo inflessibile contro i richiedenti asilo.

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Il fermo di Leef e la violenza utilizzata di fronte alle telecamere furono subito giudicate dalla stessa Polizia un “errore”. Troppo tardi però perché il malcontento sociale ed economico covato da tempo da molti israeliani aspettava solo un pretesto per divampare in una protesta rabbiosa (sebbene priva di contenuti politici). Il giorno seguente, infatti, diverse migliaia di israeliani marciarono per le strade della città occupando la Ayalon (tangenziale/autostrada cittadina), danneggiando alcune banche nella centrale Kikar Rabin e protestando vibratamente sotto la sede del Comune. A tarda serata il bilancio fu pesante con ottantacinque arresti. Per giorni sulla stampa locale ci fu un duro scambio di accuse tra i manifestanti e la polizia su chi avesse innescato le violenze. Per alcuni gruppi di sinistra la brutalità adoperata delle autorità israeliane era l’occasione per rimettere al centro del dibattito pubblico la repressione quotidiana perpetrata dall’esercito israeliano contro i palestinesi nella Cisgiordania Occupata. Tarabut, associazione politica di palestinesi ed israeliani, arrivò a dire che qualcosa sembrava essersi definitivamente rotto: «molti giovani “sale della terra” ashkenaziti (bianchi) della classe media sono ora diventati “non tanto così carini”, ribelli e testardi agli occhi del potere.

A queste persone, che il governo vede come “non carine”, è riservata una dura repressione». Perciò bisognava essere uniti perché anche le «battaglie per la casa pubblica e quella del popolo palestinese contro gli ordini di demolizione e di esproprio sono esempi di resistenza popolare e civile. Tutte queste lotte sono viste dal potere come “non carine” e perciò sono duramente represse. Invitiamo i manifestanti di Rothschild a prenderne parte ora che hanno scoperto che neanche loro sono “così carini”». Ma la connessione tra Occupazione di terra palestinese e disagio sociale restò mera utopia.

Le proteste per «la giustizia sociale del 99% dei cittadini» si sarebbero spente di lì a poco senza mai aver creato grossi grattacapi al governo di destra di Netaniahu. Neanche il gesto disperato del manifestante Moshe Silman che si immolò dandosi fuoco il 14 Luglio servì ad alimentare una «rivoluzione» che, priva di una chiara piattaforma politica e che aveva escluso di proposito il tema dell’Occupazione per raccogliere un maggior numero di cittadini, era destinata inevitabilmente alla sconfitta.

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«Quando osserviamo a quello che succede ai vertici economici e politici e lo si confronta con quello che faccio io, ventisettenne che lotta da un anno e mezzo per migliorare il luogo in cui vive, si arriva alla conclusione che c’è qualcosa di pazzesco nell’atto di accusa privo di alcun fondamento che ho ricevuto» ha detto ieri Leef al quotidiano locale Ha’aretz. L’attivista è apparsa sicura di dimostrare la sua innocenza e medita un ricorso contro l’arresto e la violenza che ha subito da parte della Polizia. L’avvocato Gabi Lasky appare altrettanto fiduciosa per l’esito positivo del processo: «Alcuni giorni dopo essere stata fermata, la stessa Polizia ha affermato che l’arresto è stato un errore. Noi dimostreremo che questo atto di accusa è un errore persino più grave. Le accuse contro di lei sono dirette a tutti coloro che hanno manifestato la scorsa estate».

Ieri, nel frattempo, al Tribunale di Pace di Tel Aviv Lasky è riuscita ad ottenere il rinvio dell’apertura del processo prendendo così tempo per preparare al meglio la sua difesa. Prima udienza fissata per il 23 Gennaio, il giorno dopo le elezioni legislative. Alla luce della prevedibile vittoria elettorale dell’estrema destra, chissà se quel giorno sul banco degli imputati ci sarà davvero solo Leef. Nena News

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