da Londra
Francesca MarrettaViste da un paese in cui il capo del governo e il leader dell’opposizione sono poco più che quarantenni, le elezioni italiane del mese prossimo sono descritte come il vecchio che avanza, nel senso anagrafico del termine.
Quando si parla delle elezioni italiane di febbraio, i media britannici non resistono alla tentazione di mettere in vetrina Berlusconi, che per la gioia dei commentatori politici, a 76 anni, è sceso di nuovo in campo. Immancabili i commenti ironici su lifting, trapianti di capelli, fidanzate e amanti in erba, che nulla possono contro i segni del tempo.
Agli antipodi del Berlusca quanto a immagine, il Primo Ministro uscente Monti, visto come un personaggio come serio ed autorevole, è pur sempre un settantenne e potrebbe dunque, tecnicamente, essere il nonno di David Cameron o Ed Miliband. Non c’è dubbio comunque che il Professore si limiti all’acqua Fiuggi e le Terme per tenersi in forma.
In questo quadro, a sessant’anni passati, il giovincello della politica italiana si rivela il leader dell’opposizione, Pierluigi Bersani, che alle primarie ha battuto candidati più giovani. Lo stesso Grillo, che prende in giro una classe politica che sopravvive a se stessa, ha 64 anni e la sua grande innovazione è contare sul voto di protesta.
La gerontocrazia che caratterizza la politica italiana è storia vecchia, notano all’estero e, dati alla mano, l’età media dei rappresentanti del popolo eletti nelle istituzioni, continua ad invecchiare. A sostegno di questa tesi la Bbc cita uno studio dell’Università Bocconi secondo cui l’età media dei politici italiani è attualmente 53 anni, mentre a metà degli anni ’70 era 49. In quanto a gerontocrazia, messi a confronto con le maggiori democrazie europee, ci batte solo la Francia.
Il problema italiano non è solo anagrafico. Gli “eredi” parlano come i padri. Si pensi al reggente di Berlusconi, Angelino Alfano, che, nonostante i suoi 42 anni non dice nulla di nuovo.
Per spiegare l’italico fenomeno del vecchio che avanza la Bbc cita il Professor Maurizio Ferrara, che insegna Scienze Sociali all’Università Statale di Milano. Secondo il sociologo l’Italia è ancora un paese in cui non si viene apprezzati per ciò che si conosce, ma per chi si consce. “Non esistono Papi giovani”, nota Ferrara, che individua il “peccato originale” del Belpaese nell’assenza di un dinamismo sociale, il cui effetto è il mantenimento perpetuo del potere nelle medesime mani.
Tendenza che non sarà scalfita al prossimo giro elettorale.
Argomenti: beppe grillo silvio berlusconi