di Roberto Prinzi
Roma, 23 Gennaio 2013, Nena News. Benjamin Netanyahu sarà rieletto Primo Ministro d’Israele per la terza volta ma i risultati di ieri sono stati per lui un disastro. Il vero vincitore è stato a sorpresa l’ex anchorman televisivo Yair Lapid il cui partito Yesh ‘Atid, nato soltanto un anno fa, conquista 19 seggi diventando il secondo partito del paese. Questi i due principali titoli delle elezioni legislative per la diciannovesima Knesset [il Parlamento israeliano, ndr].
Ma procediamo con ordine.
Il 66.6% degli aventi diritto al voto si è recato alle urne (nel 2009 era stato il 65,2%). Questo dato alto sebbene non definitivo (mancano ancora i voti dei soldati che si sapranno domani) ha alzato il numero dei voti necessari per superare lo sbarramento del 2% per entrare in Parlamento: si è passato dai 67.500 della scorsa tornata elettorale ai 73.000 di ieri. A essere danneggiati sono stati in primis le tante liste non guidate da parlamentari. Tuttavia anche il partito xenofobo e fascista ‘Otzma LeIsrael (“Forza ad Israele”) di Eldad e Ben-Ari, due politici di vecchio corso, non c’è l’ha fatta. A rischio per quasi tutta la nottata è stato Kadima di Mofaz il quale alla fine riuscirà ad ottenere poco più del 2%. Risultato imbarazzante se si pensa che nel 2009 questo partito (guidato allora però da Livni) con i suoi 29 seggi era la formazione politica più grande d’Israele. Il Likud-Beitenu di Netanyahu e Liberman – rispettivamente Premier e Ministro degli Esteri uscenti – “vince” le elezioni ottenendo 31 seggi perdendo ben 11 seggi rispetto al 2009 quando gareggiarono divisi. Inoltre è riuscito a fare peggio di quanto anche i sondaggi più pessimistici di venerdì gli attribuivano (33).
A poca distanza da Lapid vi sono i laburisti di Yachimovitch con 15 seggi che ha quasi raddoppiato il numero di seggi della scorsa elezione (gli iniziali 13 sarebbero diventati 8 dopo l’abbandono di Barak e di altri quattro parlamentari per formare ‘Atzmaut). Come da previsione Shas – espressione principalmente degli ebrei mizrachi “orientali” – provenienti cioè da paesi a maggioranza musulmana – conferma a gli undici seggi e 11 sono anche i parlamentari di “Casa Ebraica” guidato da Bennett (3 soli erano nel 2009). Dato, quest’ultimo, non ancora definitivo perché il partito religioso ultra nazionalista di Bennett potrebbe salire a 12 con il voto dei soldati. Bene anche gli ultraortodossi ashkenaziti del “Giudaismo della Torà” con sette seggi. Male Livni con 6 (si pensava che potesse arrivare almeno a 8).
Molto bene Meretz (sinistra sionista) di Zahava Gal-On che raddoppia la sua forza con 6. Qualche piccola sorpresa tra i “partiti arabi”: se la Lista Unita Araba di Tibi (il partito islamico di Israele) sorprende con i suoi 5 seggi (si parlava infatti di 3), delude un po’ Hadash, il partito misto di ebrei e palestinesi d’Israele con quattro. L’unica donna palestinese a sedere tra i banchi della Knesset sarà di nuovo solo Zo’ubi di Balad il cui partito conferma le aspettative e ottiene tre seggi. Interessante rilevare anche come hanno votato le due principali città israeliane: Gerusalemme e Tel Aviv. Se nella prima ha fatto man bassa di voti “Giudaismo della Torà” (22,11%) superando di poco il Likud-Beitenu (20,48%), nella “città che non dorme mai” Lapid vince (20,73%) su Netaniahu (17,51%). Bene qui anche i laburisti (16,83%) e Meretz (14,34%). Dati non casuali: se la prima diventa sempre più città religiosa e conservatrice, l’anima laica e liberale che si respira a Tel Aviv permette a formazioni di centro e di “sinistra” maggiori margini di manovra e di successo. In sostanza la situazione che si è venuta a determinare ieri è di un netto pareggio: 60 seggi al blocco di destra e degli ultraortodossi, e altrettanti al “centro” se a questo si sommano i “partiti arabi”. Tuttavia, i partiti ebrei-sionisti di “sinistra” e “centro” non formeranno mai una coalizione governativa con formazioni arabe antisioniste (non è mai capitato nelle 18 legislature precedenti) né una coalizione di minoranza con loro. Senza i “partiti arabi” non c’è pertanto alcuna possibilità che il “centro sinistra” possa formare un governo da solo.
La sconfitta di Netanyahu
Quindi Benjamin Netanyahu dovrebbe essere riconfermato come Primo Ministro d’Israele, ma paradossalmente la sua vittoria è in realtà una grande sconfitta. Nonostante il suo mandato non abbia presentato grossi problemi per ciò che concerne la sicurezza dello stato, nonostante una situazione economica relativamente stabile durante la precedente legislatura e nonostante l’assenza di un rivale alla sua altezza e di un “blocco di centro” lacerato da conflitti interni e rivalità , “Bibi” è stato rieletto a capo dello “stato ebraico” per il rotto della cuffia. E pensare che era stato proprio lui a scegliere di anticipare le elezioni così da rinnovare il suo mandato prima di introdurre tagli di budget e di affrontare – magari con una coalizione più estremista – il “nemico” Iran. Una terribile campagna elettorale la sua: non è bastato il sostegno ricevuto dal grande magnate statunitense Donald Trump e dall’attore Chuck Norris. La sua lotta contro i coloni (una guerra per mostrare i suoi muscoli più che una disputa ideologica) è risultata polemica sterile e l’immagine a tutti i costi di “leader forte” gli ha alienato molti voti nell’elettorato moderato che, deluso e confuso, ha trovato nell’immagine “tutta israeliana” di Lapid conforto e una nuova casa politica. Ma al di là della più o meno sbagliata campagna elettorale, il suo fallimento nasce nella pessima gestione della Res publica nei tre anni di governo. Sebbene i numeri siano sempre stati dalla sua parte alla Knesset, Bibi non ha fatto nulla: non una riforma su questioni cruciali come la leva militare o la crisi economica che grava sulla classe media (di cui si fece voce “la protesta delle tende” nell’estate del 2011 e in parte lo scorso anno). Netanyahu si è rifiutato di compiere qualunque passo in direzione della pace con i palestinesi. Ha semplicemente accantonato il problema preferendo agitare istericamente il pericolo Iran pronto a colpire in ogni momento Tel Aviv. E di fronte alle crisi della coalizione governativa se l’è sempre cavata con manovre astute: prima il breve governo con Kadima, poi l’unificazione con il Ministro degli Esteri Liberman e il suo Yisrael Beitenu. Una mossa, quest’ultima, rivelatasi però ieri catastrofica: dieci infatti sono i seggi persi rispetto al 2009. Si aggiunga inoltre il suo operato indisponente nei confronti di Obama, il suo tono di perenne sfida da bambino capriccioso verso chi all’estero (finanche tra gli alleati più stretti) lo criticava per la decisione di costruzione di nuove unità abitative nella Gerusalemme e Cisgiordania occupate. «Secondo gli Exit Polls risulta evidente che i cittadini d’Israele vogliono che io continui a servire da Primo Ministro e formare un governo che sia il più largo possibile» ha commentato sul suo account di Facebook un’ora dopo la chiusura dei seggi. Ma per lui e i suoi sostenitori la notte si sarebbe rivelata molto più amara. [url”Continua”]http://nena-news.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=48729&typeb=0[/url] –
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