Il Vaticano tira un sospiro di sollievo. Le reiterate aperture nei confronti di Pechino finalmente hanno trovato un primo riscontro. Aveva un po’ preoccupato il fatto che la stampa cinese non avesse minimamente commentato, o almeno informato, sulle dimissioni di papa Benedetto XVI: il muro di Pechino è impenetrabile? si saranno chiesti in molti in Vaticano, a cominciare dal cardinale Filoni, il cosiddetto papa rosso, cioè il cardinale che guida Propaganda Fide, la congregazione preposta alla diffusione del cristianesimo nelle terre di missione (e quale terra di missione è più importante per il Vaticano della Cina, con la sua popolazione sterminata). Proprio il cardinal Filoni aveva sorpreso un po’ tutti pochi mesi fa, annunciando che la Santa Sede era pronta a dar vita a una commissione bilaterale con Pechino per affrontare i problemi sul tappeto. Proposta sorprendente perché tra Pechino e Vaticano non ci sono relazioni diplomatiche.
E le sorprese non si erano limitate a questo, non essendo sfuggiti ad alcuno gli auguri formulati dal papa alla nuova leadership cinese: proprio così, alla nuova leadership uscita dal recente congresso.
Dunque il fatto che ieri sia arrivata una risposta cinese è un segnale importante, forse un successo. Pechino auspica relazioni bilaterali, ma a due condizioni: riconoscimento della Cina Popolare, unica legittima Cina, e non ingerenza negli affari interni cinesi.
Ovviamente i termini sono un po’ ruvidi, da Cicero pro domo sua, ma comunque la risposta c’è, e l’auspicio che il nuovo papa dimostri buona volontà per migliorare le relazioni bilaterali non cadrà nel vuoto.
Certo, il problema dell’ingerenza sembra dire che Pechino difende la Chiesa patriottica cinese, quella fedele alle autorità comuniste e non al papa. Ma sembra una difesa d’ufficio, un atto dovuto. Sebbene una difesa, certo. Dunque l’apertura c’è, tenue forse. Ma in Vaticano sanno benissimo che i fili tenui sono anche quelli più importanti e nessuno ha interesse a spezzarli.