Una madre e la sua figlioletta. Un padre e il suo figliolo. Due foto che hanno per sfondo lo stesso Paese, la Siria, martoriata e avvolta nel sudario, lo stesso che ha avvolto le vittime della strage che ha scosso, sconvolto e indignato tutto il mondo.
La prima foto: alle spalle la Siria, quindi uno scenario che cambia e che ci porta a noi. Quando si parte, affidandosi ad Allah, la foto ritrae una donna con una creatura in grembo.
Il viaggio è lungo, pericoloso, ma si fugge dalla guerra e forse da una guerra destinata ad essere più cruenta, nella quale i colpi mortali possono arrivare da ogni lato. La scena cambia, la costa è quella italiana, la donna ha partorito, la bimba è nelle sue braccia e la culla è il mare.
Le braccia degli uomini in divisa e dei volontari sono più generose delle leggi di questo Paese, restia a dare una cittadinanza che la bimba meriterebbe ad honorem.
L’altra foto fa venire la pelle d’oca. Il padre piange e ringrazia Allah. Ha saputo che il suo bambino è vivo, corre verso di lui. Lo credeva morto, ucciso dal gas di Assad, a Zamalka, in Siria. Abbraccia il figlio, lo stringe forte, e continua a piangere, ringraziando Allah. Attorno a lui gli amici, che lo baciano e l’accompagnano nel ringraziamento al Cielo.
Ecco, queste due foto dal mondo a noi così vicino, e che vorremmo tenere a distanza, rendono miserevole ogni altra foto di quell’Italia cafona che ritiene di imporsi, protagonista, sui nostri sentimenti.