In questi giorni si registra, a livello planetario, l’approssimarsi di alcuni cambiamenti epocali negli equilibri di potere. Il premio Nobel per la Pace più guerrafondaio di tutti i tempi (Barack Obama) prova a forzare la mano per intervenire militarmente in Siria, mentre intorno a lui vengono a mancare i soliti puntelli ideologici e militari a cui ci aveva abituato l’Impero dal 2001 a questa parte.
Non sappiamo se l’attacco ci sarà, nonostante Israele prema per togliere di mezzo Assad (una tappa per togliere di mezzo l’Iran), ma di certo una prima battaglia Obama e i poteri forti che lo manovrano l’hanno già persa.
Il Parlamento Britannico ha dato uno stop decisivo alle pretese di David Cameron, il Papa ha ribadito nettamente il “No” della Chiesa alla guerra, l’ONU non sembra disponibile a coprire questa nuova e indegna campagna bellica. Russia e Cina rimangono contrarie e pronte a difendere, per come sarà possibile, i diritti di uno stato sovrano come la Siria.
L’impressione, in tutto questo caos che viene aggravato dalla crisi economica, finanziaria e ambientale esplosa nel 2008, è che stiamo assistendo ad una nuova fase geopolitica nella quale la leadership americana viene ormai messa in discussione apertamente. Nonostante l’immenso potere di fuoco del mainstream ufficiale, sembra che questa volta una nuova guerra sia sgradita a molti. Nei fatti, e questa è la relativa novità, stiamo registrando il punto di rottura epocale dell’egemonia anglosassone.
Il grande pubblico – peraltro addormentato durante l’invasione della Libia – sembra aver aperto un occhio. Il timore di una nuova guerra mondiale, dichiarato apertamente dalla Chiesa Cattolica e da tutti coloro che conoscono da anni i piani di dominio dell’Impero declinante, potrebbe scuotere le coscienze di milioni di persone. La realtà, infatti, è che dopo le due guerre mondiali e la cosiddetta guerra fredda, assistiamo oggi alla preparazione di un ultimo e sconvolgente conflitto planetario. Ma qui, è tempo di dirlo, lo scontro di “civiltà” non è affatto quello tra USA e Iran, bensì tra il capitalismo finanziario e l’intera Umanità.
Ecco perché non sappiamo affatto se Russia e Cina potranno contribuire ad un superamento del pericolo mondiale (i cambiamenti climatici, ad esempio, non stanno per innescare effetti catastrofici equiparabili a quelli di una guerra atomica?) o, al contrario, allungheranno la resa dei conti ponendo sulla scacchiera internazionale solo la competizione tra sistemi produttivi fra loro analoghi. Sarebbe, in tal caso, la solita concorrenza interna al Capitale, giocata contro l’interesse del pianeta e della specie umana nel suo complesso.
È indispensabile allora comprendere che, in Occidente come in Oriente, siamo dinnanzi ad una sfida di portata inaudita. Dobbiamo scegliere tra un mondo multipolare in guerra perpetua per stabilire una nuova egemonia e un mondo in cui la compresenza di attori globali diversi imponga a ciascuno di essi di rinunciare a qualcosa per il Bene Comune.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che, oggi, la seconda via ci sembra drammaticamente lontana.
Eppure, per non perdere la speranza, è indispensabile notare che qualcosa sta cambiando e che l’opinione pubblica inizia a porsi domande che prima erano semplicemente rimosse. Di questi tempi il coraggio in politica si dimostra facendo le domande giuste e cercando insieme le risposte, ben al di là delle teorie preconfezionate dai burattinai della società dello spettacolo. Tutto questo è ormai diventato un imperativo categorico, che potrebbe accumunare fronti popolari diversi nella ricerca di una comune giustizia sociale e ambientale. Crediamo che, dinnanzi a questi compiti straordinari, tutti si debbano sentire coinvolti. Ognuno secondo le sue forze e le sue capacità.
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