Yemen, Nord e Sud si ribellano al governo centrale

Le spinte separatiste del meridione tornano ad alzare la tensione: no al dialogo nazionale. A Nord gli scontri tra sciiti e salafiti minacciano la tenuta del Paese.

Yemen, Nord e Sud si ribellano al governo centrale
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30 Novembre 2013 - 09.34


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di Giorgia Grifoni

Si allontana in Yemen la riconciliazione nazionale e, con essa, la speranza che le prossime elezioni presidenziali si tengano a febbraio 2014. L’inviato delle Nazioni Unite a Sana’a, Jamal Benomar, ha accusato gli uomini dell’ex-presidente Ali Abdullah Saleh di ostacolare la riconciliazione tra le parti e ha minacciato l’assemblea di sanzioni da parte dell’Onu. Ma non è il solo nodo sul quale si è intaccato il dialogo nazionale: il Sud del paese, indipendente fino al 1990, vuole una maggiore autonomia. E mercoledì scorso un gruppo di separatisti guidato da Mohammed Ali Ahmed, ex ministro dell’Interno, ha lasciato il tavolo dei colloqui.

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Continua l’epopea della transizione yemenita, a due anni dalle proteste che hanno portato all’iniziativa di Onu e Consiglio di Cooperazione del Golfo per una “dolce” deposizione dell’ex-dittatore Ali Abdallah Saleh, in carica da 33 anni e ora comodamente in esilio a Riyadh. Secondo il protocollo siglato a novembre di due anni fa dal CCG e dall’opposizione yemenita, all’ex despota era stata concessa la grazia in cambio dell’abbandono del potere, che però egli ha continuato a esercitare grazie all’influenza dell’Arabia Saudita negli affari dello Yemen, e grazie al nuovo presidente, suo vice dal 1994 al 2012.

Saleh lasciava un Paese in ginocchio, privo dei più basici diritti umani, con un’economia a pezzi e una serie di lotte interne che ogni anno provocavano centinaia di morti: dagli Houthi del Nord, ai separatisti del Sud, fino alla sempre più preponderante presenza di al Qaeda nella Penisola arabica (Aqap).

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La transizione, cominciata con l’elezione del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi nel febbraio del 2012, doveva culminare con il dialogo nazionale e portare all’accordo tra le parti: i colloqui, iniziati nel marzo scorso, avrebbero dovuto terminare il 18 settembre. Troppi i nodi da sciogliere: dalla sicurezza interna all’economia, dalla composizione del nuovo governo all’assetto istituzionale, alle rivendicazioni di autonomia da ogni parte.

Tutto, in Yemen, era da riconsiderare. Un passo mastodontico per uno dei Paesi più arretrati dell’Asia: “Lo Yemen sta cercando di attuare una profonda trasformazione democratica in mesi – un processo che in altri Paesi ha preso anni “. Parola di Jamal Benomar, l’inviato speciale mandato dalle Nazioni Unite, preoccupate dalla crescente presenza di Aqap complice l’instabilità della transizione.

Lo scoglio, dopo mesi di colloqui, sembra essere sempre il tipo di Stato federale da disegnare: per Hadi, uomo di Saleh, come per i delegati del Nord, la federazione deve essere composta da più entità. Il Movimento separatista del Sud, invece, vuole solo un Sud staccato dal Nord. Che, per il resto dell’Assemblea, è fuori questione: “Non permetterò a nessuno – ha tuonato ieri il presidente Hadi, nel giorno del 46esimo anniversario dell’indipendenza dello Yemen del Sud dal dominio britannico – di contrattare sulla questione del Sud nell’unità dello Yemen”. Ma i separatisti non si arrendono: dopo essersi ritirati dal dialogo nazionale, hanno annunciato un raduno domenica prossima ad Aden, capitale di questa porzione di Paese; l’unica che possa vantare un’economia funzionante, con cantieri navali, infrastrutture e giacimenti di petrolio e gas all’Est, nella regione dell’Hadhramaut.

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Non solo Sud, però: ora un altro grande problema appare il settentrione del paese, con la sua eterna ribellione al potere centrale. La situazione nella provincia di Saadah, quasi sul confine con l’Arabia Saudita, è degenerata in uno scontro frontale tra sciiti Houthi e salafiti – introdotti da Riyadh per combattere la rivolta dall’interno – che solo nell’ultimo mese ha causato più di 100 vittime. Ora che gli Houthi, combattuti da Saleh nel 2009-2010 anche con i blindati sauditi, siedono al dialogo nazionale e rivendicano autonomia, le paure del regno wahhabita sono ancora più grandi.

L’accerchiamento sciita, infatti, è particolarmente sentito a Riyadh ora che gli antichi alleati statunitensi si sono riavvicinati all’arci-nemico iraniano: la monarchia al-Saud è disposta a tutto pur di non perdere la stabilità del suo alleato di ferro meridionale, ora che anche formazioni sciite irachene cominciano a intimarle di star lontano dai loro affari a suon di razzi. E se essere disposti a tutto vuol dire sabotare il dialogo nazionale yemenita e rimandare le elezioni di altri due anni, per lo Yemen potrebbe mettersi male. Nena News

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