Che un progetto ambizioso come quello dello stadio della Roma possa finire nel mirino della critica è una cosa scontata. Come è scontata l’ironia, in un paese come l’Italia dove per fare una strada ci vogliono decenni, figuriamoci quando arriva uno e promette uno stadio in due anni.
Ma al netto delle critiche (alcune, come quelle ambientalistiche, anche doverose), c’è tutta una classe di politici che parla a vanvera, anzi, che “gufa” proprio e inizia a domandarsi, sottovoce, “ma se poi lo stadio lo fanno davvero?”.
Una domanda che solo a pensarla, fa tremare le vene ai politici (ora critici) di professione. Perché se poi lo fanno davvero, emerge prepotentemente una risposta che certifica l’incapacità di chi sinora non è stato in grado di fare quasi nulla. Se gli americani arrivano e fanno lo stadio, ecco che è certificato l’immobilismo di chi per anni ha amministrato la città, regalando spesso opere incompiute (un esempio su tutti, la città dello sport di Calatrava).
Insomma c’è chi tifa contro lo stadio della Roma (e non sono certo i tifosi della Lazio) perché di fronte al fatto compiuto – pardon – all’opera compiuta, sarebbe palese il fallimento di anni di cattiva amministrazione. E in una città che gira intorno a un pallone, questo fallimento sarebbe ancora più eclatante.