In questi ultimi anni ha trovato spesso spazio nei media la questione turca, l’anno scorso le proteste di piazza Taksim e del parco Gezi ci hanno permesso di gettare uno sguardo più approfondito sulla Turchia, la sua modernizzazione e urbanizzazione sulla base delle politiche neoliberiste del governo del presidente Erdogan. Alla fine dell’anno passato il presidente si è trovato al centro, con il suo entourage e con la sua stessa famiglia, di scandali e accuse di corruzione, riciclaggio di denaro e ha subito reagito, come succede nei regimi autoritari, mettendo la magistratura sotto il controllo dell’esecutivo, con una legge della metà del febbraio scorso. Come se non bastasse da quando è scoppiata la tangentopoli del Bosforo 120 magistrati e 3000 funzionari di polizia, fra cui i responsabili dell’inchiesta, sono stati trasferiti o allontanati dagli incarichi.
Ora è la volta della decisione di censurare facebook, twitter e youtube che stavano diffondendo compromettenti intercettazioni e materiale vario contro Erdogan. Già l’anno scorso il Premier aveva usato parole di fuoco contro i social network definendoli terroristici, quest’anno ha incominciato ad agire concretamente, pochi giorni prima delle elezioni che si tengono oggi e pochi mesi prima delle elezioni presidenziali che si terranno ad agosto, bloccandoli.
La Turchia è uno dei dieci paesi al mondo i cui abitanti, in gran parte giovani, sono i maggiori utilizzatori di twitter, subito perciò hanno lanciato la sfida contro Erdogan, in molti sono riusciti ad aggirare i divieti imposti difendendo così la libertà d’espressione. L’atteggiamento del Primo ministro ha nel frattempo spinto la Federazione europea e quella internazionale dei giornalisti a denunciare con preoccupazione la svolta autoritaria del governo di Ankara.
All’interno di questa situazione, che si presenta complessa e ricca di sfaccettature, è stato perciò interessante seguire nei giorni scorsi il seminario organizzato dal Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni dell’Università di Cagliari sul tema “Minoranze in Turchia e conflitto identitario” e incentrato in particolare sulla questione curda, argomento dimenticato dai media nazionali ma sempre attuale in Turchia, con un’analisi dei così detti sfollati interni e un articolato parallelo tra la questione dei Curdi e quella dei Baschi in Spagna col contributo di Sharo Ibrahim Garip docente dell’Università di Van, importante città curda della Turchia.
I Curdi sono una popolazione che occupa, grosso modo, la Mesopotamia. E’ un popolo senza patria e si trova diviso tra Iraq, in migliaia come si ricorderà furono uccisi col gas all’epoca di Saddam Hussein, Iran, Siria e Turchia in base al trattato di Losanna (1923) firmato alla fine della I guerra mondiale.
All’epoca dell’impero ottomano vivevano insieme ad altre minoranze, diverse per etnia, per lingua e per religione, Armeni, Greci, Cristiani e Musulmani di vari gruppi, Ebrei ecc. Questa, nel complesso pacifica, convivenza si ruppe tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del secolo scorso, in particolare al momento della dissoluzione dell’impero ottomano. Ci furono il genocidio degli Armeni (1915-1916), i pogrom contro i Greci culminati nel terribile incendio di Smirne (1922), toccò anche ai Curdi, dispersi, deportati, spesso eliminati, che alle violenze del potere centrale hanno spesso risposto con la lotta armata.
La Turchia moderna, nata con la rivoluzione dei Giovani Turchi e poi guidata da Ataturk, iniziò la costruzione e la narrazione di un’identità turca omogenea e compatta in termini mai esistiti. Un’identità non includente che destinava le numerose minoranze ad una posizione di emarginazione rispetto al cittadino turco che deve essere di etnia turca, di lingua turca, di confessione islamica sunnita.
Come dicevo un tema particolarmente spinoso è quello degli sfollati interni, Curdi costretti ad abbandonare i loro villaggi, spesso completamente distrutti, le loro terre, il loro bestiame o a causa di calamità naturali, ad esempio terremoti, o per sfuggire le violenze delle forze dell’ordine o perché espulsi per la costruzioni di imponenti opere pubbliche, ad esempio dighe e centrali idroelettriche.
Una di queste dighe è quella di Ilisu sul fiume Tigri, nell’Anatolia meridionale, che dovrebbe sommergere decine di siti archeologici di grandissimo valore storico e culturale, fra cui il sito di Hasakeif.
Contro questo tentativo perciò intellettuali di tutto il mondo hanno rivolto un appello, infatti quei luoghi hanno visto nascere le più antiche civiltà del mondo. Sarà però difficile fermare il governo perché con la diga oltre a risolvere il problema dell’acqua mira al controllo del territorio abitato dai Curdi.
Gli sfollati, il cui numero è difficile da calcolare ma sarebbe superiore al milione e mezzo, dopo soprusi, umiliazioni e spesso torture, finiscono in campi, alcuni di grandi dimensioni, e qui conoscono la miseria, la scarsa scolarizzazione, soprattutto per le donne, la disoccupazione, l’emarginazione e in particolar modo lo sradicamento dai propri territori, dal proprio modo di vivere.
Tutte le politiche, i progetti messi in campo dal governo per risolvere la questione curda sono falliti in parte perché calati dall’alto in forma autoritaria senza libertà di scelta e partecipazione da parte dei soggetti interessati, in parte perché in realtà si puntava soprattutto all’assimilazione e non al riconoscimento anche costituzionale dell’identità curda.
Insomma i Curdi portano avanti le loro rivendicazioni per poter parlare e studiare liberamente nella propria lingua, eliminare la “turchizzazione dei toponimi geografici, ottenere pieni diritti di cittadinanza contro ogni discriminazione politica, economica e culturale.
E’ evidente che diversi sono gli elementi che i Curdi hanno in comune coi Baschi ma diverse sono anche le differenze. Tra queste ad esempio il fatto che la lotta dei curdi per ottenere l’autonomia dura da 30 anni con decine di migliaia di morti mentre per i Baschi è durata 17 anni e con un numero di gran lunga inferiore di vittime. La Turchia inoltre presenta una democrazia ridotta e la questione curda non ha avuto la stessa risonanza internazionale della questione basca. C’è poi da sottolineare che i territori abitati dai Curdi sono ricchi soprattutto di petrolio e che per un partito curdo è difficile presentarsi alle elezioni perché per poter eleggere rappresentanti bisogna superare una eccessiva soglia di sbarramento, 10%.
La strada quindi per ottenere l’autonomia è ancora lunga.
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