“Come parente di una delle vittime io dico che non è mai tardi per fare giustizia e non è mai tardi per non dimenticare… neanche se sono passati 40 anni”. A pochi giorni dall’avvio a Roma del Processo Condor, si esprime così Aurora Meloni vedova di Alvaro Daniel Banfi, una delle prime vittime del terribile patto stretto negli anni ’70 tra i servizi segreti e le polizie di sette paesi dell’America Latina. Un piano finalizzato all’eliminazione di qualsiasi oppositore politico dei regimi di Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay, Brasile e Bolivia e che ha consentito a militari e servizi segreti di agire indisturbati per la cattura, la tortura e l’uccisione sistematica dei sospetti, anche al di là dei confini nazionali.
A partire da mercoledì 12 febbraio con l’avvio del primo grado di giudizio nell’aula bunker di Rebibbia a Roma, il processo che riguarda il Plan Condor entra in una fase cruciale. Dopo dieci anni di indagini la lista degli imputati include 21 persone e comprende ex autorità militari e di governo di Bolivia, Cile, Perù e Uruguay, accusati a vario titolo della scomparsa avvenuta tra il 1973 e il 1978 di 23 cittadini italiani.
Un processo che punta a ricostruire i fatti e le responsabilità individuali ma che ha una portata storica. E’ la prima volta infatti che il Plan Condor entra in un’aula di tribunale e in America del Sud l’attesa per gli sviluppi è alta. “Questo processo è importante per noi, che speriamo di ottenere giustizia” ricorda Aurora Meloni “ma è importante anche per l’Italia, che ha bisogno di non perdere la memoria ..ha bisogno di sapere chi siamo, chi siamo stati e chi vogliamo essere domani”. Servizio a cura dell’agenzia Amisnet.