Sudafrica, la guerra delle statue contro i simboli dell’apartheid

Le violente tensioni sociali non risparmiano i monumenti che ricordano il passato coloniale del paese. Tutto è cominciato con la campagna “Rhodes must fall”.

Sudafrica, la guerra delle statue contro i simboli dell’apartheid
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19 Luglio 2015 - 17.57


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In Sudafrica le violente tensioni sociali non risparmiano neanche le statue. Da qualche mese infatti è scoppiata una strana guerra che prende di mira i monumenti simbolo della storia del Paese ma anche del passato coloniale e dell’apartheid. Tutto è cominciato in aprile quando gli studenti universitari di Città del Capo hanno lanciato la campagna “Rhodes must fall” (Rhodes deve cadere) per chiedere la rimozione dal loro campus di una statua di Cecil Rhodes, colono britannico di fine ottocento, considerato un simbolo dell’oppressione bianca. Alla fine i manifestanti hanno vinto ma la guerra alle statue non si è fermata ed è al contrario dilagata in tutto il Paese come racconta un articolo di Marco Trovato su Africa missione e cultura: una guerra dei neri contro i simboli della dominazione europea ma anche dei bianchi per difendere la loro storia e identità.

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A finire imbrattate di vernice o sfigurate a colpi di piccone le statue di Louis Botha, primo ministro dell’allora Union of South Africa; di Paul Kruger, presidente della Repubblica del Transvaal; della regina Vittoria e di Giorgio VI e molte altre. Come in ogni guerra si contano le “vittime” innocenti: sono stati deturpati anche i busti di Gandhi e dello scrittore portoghese Fernando Pessoa.

Da parte loro gli Afrikaner, i discendenti dei coloni olandesi, hanno manifestato a difesa dei simboli della loro cultura. Alcuni bianchi si sono incatenati in segno di protesta ai monumenti contestati. Altri hanno minacciato di passare al contrattacco prendendo di mira le statue dei leader neri. Tra le prime vittime della controffensiva la tomba di Saartjie Baartman, la “Venere ottentotta”, una donna deportata in Europa ed esibita come fenomeno da baraccone per le sue peculiarità fisiche davanti a scienziati e aristocratici, divenuta il simbolo delle sofferenze della popolazione nera.

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La “guerra alle statue” mostra le profonde divisioni etniche del Paese a ventuno anni dalla fine dell’apartheid. Il regime segregazionista, come si spiega nell’articolo, è finito per legge ma prosegue per inerzia. La divisione tra ricchi e poveri coincide ancora con il colore della pelle. Il Sudafrica vive una situazione di emergenza sociale fatta di disoccupazione, indigenza, criminalità della pandemia dell’Aids. Tutto questo sfocia in tensioni e rabbia “come è accaduto con i recenti attacchi xenofobi contro gli immigrati stranieri… e con i meno bellicosi attacchi ai monumenti”.

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