Con Trump la deriva autoritaria non è più così funny

La terribile ascesa di Donald Trump, il personaggio preso sottogamba dagli esperti e che invece rischia di incarnare la deriva autoritaria americana. [Maddalena Papacchioli]

Con Trump la deriva autoritaria non è più così funny
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8 Marzo 2016 - 23.42


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di Maddalena Papacchioli

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All’inizio era solo folklore. Il personaggio Donald Trump si prestava bene ad essere preso in giro, per la sua faccia rossa e i toni accalorati, la strana capigliatura, la battuta volgare e inopportuna, il dilettantismo nella trattazione di argomenti, le gaffes.

Il suo non essere un politico di professione, quella spocchia sorniona dell’uomo d’affari di successo, quel pragmatismo tipico dell’ignorante in materia, tutto sommato erano elementi negativi che venivano però tollerati con il sorriso.

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Sul web giravano migliaia di caricature divertenti del magnate newyorkese che giocava a sognare di diventare presidente degli Stati Uniti d’America. Sembrava uno scherzo, e quasi nessuno era sfiorato dal brivido che ciò potesse accadere veramente.

Era comico e basta. Ridicolo, e se ne rideva. E basta.

I media mainstream, ma anche la rete, hanno probabilmente sottovalutato la pericolosità del fenomeno, considerandolo in ogni caso marginale e destinato a una certa e imminente caduta. Ed hanno magari anche strizzato l’occhiolino ad ogni boutade che sprizzava razzismo, sessismo e demagogia, e però aumentava i click e il traffico di utenti. Tutto buono per la pubblicità.

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Ma l’analisi politica è un’altra cosa, e necessita una lettura attenta e corretta tesa a valutare il fenomeno Trump come attrattore elettorale crescente. Non più così “funny”, come veniva da più parti definito, ai suoi albori.

Del resto, delle importanti avvisaglie sul pericolo di una deriva autoritaria dell’elettorato repubblicano statunitense, circolano già da diversi anni. Ma si tratta perlopiù di studi accademici che restano confinati nell’interesse di un’opinione pubblica di nicchia, élite di intellettuali e addetti ai lavori della politologia. Si tratta di ricerche scientifiche che, sulla base dei temi in agenda, sondano l’umore degli americani per prevedere le loro risposte concrete in termini di consenso (prima per le elezioni primarie, poi per quelle presidenziali).

Uno studio recente sull’autoritarismo del professor Matthew MacWilliam (University of Massachusetts Amherst) ha preso in esame il profilo psicologico degli elettori che si caratterizzano per il desiderio di ordine e per la paura degli stranieri. A quanto risulta, questi soggetti sono alla ricerca di un leader forte, che prometta loro di intraprendere le azioni necessarie di protezione dai pericoli esterni e di prevenzione contro il cambiamento.

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Già nel 2009, altri due autorevoli studi (il primo condotto da Jonathan Weiler per la University of North Carolina e l’altro da Marc Hetherington per la Vanderbilt University) avevano lasciato intravedere nel trend di autoritarismo tra gli elettori repubblicani, un importante fattore d’impatto per la crescita di consensi nel GOP. Non senza ripercussioni interne al partito.
Ad oggi, la loro profezia sembra incarnarsi, tristemente e perfettamente, nella figura di Donald Trump.

Ecco quindi, che proprio in questa deriva autoritaria degli elettori repubblicani (dai neocon ai più moderati, dalla Florida a New York al Nevada), risiedono le ragioni del consenso per idee così estreme e così bizzarre. E l’accantonamento di posizioni più moderate come quelle di Marc Rubio e Ted Cruz.

Un sondaggio condotto per CBS News nel South Carolina ha rilevato che il 75% degli intervistati tra gli elettori repubblicani sarebbe favorevole alla proposta di istituire un divieto di ingresso negli Usa a tutti i musulmani. Altri sondaggi condotti da Public Policy Polling mostrano numeri sconcertanti su quanti vorrebbero cacciare dal paese tutti i gay e quanti maledicono Lincoln per aver abolito la schiavitù.

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Va da sé che in questo clima, un candidato come Donald Trump, con le sue proposte di mantenere Gauntanamo e di costruire un muro al confine con il Messico, ad esempio, o che definisce i messicani come stupratori e killer e cita Mussolini nei suoi comizi, non può che risultare vincente.

Un endorsement piuttosto imbarazzante è stato quello ricevuto qualche settimana fa da David Duke, ex leader del Ku Klux Klan, che ha scatenato com’è ovvio un accesa polemica mediatica, e per il quale Trump non ha preso le distanze.

Un altro endorsement preoccupante è quello lanciato da Vladimir Putin, che preannuncia un riavvicinamento in politica estera tra Casa Bianca e Cremlino. Del resto, Putin e Trump si onorano pubblicamente da mesi dei complimenti reciproci. E con i venti di guerra che soffiano in Medio Oriente e la lotta in corsa contro lo Stato Islamico, non si prospetta nulla di buono.

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A questo punto, il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, non nasconde la preoccupazione dell’amministrazione Obama né il rammarico per la cattiva reputazione degli Usa nel mondo, che potrebbe derivare dall’ascesa di Trump.

Il tycoon, dopo aver sbaragliato i suoi avversari di partito ed essersi affermato in testa alle primarie, rischia seriamente di confrontarsi con il mondo dallo Studio Ovale.

E questo sarebbe il finale meno divertente della sua peggiore barzelletta.

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Non sarebbe così “funny”. Il sogno americano potrebbe trasformarsi in un incubo globale.

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