Non una vittoria, ma una sconfitta anche se i conservatori hanno ottenuto la maggioranza relativa: chi la definisce una «premier a tempo» per alcuni, per altri «una morta che cammina». Theresa May le sya provando tutte per la sua sopravvivenza politica a Downing Street e oggi ha nominato un nuovo governo, in pratica appuntato con lo spillo: ormai messa sotto tutela e con un potere molto limitato dopo la figuraccia elettorale ha spostato le poche “pedine” che può muovere e riconfermato molti dei ministri che già aveva.
Sceglie come suo braccio destro Damian Green, ex ministro del Lavoro e nuovo First Secretary of State, una sorta di vice premier, e a sorpresa ripesca Michael Gove per l’ambiente. E tenta, con enormi difficoltà, di resistere alle trame interne ai Tories e al leader laburista Jeremy Corbyn che rilancia la sua alternativa di governo con tanto di piano d’azione. Ma il giudizio dei britannici non le lascia speranze: secondo due sondaggi la maggioranza degli elettori non la vuole più alla guida del Paese.
Il nuovo esecutivo è nei fatti l’esito di un rimpasto. Dopo che sono stati confermati i cinque ministri chiave restano al loro posto anche il titolare al Commercio internazionale Liam Fox (il terzo ministro più brexiter insieme a Boris Johnson e David Davis), quello alla Sanità Jeremy Hunt, quello delle Comunità locali Sajid Javid, mentre perde la sua poltrona alla Giustizia Liz Truss, ‘degradata’ a vice ministro del Tesoro e sostituita da David Lidington. Come dicono gli osservatori May è quindi ‘prigioniera’ del suo consiglio dei ministri e le sue possibilità di azione saranno quindi ridotte, sempre che riesca a sopravvivere a lungo. Come sottolineano in molti, fra cui l’ex Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, che la dà per spacciata parlando di «una morte che cammina».
Theresa May impopolare. I britannici dal canto loro hanno già deciso: secondo due rilevazioni, una di YouGov e l’altra di Survation, rispettivamente il 48% e il 49% del campione la vuole fuori da Downing Street. Cresce invece a livelli record la popolarità del leader laburista Jeremy Corbyn che in uno scontro a due con la May sulla scelta del premier ha la stessa percentuale di gradimento: 39%. E lui intanto appare sempre più fiducioso e ministeriale, in una posizione di vantaggio nella quale può solo rafforzarsi in attesa che fra i conservatori si arrivi alla resa dei conti finale.
I presupposti ci sono tutti, anche se il ministro degli Esteri Boris Johnson nega le sue mire sulla leadership del partito e tenta di mostrare a tutti la sua fedeltà alla premier, il malcontento è troppo diffuso e ci sarebbero almeno cinque ministri che si sono rivolti a lui per sostenere una sua scalata al vertice. Quindi Corbyn attende con pazienza e determinazione con un piano già nella sua mente di cui ne ha parlato alla Bbc. È pronto a invitare gli altri partiti all’opposizione a votare contro il nuovo governo May e ad approvare invece un «emendamento sostanziale» al discorso della regina (Queen’s Speech) coi punti principali del programma Labour, fra cui una Brexit, a tutti gli effetti “soft”, che tuteli i posti di lavoro, politiche in favore dei giovani e contro l’austerity. Non solo, vuole anche eliminare il titanico progetto conservatore del “Great Repeal Bill”, la legge destinata a sottrarre il regno alla giurisdizione europea, e invece negoziare con Bruxelles un accesso senza tariffe al mercato europeo prima di compiere un intervento legislativo.
Le trattative con gli unionisti del Dup. Oltre a tutti questi problemi per la May, anche il tanto desiderato accordo “della salvezza” con gli unionisti del Dup per raggiungere una maggioranza ai Comuni e governare non è dato per scontato. I colloqui proseguono mentre il ministro della Difesa Michael Fallon mette le mani avanti dicendo che l’intesa sarà solo sui «grandi argomenti» perché ci sono molte differenze fra i due partiti, in particolare rispetto alla visione intransigente del Dup contro i matrimoni gay. Come se non bastasse arriva il monito del premier irlandese uscente Enda Kenny, preoccupato per questa ‘alleanza’ Londra-Belfast perché potrebbe mettere a rischio gli Accordi di Pace nell’Ulster.
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