Piangono, cercano la mamma, vagano disperati nel campo profughi del Bangladesh. La guerra, come sempre accade, ha i bambini come prime vittime. Loro sono i piccoli Rohingya, figli di un dramma di cui a nessuno pare, nel mondo del potere e dei bottoni, interessi qualcosa. Più della metà di coloro che sono fuggiti da Myanmar massacrati dai birmani sono bambini, lo dicono le Nazioni Unite. I più forti portano sulle spalle sporte di cibo e di legno, gli altri restano fermi in capanne polverose, senza nulla da mangiare, vinti dalla fame e dalla disperazione. E poi dalle malattie che li uccidono.
Il reportage del Guardian nei campi profughi del Bangladesh è un pugno nello stomaco . Si racconta tra l’altro che nel tentativo estremo di ricongiungere questi piccoli alle loro famiglie è stato creato una sorta di “centro”, sotto un capanno, dove bambini e i genitori lasciano i loro nomi, fosse mai. L’ha inventato Kamal Hossain, uno dei 300.000 Rohingya in fuga. L’idea gli è venuta quando ha trovato un piccolo in lacrime all’ingresso di Handicap International, dove lavora come guardia di sicurezza. A volte usano megafoni per dire i nomi dei bambini “orfani” e dei genitori, sperando nel miracolo.
Ogni storia è una storia di violenza, e nonostante le denunce di Save The Children e Unicef, il pericolo più immediato è che questi piccoli senza protezione, alla mercé di se stessi, possano essere facili prede di trafficanti di vite umane, di organi, o di una rete internazionale di pedofili. Ci sono bambini di 3 anni senza genitori, senza parenti, che per il momento sono “sotto tutela” di comunità in fuga. Quarantamila minori in uno stato di abbandono, in condizioni di salute precarie.
Come salvarli? Gli operatori continuano, inascoltati, a lanciare allarmi. Dicono che diversi Rohingya sono stati avvicinati da sconosciuti che offrono soldi per l’acquisto di bambini. E i soldi, in un campo profughi, fanno gola.
“Non esiste un numero complessivo ufficiale, ma sospettiamo che migliaia di bambini possano vivere con famiglie estese o membri della loro comunità”, afferma Rik Goverde, responsabile delle comunicazioni di Save the Children.
Eppure un team di esperti stranieri specializzati nella raccolta di prove sulla violenza sessuale nelle zone di conflitto deve ancora essere schierato nei campi profughi nonostante le testimonianze che gli abusi di massa siano un’arma terribile e messa in pratica da parte delle forze birmane contro la minoranza musulmana di Rohingya.
Il gruppo, il Foreign Office (Fco), istituito da William Hague con il supporto dell’attrice Angelina Jolie, esiste dal 2012 ma non è stato ancora messo in campo. Perché? Eppure le più grandi associazioni umanitarie hanno segnalato l’uso massiccio di stupri, stupri che hanno vittime anche bambini sotto i 10 anni in moltissimi casi, troppi.
Circa 600.000 rifugiati sono fuggiti in Bangladesh mentre l’Ufficio internazionale delle migrazioni ha segnalato centinaia di casi di violenza sessuale tra i rifugiati.
E’ impossibile voltarsi dall’altra parte, stavolta.