Dolore e coraggio: la forza dellle musulmane che si ribellano alle molestie

Relegate in un ruolo secondario nelle società islamiche, si rifiutano, in numero sempre maggiore, di tacere e combatto contro chi le umilia, al riparo della consuetudini e della religione

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Diego Minuti Modifica articolo

12 Febbraio 2018 - 13.29


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Le molestie sessuali, chiunque ne sia la vittima, uomo, donna, bambino o bambina, non hanno nazionalità o latitudini, barriere morali o religiose. Ma certo fa sensazione il movimento di opinione scatenato da una idea di una giornalista di nazionalità egiziana ed americana e religione islamica che, raccontando la sua esperienza, ha ricordato le molestie sessuali subite, quando aveva appena quindici anni, non in casa, a scuola, per strada, in un luogo qualsiasi. Ha raccontato di molestie subite nel cuore palpitante dell’Islam, alla Mecca, uno dei luoghi santi che Maometto ha elevato a destinazione obbligata per ogni credente, che almeno una volta nella vita, deve recarvisi in pellegrinaggio, per onorare Allah e purificare se stesso dalla contaminazione insita nel mondo. Un luogo la cui sacralità è costantemente celebrata, ma che è solo di facciata perché anche lungo le strade che i fedeli percorrono lodando Allah ed il suo Profeta accadono cose esecrabili, come nel resto del mondo.
Ma, anche se davanti alla divinità o ai suoi simboli, l’uomo (con l’iniziale minuscola) resta tale e non si ferma davanti a nulla per concretizzare i suoi biechi progetti.
Il fatto che l’idea di Mona Eltahawy in appena una settimana abbia aperto il vaso di Pandora dei ricordi e del dolore, raccogliendo testimonianze a migliaia (già seimila), racconta una situazione che non è fatta di episodi, ma di una costanza di comportamenti che si basano, per assurdo, proprio sulla santità dei luoghi per imporre il silenzio. Il pellegrinaggio alla Mecca è il quinto pilastro dell’Islam e dovrebbe tendere alla purificazione della mente, più che del corpo, seguendo una serie di comportamenti obbligati che portano i fedeli ad astrarsi per avvicinarsi sempre di più ad Allah. Ma è anche un momento in cui due milioni e più di persone – spesso indebitatesi per adempiere a questo obbligo religioso – si trovano a contatto strettissimo, costretti in percorsi comuni, in luoghi in cui i corpi si trovano ad essere ravvicinatissimi, esponendo i soggetti più deboli. Questo non significa che le molestie sono generalizzare, perché non è affatto così, ma solo che chi vuole può approfittarne.
Nell’Islam, la di là delle frasi che restano tali, il ruolo della donna è subordinato, relegato a consuetudini in cui sono costrette e nelle quali è il silenzio a sovrintendere al loro vivere quotidiano. E’ per questo che le denunce di violenze, sessuali e no, sono rarissime, anche perché il machismo imperante tocca anche chi dovrebbe sovrintendere al rispetto delle leggi e con esse delle vittime (magistrati, polizia, persino gli stessi avvocati che spesso cercano di comporre bonariamente i casi di abusi sessuali).
Le denunce di cui l’hashtag ##MosqueMeToo (o «#MosquéeMoiAussi») si sta facendo catalizzatore non raccontano solo molestie o violenze, ma anche il dolore d’essere accompagnate per il resto della vita non dal ricordo di uno dei momenti più emozionali per un credente, ma dall’angoscia di non essere riuscite a ribellarsi o a denunciare.
Un destino che, lo stiamo imparando in questi mesi, accomuna molte donne, e poco importa se siano biance o nere, ricche o povere, belle o no. E’ la loro condizione che le penalizza ed alla quale ora si stanno ribellando.
Ma se in Occidente (se con questa definizione intendiamo il mondo che non è musulmano) la rivolta è più facile, perché la donna ha forse più strumenti di difesa, dentro l’Islam ribellarsi è un atto di coraggio estremo perché la denuncia colpisce chi se ne è reso respnsabile, ma anche la cultura che lo pone al riparo dal pagare la sua colpa.
Quel che oggi sta accadendo è che, con la consapevolezza di non potere più nascondere, le musulmane si mostrano con il loro nome e con il loro volto. Una cosa sino a pochi anni fa assolutamente impensabile. E questo è già un risltato enorme in società in cui le divisioni di genere esistono, sono radicate e profonde, con poca voglia di chi comanda di cancellarle.

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