Il 13 novembre del 2015, tre terroristi aprirono il fuoco sui clienti e sul personale del ristorante La Belle Equipe di Parigi, quasi contemporaneamente alla sparatoria che seminò il terrore al Bataclan. È una notte che Parigi non scorderà più, come Mandy Palmucci, turista americana originaria dell’Illinois che si trovava tra gli avventori del ristorante.
Mandy è riuscita a sopravvivere, insieme agli amici che erano con lei. Altre 19 persone, invece, non ce l’hanno fatta. A distanza di due anni, la donna ha deciso di intentare una causa a chi, secondo lei, è responsabile per quella notte: i social network.
Secondo Palmucci, Facebook, Twitter e Google hanno permesso all’Isis di diventare “il più temuto gruppo terroristico al mondo”, permettendo loro di fare propaganda online.
Un portavoce di Facebook ha commentato la citazione in giudizio affermando che il social “simpatizza con le vittime e con le loro famiglie per la loro grave perdita” ed è “impegnato per garantire un servizio in cui le persone si sentano al sicuro”. Twitter e Google non hanno ancora risposto alle richieste di commento del portale d’informazione dell’Illinois.
Non è la prima volta che una persona colpita dagli attacchi di Parigi del 2015 prova a fare causa ai tre social. In ottobre, la corte d’appello del 9° circuito ha confermato il rigetto di una causa simile intentata dai familiari Nohemi Gonzalez, una donna della California rimasta uccisa negli attentati. Secondo l’avvocato di Mandy Palmucci, però, il quadro legislativo del 7° circuito, in cui si trova Chicago, è più favorevole. Il nuovo procedimento, sottolinea inoltre Keith Altman, si sofferma su aspetti non considerati dalla causa californiana, come il “profitto” economico che i tre social otterrebbero da inserzioni pubblicate “non a caso” vicino a post dell’Isis.