Israele non sembra minimamente scalfita dalla unanime condanna internazionale dopo il massacro di Gaza . Sulla Striscia sono rimaste ferite almeno 2500 persone durante le proteste contro l’apertura dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. E cresce il numero delle vittime. Sono morti in ospedale altri due giovani palestinesi. Sono dunque al momento 61 le vittime. Le riferiscono fonti mediche citate da Al Jazira. “Il sistema sanitario già sovraccarico di Gaza è travolto dall’arrivo di migliaia di feriti”. Lo scrive su Twitter Peter Salama, vicedirettore dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). “Servono 5,9 milioni di dollari – aggiunge Salama – per coprire le necessità più immediate”. I territori palestinesi sono categorizzati dall’Oms tra le cosiddette ‘aree preoccupanti’, e un allarme sulla situazione sanitaria era già stato lanciato un mese fa in occasione dei primi scontri al confine di Gaza. “Il ministero della Salute palestinese – aveva rilevato all’epoca l’Oms – ha bisogno di rifornimenti di 75 farmaci e di 190 dispositivi medici essenziali”.
Intanto mentre il sangue scorre il primo ministro Benjamin Netanyahu, si è unito agli Stati Uniti accusando Hamas per la carneficina e ha difeso l’uso della forza affermando che “ogni paese ha l’obbligo di difendere i propri confini”. E’ stata una giornata di sangue, una delle peggiori dal 2014. E mentre a Gaza si moriva e a Gerusalemme andava in scena la festa dei Vip per l’apertura della nuova amabasciata Usa con Ivanka Trump e il marito. Donald Trump, rimasto negli Usa, non ha però perso l’occasione di intervenire. Ha twittato un post paradossale paralando di un “grande giorno per Israele”, ma anche per i palestinesi e tutti i loro vicini. “Possa esserci la pace”, ha concluso
Si prevede che i funerali dei palestinesi uccisi si svolgeranno oggi nell’enclave costiera, in coincidenza con la “Nakba”, o catastrofe, per commemorare gli oltre 700.000 palestinesi fuggiti o espulsi dalle loro case nella guerra del 1948 che segnò la nascita di Israele. Molti Paesi, tra gli altri il Kuwait, hanno richiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma il summit è stato bloccato dal veto Usa. Forse potrebbe tenersi oggi. Quando si riunì a marzo, dopo analoghe (ma meno sanguinose) proteste palestinesi, dal Consiglio di Sicurezza non scaturì alcuna dichiarazione o azione congiunta. Fonti diplomatiche hanno reso noto nella notte che i componenti del Consiglio non sono riusciti a trovare l’accordo su una bozza di risoluzione proposta dal Kuwait perché gli Usa l’hanno bloccata: nel testo, secondo l’Associated Press, si esprimeva “indignazione e dolore” per le morti, si chiedeva un'”inchiesta indipendente e trasparente” e si invitavano tutte le parti ad esercitare moderazione. La dichiarazione sollecitava anche tutti i Paesi al rispetto di una ben nota risoluzione del Consiglio di Sicurezza che invita tutti i Paesi a non avere ambasciate a Gerusalemme, dove lunedi’ gli Usa hanno inaugurato la loro legazione. Già a dicembre gli Stati Uniti avevano posto il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza che chiedeva al presidente Donald Trump di fare marcia indietro sulla dichiarazione di Gerusalemme come capitale di Israele.
Il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra’ad al-Hussein, ha criticato il massacro, parlando di oltraggiose violazioni dei diritti umani. La Turchia ha convocato l’ambasciatore di Israele ad Ankara e lo ha espulso. Il sito del quotidiano Haaretz scrive che l’ambasciatore Eitan Naeh è stato convocato al ministero degli Esteri ad Ankara dove gli è stato chiesto di lasciare il paese “a causa delle vittime” di Gaza. Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ieri aveva accusato Israele di “genocidio” e oggi il premier israeliano Benjamin Netanyahu gli ha risposto su Twitter. “Erdogan è uno dei più grandi sostenitori di Hamas, quindi non c’è dubbio che sia un esperto di terrore e massacri. Vorrei suggerirgli di non fare il moralista con noi”.
Il presidente francese Emmanuel Macron “ha condannato la violenza delle forze armate israeliane contro i manifestanti” in una conversazione telefonica con il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il re di Giordania Abdullah II. Ha anche riaffermato le critiche alla decisione degli Stati Uniti di spostare l’ambasciata a Gerusalemme.
Il governo britannico considera “scioccante” quanto accaduto Gaza e “una tragedia la perdita di vite umane e il numero di feriti palestinesi”. Lo si legge in una nota del sottosegretario agli Esteri con delega per il Medio Oriente, Alistair Burt, diffusa dal Foreign Office. Nella nota Londra riconosce per un verso ai Palestinesi “il diritto di protestare pacificamente”, mentre accusa “elementi estremisti di aver cercato di strumentalizzare” le manifestazioni “per i loro scopi violenti”. Dall’altro sostiene “il diritto d’Israele di difendere i suoi confini”, ma si dice “estremamente preoccupata dal grande volume di fuoco” delle armi delle forze israeliane e continua a “implorare” lo Stato ebraico di esercitare “una maggiore moderazione”.
“Un giorno trieste e buio della storia, segnato dal sacrificio di altri palestinesi”. Così la regina Rania di Giordania, commentando il bagno di sangue a Gaza. “Quando le coscienze del mondo si mobilizzeranno per dare ai palestinesi i diritti che molti di noi danno per scontati?”, ha denunciato via Twitter la regine Rania. “Dio abbia pieta’ di coloro che hanno perso la vita – ha aggiunto – difendendo l’orgogliosa identità araba di Gerusalemme”.
Anche la Tunisia “ha condannato le uccisioni sistematiche contro i partecipanti alle marce pacifiche per rivendicare i legittimi diritti del popolo palestinese”, affermando che il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme “può solo esacerbare la tensione, la violenza e l’instabilità nell’area ed impedire qualsiasi soluzione pacifica, globale ed equa”. In una dichiarazione rilasciata nella tarda serata di ieri, il ministero degli Esteri di Tunisi ha ribadito la sua “ferma posizione di sostegno al popolo fraterno palestinese nella sua lotta per recuperare i propri diritti legittimi, in primo luogo l’istituzione del proprio stato indipendente sul suo territorio con Al Qods (Gerusalemme) come capitale”
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