Nella famiglia di Sanaa e Luca questo mese il Ramadan, che è iniziato ieri, lo farà solo lei. Lui ha avuto problemi di salute, quindi quest’anno lo posticiperà. A casa di Francesca e Raza, invece, è solo lui a fare il digiuno, perché sua moglie è cattolica. Condividere il Ramadan, per Luca, non è stata un’esperienza nuova: prima di sposarsi, abitava con altri ragazzi musulmani. La vera novità è fare il digiuno quando ci si deve prendere cura dei figli piccoli, che più di tanto non possono capire l’affaticamento dei genitori. Ma quest’anno sarà diverso, marito e moglie non lo faranno in contemporanea. “Lo farò a dicembre, quando le giornate saranno più corte e il digiuno sarà compatibile con la terapia che deve seguire. Ora ne approfitto per occuparmi più io dei bambini”, spiega Luca. Il più grande va alla scuola dell’infanzia, la piccola sta a casa con la madre, che è casalinga. Il padre si organizzerà al meglio col lavoro, perché è un giardiniere che lavora in proprio, in modo da essere più presente in casa. È diventato musulmano due anni prima di conoscere quella che sarebbe diventata sua moglie, mentre lei era arrivata in Italia dal Marocco per fare visita alla famiglia della sorella.
Per ora non hanno pensato a come spiegare ai figli cos’è il Ramadan. “In questo momento do molta importanza all’esempio. Spero che in loro, crescendo, possa nascere una curiosità. Si confrontano con i bambini della società laica o cattolica, mi aspetto che saranno loro a fare domande, a chiederci perché noi facciamo così…”. “La cosa più dura è la sete, specialmente quando, come a maggio, il tramonto arriva così tardi. Quando siamo entrambi molto stanchi spieghiamo ai bimbi: oggi non possiamo stare al parco, andiamo a casa a giocare insieme”. Ha un amico algerino la cui fidanzata, italiana non musulmana, per solidarietà fa il digiuno: “Ha letto che da un punto di vista medico fa bene. Anche nello yoga ci sono tante pratiche di digiuno”, conclude Luca, che è anche insegnante di questa pratica di origine indiana.
A casa di Francesca e Raza, il Ramadan lo fa solo il marito. È nato in Pakistan, ma vive da molti anni in Italia. Suo padre, che ha girato molto il mondo per impegni politici, “era di vedute molto aperte”, racconta Francesca. “Mio marito è musulmano, ma l’unica cosa che mi fa saltare all’occhio che sta facendo il Ramadan è che ogni tanto partecipa alle cene in cui, dopo il tramonto, si incontra con altri praticanti”. Per il resto, per noi non cambia niente”. “Io sono cattolica, ma vivo a modo mio la religione”, racconta di sé, e aggiunge: “Entrambi non siamo persone rigide e i bambini non hanno ricevuto un’impostazione cattolica né musulmana”. La figlia più grande, che ha 11 anni, due anni fa è stata battezzata perché voleva fare la comunione, per sentirsi parte del gruppo dei coetanei con in quali va a messa e al catechismo. “Il padre non l’ha per niente ostacolata. Mentre il fratello, che ha 7 anni, non è interessato, non vuole fare catechismo né religione, anche se frequenta il gruppo scout della parrocchia, perché la vede come una situazione divertente”.
Francesca non sente come un limite la pratica del marito, che “vive la religione in modo molto riservato”. “Il significato profondo del Ramadan è il fatto di vivere sulla propria pelle la condizione delle persone che hanno svantaggi, provare la sofferenza di chi vive in povertà”. Questa idea Francesca l’aveva già prima di conoscere Raza, quando lui lavorava come mediatore in quelli che allora erano i servizi per l’immigrazione del Comune di Bologna e lei aveva un contratto precario, mentre oggi lavora nella scuola dell’infanzia e il marito continua a occuparsi di servizi all’immigrazione nel privato. Lei, che da piccola ha vissuto in Africa con la famiglia, aveva già amici che praticavano il Ramadan. (Benedetta Aledda)