L'accusa di Amnesty: c'è un assalto combinato contro le Ong
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L'accusa di Amnesty: c'è un assalto combinato contro le Ong

In un rapporto l'organizzazione umanitaria lancia l'allarme sul crescente numero di governi che utilizzano norme repressive per impedire alle Ong di svolgere attività di vitale importanza.

Migranti aiutati dalle Ong
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21 Febbraio 2019 - 18.06


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“In ogni parte del mondo i governi stanno intensificando gli attacchi contro le Organizzazioni non governative mediante l’adozione di leggi che tengono sotto sorveglianza i loro uffici e il loro personale, adempienze burocratiche da incubo e la sempre costante minaccia di finire in prigione”.
E’ la denuncia di Amnesty International, la quale in un rapporto diffuso oggi dal titolo “Obiettivo: silenzio. La repressione globale contro le organizzazioni della società civile” rivela che ad oggi sono 50 gli stati che utilizzano norme repressive per impedire alle Ong di svolgere attivita’ di vitale importanza.

“Un crescente numero di governi sta ponendo irragionevoli ostacoli e limitazioni alle Ong, impedendo loro di portare avanti un lavoro fondamentale”, ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International.

In molti stati le organizzazioni che osano parlare di diritti umani vengono ridotte al silenzio e per le persone che si riuniscono per difendere e chiedere diritti e’ sempre piu’ difficile farlo in condizioni di libertà e sicurezza. Ridurle al silenzio e impedire loro di lavorare ha conseguenze per tutti” – ha aggiunto Naidoo.Solo nelle ultime due leggi sono entrate in vigore o sono state proposte quasi 40 legislazioni che interferiscono col diritto di associazione e hanno l’obiettivo di pregiudicare l’operato delle organizzazioni della società civile.

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Un problema globale. Amnesty ha preso in esame varie situazioni. “Nell’ottobre 2019 il ministero dell’Interno del Pakistan ha respinto 18 domande di registrazione e i relativi ricorsi da parte di 18 Ong internazionali senza fornire spiegazioni.In Bielorussia le Ong sono sottoposte a una rigorosa supervisione dello stato. Lavorare per le Ong la cui domanda di registrazione è stata – spesso arbitrariamente – respinta è un reato penale. In Arabia Saudita il governo può negare la registrazione alle nuove Ong o smantellarle se sono ritenute “dannose per l’unità nazionale”.

Ciò ha avuto conseguenze per i gruppi per i diritti umani, compresi quelli per i diritti delle donne, che non sono in grado di registrarsi e operare liberamente all’interno del paese.In Egitto le organizzazioni che ricevono fondi dall’estero devono rispettare regolamenti stringenti e arbitrari. Molti difensori dei diritti umani sono stati raggiunti da divieti di viaggio, hanno subito il congelamento dei conti bancari o sono stati portati a processo, col rischio di trascorrere fino a 25 anni in carcere solo per aver ricevuto finanziamenti stranieri.

“Anche gli uffici di Amnesty International sono finiti sotto attacco: dall’India all’Ungheria, nell’ambito di un giro di vite sulle organizzazioni locali, le autorita’ se la sono presa con le nostre strutture, congelando beni patrimoniali e compiendo raid negli uffici”. Ong chiuse per mancato rispetto delle procedure. Dal rapporto emerge anche che molti stati, tra i quali Azerbaigian, Cina e Russia, hanno introdotto nuove norme in materia di registrazione e reportistica. Il loro mancato rispetto comporta il carcere, una sanzione che il difensore dei diritti umani dell’Azerbaigian Rasul Jafarov, rilasciato nel 2016 dopo oltre un anno di prigionia, conosce fin troppo bene: “Mi hanno arrestato a causa del mio attivismo e delle manifestazioni svolte col mio Club dei diritti umani. C’è un’atmosfera orribile. Quelli che non sono stati arrestati o posti sotto inchiesta hanno dovuto chiudere le loro organizzazioni o rinunciare a dei progetti. Molti hanno lasciato l’Azerbaigian per lavorare all’estero”.

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Effetto a catena. Le politiche repressive della Russia sono state imitate da altri stati.In Ungheria diverse Ong sono state costrette a definirsi “finanziate dall’estero” e il governo cerca di screditare il loro lavoro e scatenare l’opinione pubblica contro di loro. Le organizzazioni che non rispettano questa disposizione rischiano multe elevate e anche la sospensione delle attività. Quelle che si occupano di migranti e rifugiati, così come i loro membri, sono state intenzionalmente prese di mira a seguito dell’entrata in vigore di una legge, nel giugno 2018.

“Non sappiamo cosa accadrà a noi e alle altre organizzazioni né quale sarà la prossima legge”, ha dichiarato Aron Demeter di Amnesty International Ungheria

.”Diversi nostri impiegati sono stati attaccati da troll online e minacciati di violenza. Alcuni locali rifiutano di ospitare nostri eventi e ci sono scuole che rifiutano di accogliere attività di educazione ai diritti umani per timore di ripercussioni”.

In alcuni paesi gli attacchi alle Ong riguardano specificamente i gruppi che si occupano di diritti delle comunità marginalizzate. Quelli che promuovono i diritti delle donne, soprattutto quelli alla salute sessuale e riproduttiva, i diritti delle persone Lgbt e quelli dei migranti e dei rifugiati, così come le associazioni ambientaliste risultano tra i più colpiti.

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“Nessuno dovrebbe subire conseguenze penali per aver difeso i diritti umani. I leader del mondo dovrebbero garantire l’uguaglianza e assicurare migliori condizioni di lavoro, cure mediche appropriate, alloggi adeguati e accesso all’istruzione anziche’ accanirsi contro coloro che lottano per questi obiettivi”, ha concluso Naidoo.

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