Bisogna parlarsi chiaro: ora come ora, un nuovo referendum sulla Brexit è fantapolitica. I numeri, nonostante la manifestazione oceanica a Londra per il remain e la petizione sul sito di Westminster che ha raggiunto le cinque milioni di firme, sono ancora lontani anni luce dal traguardo a detta di molti irraggiungibile di quei 16 milioni che sono il numero dei votanti al primo referendum del 2016. Senza contare che una seconda consultazione popolare aprirebbe dibattiti interminabili sulla sua legittimità costituzionale.
Eppure, se prima era impensabile anche solo parlarne, spiega il Cancelliere dello Scacchiere (il corrispettivo del Ministro delle Finanze) Philip Hammond, ora sembra che almeno questo tabù sia caduto. Anzi, una seconda consultazione “meriterebbe di essere considerata” dice Hammond.
Ma che conseguenze ci sarebbero, almeno nell’immediato? Sicuramente, la prima sarebbe la destituzione di Theresa May, e non è un segreto che già stiano circolando dei nomi di possibili sostituti, come Michael Gove e David Lidington, quest’ultimo il numero due della May a Downing Street, dichiaratemente anti-Brexit ed ex Ministro per l’Europa nel governo di David Cameron. Ovviamente quindi un nome inviso a chi preme per una Brexit rapida, temendo forse che indugiare più a lungo potrebbe portare a chine pericolosamente remainer. Meglio un sostenitore del Leave come Gove, anche se il suo ‘tradimento’ verso Boris Johnson ai tempi della salita al potere della May brucia ancora in casa Tory.
Si leva il consueto coro di smentite sul presunto ultimatum che fino a 11 membri del governo, stando al Sunday Times, avrebbero posto alla May, chiedendole di lasciare (o di fissare una data per la sua uscita di scena) in cambio del sostegno al suo accordo sull’uscita dall’Ue: dal ‘no comment’ di Downing Street fino a Lidington che nega di di avere alcuna ambizione di subentrare alla premier che, a suo avviso, “sta facendo un ottimo lavoro”.
Ma May ha intanto indetto una ‘riunione di crisi’ nella residenza in campagna del primo ministro (Chequers) con ministri e deputati Tory, fra cui Lidington, Gove e i ‘brexiteers’ Boris Johnson, Iain Duncan Smith e Jacob Rees-Mogg, in vista di un’altra settimana critica ma che rischia di concludersi con una altro nulla di fatto fra Westminster e Downing Street a ridosso del 29 marzo, la data per l’uscita del Regno Unito dall’Ue considerata ormai archiviata e sostituita dalle due possibilita’ dettate da Bruxelles: il 12 aprile senza l’approvazione dell’accordo o al piu’ tardi il 22 maggio.
Brexit: quanto è plausibile parlare di un secondo referendum?
Nonostante sia altamente improbabile, non è più un tabù parlarne e a fronte della manifestazione per il Remain e la petizione sul sito di Westminster, alcuni non sono più così scettici
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globalist Modifica articolo
24 Marzo 2019 - 17.54
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