"Senza acqua né cibo, aiutateci o moriremo": il grido dei migranti dai centri di detenzione libici

Oltre 600 persone a Quaser Bin Gashir da due giorni senza cibo ed elettricità. Tra loro più di 100 bambini, donne incinte e 7 in allattamento.

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9 Aprile 2019 - 09.38


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Da due giorni sono senza acqua, cibo ed elettricità. E attraverso whatsapp lanciano un appello disperato: “Aiutateci o moriremo”. Sono le persone detenute nel centro di Qaser Bin Ghashir, vicino Tripoli: oltre 600 in tutto, tra cui almeno 112 bambini, 7 donne che allattano e 4 incinte. A fare da tramite l’avvocata per i diritti umani Giulia Tranchina, basata a Londra, ma in contatto diretto con un ragazzo minorenne. “Da venerdì la situazione è precipitata – racconta Tranchina a Redattore sociale- . Sono disperati ma non sono ancora stati tirati fuori di lì. Le forze di Haftar hanno preso possesso del centro di detenzione: da sabato mattina fino a ora le persone sono senza luce, l’acqua va con la pompa quindi non ne hanno nè per bere nè per lavarsi. Non hanno cibo. Mi dicono che ieri i soldati sono andati via, abbandonandoli”.

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Il centro è in una situazione di sovraffollamento: si parla di circa 600 persone, erano 450 fino a due mesi fa, poi sono arrivate almeno un altro centinaio di persone tra migranti arrestati a Tripoli e persone portate dai trafficanti. Nella sezione maschile si vive in condizioni estreme, ha spiegato all’avvocata uno dei migranti che si trova attualmente nel centro. “Ci sono molti bambini e minorenni, ci sono anche diverse donne. I bambini e i neonati sono nella sezione femminile – aggiunge -. Quello che chiedono è di aiutarli, di andarli a salvare: è un appello che rivolgono innanzitutto all’Unhcr, ma il personale locale, contattato da uno di loro, ha detto di non potersi avvicinare al centro per ragioni di sicurezza”. I soldati hanno comunicato alle persone che a breve potrebbero essere spostate, ma la paura è che questo sia solo l’inizio di una nuova agonia. Hanno paura di essere portati via per essere torturati di nuovo: “non ci lasceremo vendere un’altra volta” – ripetono – “non vogliamo ricominciare di nuovo questo inferno in un altro centro di detenzione. Moriremo qui”. Tranchian è in contatto con i migranti di Quaser Bin Gashir da agosto: “le persone vivono in questo centro da almeno un anno masono in Libia da molto prima, sono stati tutti riportati indietro dalla Guardia costiera libica e sono tutti registrati dall’Unhcr. Il rischio è che se provano a spostarli possa accadere qualcosa di brutto – spiega Tranchina – Temono che vogliano farli fuori o trafficarli di nuovo”.

Quello di Quaser Bin Gashir non è un caso isolato: la situazione degli altri centri è altrettanto disumana. “Nel centro di Al Zintan, vicino alla linea del fuoco – continua Tranchina – ci sono più di 900 persone, sono totalmente isolate. Ricevo foto di corpi scheletrici, sono terrorizzate e sono totalmente abbandonate”. Situazione più o meno simile a Sabaa, uno dei sette centri di detenzione di Tripoli e tra i cinque centri in cui Medici senza frontiere attualmente lavora almeno una volta a settimana, attraverso visite di routine da parte di un’équipe di personale medico. “La situazione dei migranti era già terribile – sottolinea il coordinatore di Msf a Tripoli -. Col conflitto è ancora peggio. Urge un’evacuazione”. Secondo l’ultimo report di marzo dell’ong attualmente nel centro di Sabaa sono detenute oltre 300 persone, di cui circa un terzo sono minori di età inferiore ai 18 anni. Il fattore più preoccupante è la presenza di malnutrizione acuta severa: “un dato ancora più alto tra i minori, con una percentuale pari al 3% – si legge nel rapporto – I tassi di malnutrizione acuta moderata sono altrettanto allarmanti, pari al 5% tra tutte le persone detenute a Sabaa, fino al 9% tra i bambini. Un quarto della popolazione di Sabaa è sottopeso. Inoltre, gli screening illustrano la natura dello stato nutrizionale tra i nuovi arrivati e i detenuti da lungo tempo. I livelli di malnutrizione grave e moderata registrati a febbraio sono quasi due volte più alti tra i nuovi arrivati rispetto al resto della popolazione. Questo suggerisce che, al di fuori dei centri di detenzione, nelle mani dei trafficanti e nel tentativo di attraversare il mare, la situazione dei rifugiati e dei migranti sia ancora peggiore”.  In un altro centro ci sono poi persone detenute sottoterra. “Alcuni sono stati riportati al piano terra, altri sono underground, al buio – aggiunge Tranchina -. La situazione è inumana dappertutto, in alcuni centri non mangiano da 48 ore almeno”.

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In totale le persone presenti nei centri di detenzione in Libia sono circa 6.900. La situazione nel paese sta rendendo le condizioni di detenzioni ancora peggiori, il personale delle organizzazioni internazionali è stato in parte evacuato.Negli ultimi quattro giorni, almeno 2200 persone sono fuggite a causa dei combattimenti in corso a sud di Tripoli, ha reso noto oggi l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, mentre prosegue lo scontro tra le forze del maresciallo Khalifa Haftar e quelle legate al premier Fayez Al-Serraj. In molti restano intrappolati, ha denunciato l’agenzia dell’Onu, mentre l’escalation militare potrebbe costringere tanti altri alla fuga. Sale inoltre il bilancio delle vittime.  “”La sicurezza dei migranti in detenzione è particolarmente preoccupante se dovesse verificarsi un’escalation nell’azione militare – ha dichiarato il direttore generale dell’Oim António Vitorino -. Anche il destino di tutti i civili libici e la sicurezza degli operatori umanitari rimane una preoccupazione prioritaria “. “I migranti, compresi uomini, donne e bambini che sono detenuti in condizioni spesso subumane in un rapido deterioramento della situazione di sicurezza sono particolarmente vulnerabili –  ha aggiunto -. La Libia non è un posto sicuro per rimpatriare i migranti che hanno tentato e fallito per raggiungere l’Europa”. L’Oim sottolinea che quest’anno 1.073 migranti, tra cui 77 bambini, sono stati rimandati in Libia dopo intercettazione e soccorsi in mare e posti in detenzione arbitraria. “In questo momento è molto difficile lavorare – sottolinea Flavio Di Giacomo, portavo di Oim -. Una parte del personale è stato evacuato. La nostra preoccupazione è anche legata a possibili nuove partenze, come a volte accade nelle fasi di combattimento. C’è meno presenza di navi di soccorso, se la Libia non era già un paese sicuro ora lo è ancora meno. E’ necessario rinforzare i meccanismi di soccorso nel Mediterraneo: nel 2019 il tasso di mortalità è aumentato del 10 per cento”. (Eleonora Camilli)

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