Il generale Angioni: "L’eliminazione di Soleimani fatta da Trump è un'azione mafiosa"

Il militare è stato comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e del contingente italiano in Libano negli anni più duri della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri.

Proteste per l'assassinio del generale Soleimani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Gennaio 2020 - 14.38


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“L’azione che ha portato all’uccisione del generale Soleimani, soprattutto se ordinata direttamente – come è ormai chiaro – dal presidente degli Stati Uniti, ha purtroppo il sapore di un atto che nella nostra cultura deteriore definirei ‘mafioso’. Quello commesso dal capo della Casa Bianca è un gravissimo errore strategico le cui conseguenze, in termini di sicurezza, cadranno addosso alla comunità internazionale, e dunque anche all’Europa, e all’Italia”.
A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa a Globalist è il generale Franco Angioni, già comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e del contingente italiano in Libano negli anni più duri della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri.

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Generale Angioni, il mondo s’interroga sul significato e sulle conseguenze dell’uccisione, da parte americana, del comandante delle Forze Quds, il generale Qassem Soleimani. Lei che ha vissuto da  protagonista stagioni esplosive in Medio Oriente, che valutazione dà di ciò che è accaduto?

”Sono rimasto meravigliato, di più sconcertato di questa azione, soprattutto se a ordinarla è stato direttamente il presidente degli Stati Uniti. Colui che ha questa pesante responsabilità, quella cioè di guidare l’iper potenza mondiale, non può non tenere nel dovuto conto le conseguenze che la sua decisione potrebbe provocare a livello globale. Voglio essere ancora più chiaro: la decisione di eliminare il generale iraniano è altra cosa, molto più grave, di quella che prese il predecessore di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, Barack Obama, dando il via libera all’azione che portò all’uccisione del capo di al-Qaeda, Osama bin Laden. In questo caso, l’’obiettivo bin Laden’ doveva considerarsi ‘indispensabile’ nel senso che era perseguito da decenni ed aveva una valenza strategica nella lotta al terrorismo jihadista, mentre nel caso di Soleimani, siamo di fronte ad un’azione che rischia di far esplodere il Medio Oriente. E’ questo che si riprometteva il presidente Trump? C’è una strategia politica dietro a tutto questo? Io credo di no. L’eliminazione di Soleimani ha purtroppo il sapore di un’azione che nella nostra cultura deteriore definirei ‘mafiosa’. Chi ricopre cariche così importanti, e sul piano politico e militare non ce ne è una al mondo più importante della Presidenza degli Stati Uniti, non può non tenere in conto le ripercussioni strategiche, politicamente e militarmente rilevanti, che un’azione come quella condotta contro Soleimani può scatenare. Mi auguro che si sia trattato di un errore di percorso, ma stento a crederlo. Ritengo pertanto che l’ordine, soprattutto se impartito dal presidente degli Stati Uniti, risulti un terribile errore sul piano strategico”.

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Da profondo conoscitore della realtà mediorientale, quali scenari, a suo avviso, potrebbero aprirsi ora?

”Non mi ritengo affatto un profondo conoscitore della politica mediorientale che, di per sé, è difficilmente comprensibile  anche a coloro che la politica mediorientale la vivono quotidianamente. Ma una certa esperienza sul campo l’ho fatta. Ed è anche sulla base di questa esperienza che esprimo una grande preoccupazione. E’ alquanto probabile che l’azione condotta dalle forze statunitensi comporti conseguenze molto dannose per la gestione della già difficile situazione mediorientale”.

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