Alla vigilia di Berlino Haftar fa chiudere i pozzi di petrolio mentre Tripoli e Erdogan scalpitano
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Alla vigilia di Berlino Haftar fa chiudere i pozzi di petrolio mentre Tripoli e Erdogan scalpitano

In Germania ci saranno il presidente russo Vladimir Putin, Erdogan, l’inquilino dell’Eliseo Macron al segretario di Stato Usa Mike Pompeo. E poi anche Conte. L’attesa è grande, ma le speranze poche

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Gennaio 2020 - 16.10


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Puoi girarla come ti pare. Osservare da diverse angolazioni, inserire nuovi personaggi, ma alla fine i protagonisti della vicenda restano quei tre: Lo Zar, il Sultano, il Faraone, dai quali dipendono il Generale e il Primo Ministro. Né più né meno di come era successo nel novembre 2018 a Palermo. Doveva essere la Conferenza della svolta in Libia o almeno uno snodo cruciale, ma alla fine si è rivelata una photo opportunity.

A Berlino, domenica 19, il livello di coloro che siederanno intorno al tavolo è di gran lunga superiore a quello registratosi a Palermo, d’altro canto un conto è il peso della cancelliera Merkel altro quello del Conte 1 che a quei tempi si barcamenava tra Di Maio e Salvini.

A Berlino ci saranno i big: dal presidente russo Vladimir Putin a quello turco Recep Tayyp Erdogan, dall’inquilino dell’Eliseo Emmanuel Macron al segretario di Stato Usa Mike Pompeo. Della partita è anche il Conte II. L’attesa è grande, ma le speranze poche. Perché i protagonisti principali della guerra per procura che si combatte in Libia una trattativa sono ure disposti ad avviarla, non certo a Berlino, ma solo quando saranno chiari e netti i rapporti di forza sul campo. E saranno quei rapporti a determinare chi detterà le condizioni di pace.

Armi e diplomazia

Il presidente turco Rece Tayyip Erdogan alla vigilia della conferenza di Berlino sulla Libia ha messo in guardia la comunità internazionale che se il “governo legittimo” di Tripoli, guidato da Fayez al-Sarraj, dovesse cadere c’è il rischio di “creare terreno fertile per il terrorismo”.  In un articolo pubblicato su Politico, Erdogan ha sottolineato che “l’Europa dovrà affrontare una serie di nuovi problemi e minacce nel caso il governo legittimo della Libia dovesse fallire”.    “Organizzazioni terroristiche come l’Isis o Al Qaida che sono state sconfitte in Siria ed Iraq – scrive il presidente turco  -troveranno terreno fertile per rimettersi in piedi”. Erdogan ha inoltre annunciato che i militari turchi addestreranno le truppe libiche.  “

Dovete smetterla di fornire armi ai combattenti in Libia. Basta mercenari, basta volontari di non so quale ideologia, miliziani di non so quale gruppo. Vadano fuori dalla Libia. Basta infiammare l’incendio perché l’incendio ci colpirà tutti. Questo gioco pericoloso deve finire”. Sono le parole pronunciate da Ghassan Salamé, inviato speciale Onu per la Libia, in un’intervista a Repubblica alla vigilia della conferenza di Berlino. Un appuntamento, ha sottolineato, che riunirà “un gruppo di Stati, di attori esterni alla Libia, anche quelli che interferiscono, per verificare se fra loro ci sarà un accordo per fermare queste interferenze”.  Parallelamente al processo portato avanti nella capitale tedesca con gli attori esterni, ai quali si chiederà “in maniera definitiva di cessare le interferenze negative e spingere per un processo di stabilizzazione”, si lavora internamente anche sui libici per farli dialogare. “Ci sono tre processi già pronti”, ha riferito Salamé, indicando quello economico “già partito”, il percorso della sicurezza, che deve lavorare per trasformare la tregua “in un vero cessate il fuoco”, e poi il processo politico. Quest’ultimo riprenderà “a Ginevra, già a gennaio, subito dopo Berlino”, ha assicurato l’inviato Onu.      Quanto all’impegno dell’Italia, Salamé ha notato come il governo “in questi mesi abbia aiutato perché non ha interferito negativamente”. “E bene ha fatto la vostra ambasciata a rimanere attiva e a dare sostegno alla nostra missione”, ha aggiunto, sottolineando rispetto alla questione migranti, che “non si risolve il problema se non si avvia la stabilizzazione della Libia”. 

Il giallo Sarraj

Secondo una fonte del Consiglio presidenziale libico, il premier Fayez al-Serraj potrebbe non andare alla conferenza di Berlino e inviare invece una delegazione. E’ un segno di irritazione di chi si sente tradito da coloro che a parole sostengono il suo governo, tra cui l’Italia, ma nei fatti non permettono alle forze fedeli al premier libico di contrastare con efficacia il sedicente Esercito libico nazionale (Lna) di Haftar, che può godere sul sostegno militare e finanziaro di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Alla fine solo il pressing tedesco, supportato dall’Italia, Francia e Onu, sembra aver portato a un compromesso: Non si incontreranno faccia a faccia, ma i due nemici domenica partecipano al vertice organizzato dall’Onu e della Germania. Delegazioni separate e distanti: i negoziatori Onu e degli altri paesi parleranno prima con gli uni e poi con gli altri. Una trattativa indiretta.

L’arma del petrolio

Ma tutto questo avverrà mentre Haftar ha deciso di adoperare un’altra arma. Con una mossa molto pericolosa per il governo di Tripoli, milizie e tribù fedeli ad Haftar hanno deciso di chiudere i terminal petroliferi. E questo a breve-medio termine potrebbe portare ad esaurire il flusso di entrate che fino ad oggi è andato tutto alla Banca centrale di Tripoli. Era poi Tripoli che trasferiva a Bengasi parte delle risorse.

Lo ha riferito su Twitter l’emittente libica al-Ahrar Tv. Al Haliq Al Zawi, leader della tribù Zouaiya dell’Est libico, ha annunciato all’agenzia di stampa libica Lana l’intenzione di voler chiudere porti e campi petroliferi dell’est della Libia, sostenendo che “il movimento mira a prosciugare le fonti di finanziamento del terrorismo bloccando le entrate petrolifere, e a chiedere il ritorno della sede della compagnia petrolifera nazionale a Bengasi”.    Il capo tribale ha dichiarato che sono già stati chiusi il giacimento di Al Sarir e bloccato il porto petrolifero di Zueitina, e “domani assisteremo alla sospensione delle attività in tutti i giacimenti petroliferi e quindi alla sospensione di tutti i terminal nella parte est del Paese. In tempo reale il portavoce militare di Haftar, il generale Ahmed Al-Mismari, sostiene che “la chiusura dei giacimenti e dei terminal petroliferi è una decisione puramente popolare, sono stati i cittadini a decidere”. In una conferenza stampa Mismari sostiene che le forze militari pro-Haftar “non interverranno se non per proteggere le persone nel caso in cui si trovassero ad affrontare un pericolo”.  Come dire: non siamo stati noi militari, è stato il popolo a bloccare i pozzi. E senza petrolio Tripoli non avrà i soldi per mandare avanti la città ma anche – se necessario – per continuare la guerra. Nonostante le illusioni di Berlino, quindi, la guerra potrebbe continuare in maniera diversa. La mossa decisa da Haftar sui terminal petroliferi spiega chiaramente quali sono le sue idee. Continuare l’assedio a Tripoli, anche se in altra forma. La missione Onu in Libia esprime “profonda preoccupazione per gli attuali sforzi per interrompere o compromettere la produzione di petrolio” nel Paese. 

  “Questa mossa avrebbe conseguenze devastanti prima di tutto per il popolo libico che dipende dal libero flusso di petrolio – si legge in un comunicato dell’Unsmil – e avrebbe effetti terribili per la situazione economica e finanziaria già deteriorata del Paese”. L’Unsmil reitera “l’importanza di preservare l’integrità e la neutralità della National Oil Corporation”. L’allarme rosso arriva anche a Roma. “Per precauzione di corretta informazione abbiamo atteso che le news provenienti dalla Libia fossero fondate e veritiere – dichiara  Michele Marsiglia , presidente FederPetroli Italia –

Al momento confermiamo che alcuni pozzi e terminali di collegamento, principalmente nella zona est e centro Libia sono stati posti in stato di chiusura della produzione di olio e gas, azionando le disposizioni di “well closing production” del flusso ai Centri di trattamento dei siti. Alcune zone portuali con sicurezza Ras Lanuf, Brega e al-Sidra adiacenti le baie di carico delle petroliere sono sotto controllo di milizie tribali e poste in chiusura.  Ci confermano che alcuni gruppi riuniti in Tribù hanno dichiarato l’appartenenza alle forze del Generale Khalifa Haftar. Questo è un grave segnale per la Conferenza di Berlino di domani. Qualche giorno fa avevamo manifestato all’Agenzia AdnKronos che la politica libica è dettata dalle Tribù che vi abitano e, sono il vero tessuto sociale del Paese. Tribù che da anni risultano vicine e di protezione a Saif al-Islam Gheddafi, non è da sottovalutare questa mossa sull’indotto strategico petrolifero del Paese che attendevamo e come FederPetroli Italia avevamo annunciato da mesi. Nelle prossime ore – prosegue Marsiglia – attendiamo di conoscere l’esatto numero di pozzi chiusi in capo all’ENI per quantificare anche il danno sui flussi di mancata erogazione effettiva. Non temiamo una ripercussione alla Compagnia Petrolifera Italiana, sia per Haftar che Sarraj, ENI è indispensabile al fabbisogno energetico del paese nordafricano. La preoccupazione più grande è assistere ad un sabotaggio industriale evidente della National Oil Corporation (NOC), oggi senza più alcun potere decisionale. Senza l’energia prodotta dall’ENI il paese libico raggiungerà in pochi giorni uno stato di default energetico. La Conferenza di Berlino a nostro avviso potrebbe essere elemento di distrazione per un’avanzata strategica verso la città di Tripoli”.La  Noc sta impartendo in queste ore disposizioni per la chiusura dei terminal petroliferi di Ras Lanuf, Brega e al Sidra, nell’est della Libia, ipotizzando “cause di forza maggiore”. Lo confermano all’Ansa fonti della sicurezza italiane, “al netto della dilagante retorica e propaganda di parte” nel Paese. Il terminal di Zueitina risultava invece stamani funzionante con una petroliera che, a quanto si apprende, avrebbe effettuato correttamente il carico. Ma si ritiene che la Noc possa chiederne la chiusura domani.

I turchi in armi

 Alcune immagini e video apparsi in rete nelle ultime ore sembrano confermare l’invio di sistemi d’arma turchi presso l’aeroporto di Tripoli/Mitiga. In particolare  – spiega Andrea Mottola su RID (Rivista Italiana Difesa), si tratta di una batteria antiaerea a medio raggio MIM-23 HAWK XXI con annesso radar doppler 3D in banda X MPQ-64 SENTINEL per la sorveglianza, l’acquisizione e il tracking dei bersagli e con copertura a 360°, sensore particolarmente idoneo alla scoperta di oggetti in volo a bassa quota. Inoltre, nonostante le immagini apparse non lo confermino ancora, diverse fonti parlano della presenza di una batteria (4 veicoli totali, 3 lanciatori ed un posto di comando e controllo) di nuovi semoventi antiaerei KORKUT – montati su scafo del blindato ACV-30 e dotati di torretta remotizzata con cannoni binati da 35 mm – e di alcuni sistemi EW (KORAL o MILKAR-3A3). Al momento, il contingente turco dovrebbe comprendere tra i 60 e gli 80 tecnici e specialisti, e 600-700 miliziani siriani tra le fila dei quali si sono già registrati i primi caduti. 

Minimi termini

L’unica cosa di cui non si parlerà alla Conferenza sulla Libia è l’organizzazione di una missione internazionale per garantire il cessate il fuoco e l’inizio di un processo politico. «Troppo presto, non siamo ancora a una fase così avanzata», avvertono diverse fonti europee alla vigilia del vertice voluto e preparato per mesi dalla diplomazia tedesca, che ha investito molto sulla sua riuscita. L’iniziativa di Berlino si vuole in appoggio agli sforzi di mediazione dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Ghassan Salamé. Più o meno, è quello che uscì fuori da Palermo. Un sostegno senza effetti sul campo.

Al Arabiya, citando sue fonti, dà notizia di consultazioni in corso tra paesi arabi ed europei in merito al progetto di accordo della conferenza di Berlino sulla Libia. Tra le varie cose, riporta l’emittente panaraba, si discute della formazione di un nuovo consiglio presidenziale libico e di un nuovo governo, si sta valutando la possibilità di formare un comitato neutrale per preparare una nuova costituzione ed è in discussione anche un accordo tra paesi arabi ed europei per prevenire interferenze turche in Libia.

Il caso greco

Come non bastassero le divisioni già esistenti, ecco esplodere il caso Grecia, esclusa dalla conferenza nonostante sia uno dei Paesi più interessati dai flussi di migranti in fuga o in transito dalla Libia.

Come scrive in un documentato articolo il corrispondente del Corriere della Sera da Berlino Paolo Valentino: “Secondo una ricostruzione (non confermata) della Bild, sarebbe stato il presidente turco Erdogan a porre il veto a una partecipazione greca con la cancelliera Merkel. A soffiare sul fuoco è stato anche il generale Haftar, che ieri ad Atene ha incontrato il ministro degli Esteri Nikos Dendias e poi ha fatto twittare sull’account dell’Esercito Nazionale Libico che “la conferenza di Berlino non sarebbe corretta né valida senza la partecipazione di Grecia e Arabia Saudita”, quest’ultimo uno dei suoi principali sponsor. Anche Tunisia e Qatar hanno protestato per non essere stati invitati. 

Merkel ha cercato di disinnescare la miccia greca, con una telefonata al premier Kyriakos Mitsotakis, il quale oltre a lamentarsi del mancato invito, si è detto molto preoccupato “dell’azione destabilizzatrice della Turchia”. Mitsotakis ha chiesto alla cancelliera che alla conferenza venga annullato il recente accordo tra la Turchia e il governo di Tripoli, suo protetto, che assicura ad Ankara diritti di estrazione in un’area del Mediterraneo orientale strategica per diversi Paesi, fra cui Grecia e Cipro”.

Una richiesta che non ha alcuna possibilità di essere esaudita a Berlino.

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