Egitto, Zaky rischia il carcere a vita

Patrick George Zaky è accusato di 'Rovesciamento del regime al potere' per la quale la pena, secondo la legge, è il carcere a vita.

Patrick George Zaky
Patrick George Zaky
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Febbraio 2020 - 20.20


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Altro che rassicurazioni dal Cairo. “Non è accusato di terrorismo, ma di un’ accusa peggiore: ‘Rovesciamento del regime al potere’ per la quale la pena, secondo la legge, è il carcere a vita”. Lo ha detto uno dei legali che difendono lo studente egiziano dell’Università di Bologna, Patrick George Zaky, arrestato al Cairo. Ghaly, avvocato del giovane, ha spiegato che la custodia cautelare “può durare fino a due anni, essere rinnovata ogni 15 giorni e, talvolta, tale detenzione può essere protratta per più di due anni”.

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Corsa contro il tempo

Stiamo seguendo con attenzione ed apprensione l’arresto al Cairo dello studente egiziano. Patrick, come Giulio, è un brillante studente internazionale e ha cuore i diritti inviolabili delle persone”. Così i genitori di Giulio Regeni, Paola e Claudio, insieme al loro avvocato Alessandra Ballerini.
“I governi democratici – proseguono- dovrebbero preservare e coltivare la crescita di questi nostri giovani impegnati e studiosi e dovrebbero tutelarne in ogni frangente l’incolumità. Auspichiamo che ci sia per Patrick una reale, efficace e costante mobilitazione affinché questo giovane possa essere liberato senza indugi”. “Se si vuole veramente salvare la vita di questo ragazzo occorre che i paesi che si professano democratici abbiano la forza e la dignità di dichiarare l’Egitto paese non sicuro e richiamare immediatamente i propri ambasciatori. Il resto sono solo prese in giro. Patrick, come Giulio, merita onestà e determinazione, non chiacchiere imbarazzanti e oltraggiose”, concludono “Chiediamo alle istituzioni italiane ed europee – sottolineano i genitori del ricercatore friulano ucciso in Egitto – di porre immediatamente in essere tutte quelle azioni concrete che non sono mai state esercitate per salvare la vita di Giulio o per pretendere verità sul suo omicidio. Siamo empaticamente vicini ai familiari e agli amici di Patrick dei quali comprendiamo l’angoscia e il dolore. Noi sappiamo di cosa è capace la paranoica ferocia egiziana: sparizioni forzate, arresti arbitrari, torture, confessioni inverosimili estorte con la violenza, depistaggi, minacce. Il tutto con la complicità ipocrita di governi e istituzioni che non vogliono rompere l’amicizia con questo paese”. “Speriamo che ammonite dalla tragica vicenda di Giulio le istituzioni italiane ed europee – scrivono i genitori di Giulio Regeni insieme al loro legale – sappiano questa volta trovare gli strumenti per salvare la vita e l’incolumità di questo giovane ricercatore internazionale, senza far più passare neppure un’ora”.

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Come documentato da Globalist, nello stato di polizia egiziano torture e abusi sono la norma. “Sono stato rapito dalle forze di sicurezza statali» in Egitto “e interrogato per 35 ore”, “non ho subito elettroshock ma sono stato picchiato, bendato e legato. Mi hanno privato del sonno e hanno cercato di distorcere il tempo”. È la drammatica testimonianza che fa all’Ansa Amr Abdelwahab, cittadino egiziano 29enne che vive e lavora a Berlino da qualche anno, amico di Patrick George Zaki, arrestato venerdì al Cairo e tuttora detenuto, in prima fila tra coloro che in tutta Europa ne stanno chiedendo la liberazione. Dopo essere stato così interrogato «sono stato rilasciato, ma hanno continuato a chiamarmi per le indagini più volte e quindi mi sono reso conto che ero in pericolo e dovevo scappare dal Paese”, racconta Amr. Questo accadeva nel luglio 2015, dal settembre di quell’anno Amr non ha più messo piede nel suo Paese natio, l’Egitto. “Come ingegnere del software ho avuto subito diverse offerte di lavoro in Europa e sono partito subito”. Ai tempi dell’Università, Al Cairo, risale la sua conoscenza con Patrick Zaky. I due si sono avvicinati con l’inizio della rivoluzione egiziana nel 2011 e poi nel 2012 Amr racconta di Patrick, in prima fila per lui espulso dall’università “per motivi politici”. Ora l’amico ricambia il favore in un certo senso, e parla a nome di migliaia di attivisti e amici tra Egitto ed Europa che in questi giorni hanno messo in piedi una straordinaria mobilitazione, sul web, nelle piazze, non solo a Bologna.

Proprio la petizione lanciata da Amr su Change.org sabato per chiedere la liberazione di Patrick ha superato 52mila firme. “In questi ultimi 9 anni ho imparato la lezione a mie spese – dice Amr all’Ansa – Niente è più importante che coinvolgere le persone. Le persone sono il vero potere”. “Pagherò un prezzo per aver fatto sentire la mia voce per Patrick, lo so – aggiunge – ma è tempo che si conosca il prezzo che paghiamo. Il mio più grande timore è che questo prezzo che noi egiziani paghiamo per la nostra sicurezza sia per nulla. E questo accadrà soltanto se le persone cominceranno a ignorare le nostre storie”. Alla domanda se ci sia il timore di essere spiati e controllati dalle forze di sicurezza egiziane anche all’estero, Amr risponde: “Assolutamente sì. Ci sono state tante storie su questo in passato, una volta ho incontrato un ricercatore che stava scrivendo una tesi di master proprio su questo argomento”. 

Bruxelles si sveglia

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Per la prima volta, l’Unione europea lancia un chiaro messaggio all’Egitto per chiedere la liberazione di Patrick George Zaki, L’avvertimento arriva dal presidente dell’Parlamento europeo , David Sassoli, che ha dichiarato di sentire “il dovere di porre alla vostra attenzione la vicenda di Patrick Zaki. Voglio ricordare alle autorità egiziane che l’Ue condiziona i suoi rapporti con i Paesi terzi al rispetto dei diritti umani e civili, come ribadiamo in tutte le nostre risoluzioni, e chiedo che Zaki venga immediatamente rilasciato e restituito ai suoi cari”. Le parole del presidente della plenaria di Strasburgo arrivano, spiega lui stesso, dopo averne “parlato con l’Alto rappresentante per la Politica Estera Ue, Josep Borrell, che solleverà la questione al prossimo Consiglio europeo lunedì prossimo”.

Dal governo torna a parlare, durante il question time alla Camera, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, che riferisce di “condizioni psicofisiche al momento buone, compatibilmente con la detenzione carceraria” presso la stazione di polizia di Mansoura. Il membro dell’esecutivo ha poi sottolineato che “il governo continuerà a dare priorità al caso Zaki, anche con riferimento alle sue condizioni detentive e all’esigenza di assicurare un iter processuale rapido, in vista di un auspicabile, pronto rilascio”.

L’esponente del Movimento 5 Stelle ha assicurato che, oltre ad aver richiesto, come governo, l’inserimento del caso nel meccanismo di monitoraggio processuale da parte dell’Unione europea, “la nostra ambasciata ha provveduto immediatamente a sollevare la questione Zaki con il gruppo di coordinamento informale delle ambasciate occidentali dedicato ai diritti umani, richiamando l’attenzione dei Paesi partner sul caso e sull’importanza e l’urgenza di una azione su più livelli”.

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Il presidente della commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, Erasmo Palazzotto, chiede di “non smettere di mobilitarci per difendere Patrick George Zaki e chiedere la sua liberazione.  L’Italia dia un segnale forte: chieda ora alle autorità egiziane il rispetto e la tutela dei diritti umani. E verità e giustizia per Giulio Regeni”.

Di Maio e l’ambasciatore

Da Pristina, in Kosovo, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, afferma che nessun contatto è avvenuto tra l’ambasciatore italiano, Giampaolo Cantinirecentemente accusato dai genitori di Regeni di non rispondere più ai loro messaggi, e la famiglia dello studente, visto che stiamo parlando di un cittadino egiziano. Il diplomatico al Cairo, però, “ha avuto un incontro con Mohammed Fayek, il presidente del National Human Rights Council. L’ambasciata sta portando avanti tutte le azioni che servono per avere il massimo delle informazioni e attivare tutti gli organi di garanzia. Abbiamo fatto lo stesso a livello europeo, chiedendo che l’Unione segua tutti i passaggi del processo”.

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Ma dal Cairo nessuno intende le parole del titolare della Farnesina. Tanto quello che vale è la spartizione della torta miliardaria degli affari, tra cui quelli degli armamenti, che l’Italia divide con il presidente-generale egiziano. Abdel Fattah al-Sisi

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