Palestina, il tradimento dell’Italia. Un gruppo di Paesi membri dell’Unione europea guidati dal Lussemburgo sta pianificando di presentare un’iniziativa in una riunione di lunedì dei ministri degli esteri dell’Unione europea per accordare il riconoscimento congiunto dell’UE a uno Stato palestinese. La mossa è in risposta al “Piano del secolo” di Donald Trump. A rivelarlo è Noa Landau, firma di punta del quotidiano di Tel Aviv Haaretz. Il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn ha già discusso dell’iniziativa con i ministri degli Esteri di Irlanda, Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Finlandia, Svezia, Malta e Slovenia.
Roma contesta
Il sottosegretario agli Affari esteri, Manlio Di Stefano (Cinque Stelle) , ha voluto fare chiarezza in merito alle notizie fapparse sulla rete secondo cui l’Italia non avrebbe sostenuto la richiesta del Lussemburgo di riconoscere lo Stato di Palestina. In una nota diffusa sul suo profilo Facebook, Di Stefano ha sottolineato che tale affermazione è falsa “sia nel merito che nel contesto”. Descrivendo il contesto, Di Stefano ha sottolineato che “oggi si è tenuto il Consiglio affari europei dove, negli affari correnti ovvero senza possibilità di prendere decisioni, era inserito un punto dell’Alto commissario per gli Affari esteri dell’Unione europea Josep Borrell sulla questione israelo-palestinese”. In particolare, partendo dal rapporto del Servizio giuridico del Consiglio europeo sulle annessioni e le violazioni del diritto internazionale, Borrell avrebbe voluto discutere anche di deterrenza e reazioni alle annessioni israeliane e di come la Ue possa altresì indirizzare i palestinesi a sedersi al tavolo del dibattito. “Il punto però, dopo un solo intervento del Lussemburgo, è stato unanimemente rinviato al prossimo Cae di marzo dove appunto Borrell relazionerà su quanto ha potuto personalmente raccogliere”, ha osservato Di Stefano, secondo cui nessun paese oggi ha proposto il riconoscimento dello Stato di Palestina tantomeno di discutere del cosiddetto Accordo del secolo, lanciato lo scorso 28 gennaio dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. “Ne deriva che nessuno si sia opposto a questo punto. Il ministro Di Maio, quindi, non si è sfilato da nessun dibattito sul riconoscimento dello Stato di Palestina”, ha osservato Di Stefano. “Vi consiglio quindi di non lasciarvi strumentalizzare da un dibattito falso e avere fiducia non solo nel governo italiano ma anche nella consolidata posizione italiana sul tema, da sempre a sostegno della soluzione due popoli due stati e di tutte le risoluzioni Onu sul tema. Non fatevi ingannare”, ha concluso il sottosegretario agli Affari esteri.
Il fatto è che a dare notizia dello “sfilamento” italiano è stato uno dei più autorevoli quotidiani israeliani.
Sebbene ci siano singoli Stati membri che riconoscono lo Stato palestinese, l’Unione europea nel suo insieme non lo ha fatto, attestandosi sulla posizione . secondo cui la questione dello stato palestinese dovrebbe essere risolta attraverso negoziati tra Israele e i palestinesi verso una soluzione a due Stati. La Svezia ha riconosciuto lo stato palestinese nel 2014 e Malta ha anche relazioni diplomatiche. Cipro, che è entrata nell’UE nel 2004, ha riconosciuto la Palestina nel 1988, ma non è parte dell’iniziativa attuale a causa degli stretti legami che ha sviluppato con Israele da allora.
Sulla scia dell’iniziativa, Israele ha trasmesso messaggi ai Paesi che la sponsorizzano che “questo non è il momento del riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese”, perché impedirebbe “una possibilità di negoziati diretti tra le parti per un accordo permanente. ” Israele sta ora cercando di convincere gli europei a dare una possibilità all’iniziativa di pace americana.Agli ambasciatori israeliani in Europa – riferisce sempre Haaretz – è stato chiesto di esercitare pressioni sui ministeri stranieri nei paesi in cui sono inviati per astenersi dal rifiutare del tutto il piano e dalle aspre critiche nei suoi confronti. In passato, i membri dell’Europa dell’Est, guidati dall’Ungheria, hanno respinto una serie di iniziative anti-israeliane. Israele spera che la stessa cosa alla fine accada anche questa volta.
Secondo fonti a conoscenza delle discussioni in corso, i rappresentanti israeliani affermano che lo Stato ebraico è pronto a rinnovare i negoziati con i palestinesi e che l’opposizione dell’UE al piano Trump incoraggerebbe solo il rifiuto palestinese. I rappresentanti israeliani affermano inoltre che non è logico che l’UE adotti una posizione più severa di quella di diversi paesi arabi rispetto al piano Trump. Dopo che il piano è stato presentato il mese scorso, l’UE ha emesso un comunicato alquanto conciso ne quale si afferma che il piano americano sarebbe stato “esaminato”. La scorsa settimana, tuttavia, a seguito delle dichiarazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu sull’annessione di una parte dei territori palestinesi della Cisgiordania, e trasferte israeliane nel territorio annesso in Cisgiordania, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, Josep Borell, ha espresso ulteriori riserve sul piano. Durante una visita in Giordania, ha chiarito che l’Unione europea era impegnata nella soluzione dei due stati e nel diritto internazionale e ha aggiunto che il piano “contesta molte delle decisioni consensuali a livello internazionale”.
Nella maggior parte dei Paesi la Palestina ha una missione diplomatica ma non un’ambasciata. In molti Paesi Ue – tra cui Gran Bretagna, Francia e Spagna – sono passati voti parlamentari non vincolanti per i governi, che hanno comunque provocato le proteste di Israele.
“Da tempo sostengo che l’Europa può giocare un ruolo di primo piano nel processo di pace israelo-palestinese. Per farlo, però, deve assumere posizioni nette, soprattutto per ciò che concerne la condanna dell’atteggiamento delle autorità israeliane. Sostenere il riconoscimento dello Stato palestinese e affermare che pace e colonizzazione israeliana dei Territori occupati sono tra loro inconciliabili, non significa essere “filo palestinesi” ma schierarsi per un accordo di pace sostenibile, e non chiudere gli occhi di fronte a una verità storica: in Palestina c’è un oppresso e un oppressore. Questa ferita va sanata se si vuole davvero voltar pagina e offrire un futuro normale a due popoli”, dice a Globalist Hanan Ashrawi, più volte ministra dell’Autorità nazionale palestinese, la prima donna ad aver ricoperto l’incarico di portavoce della Lega Araba, oggi membro dell’esecutivo dell’Olp. Al governo italiano, Ashrawi chiede di “ far propria la campagna per il riconoscimento dello Stato di Palestina, dando continuità al voto favorevole che l’Italia ebbe a esprimere nelnovembre 2012 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per lo status di “Stato osservatore non membro” alla Palestina. L’Italia ha una tradizione di amicizia con il popolo palestinese, nei momenti più tragici della nostra storia ha saputo manifestare la sua solidarietà. Non si tratta di forzare la mano, né di mettere Israele di fronte a un fatto compiuto. Si tratta invece di lanciare un segnale politico forte a chi pensa di godere sempre e comunque della copertura, e della connivenza, della comunità internazionale”. Ormai da tempo, la Rete della Pace ha inviato una lettera ai Parlamentari Italiani per chiedere di firmare e sostenere la risoluzione del gruppo Interparlamentari per la Pace per il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Italia.” Certo – recita l’appello – uno Stato non sarà uno Stato fino a quando vivrà sotto occupazione militare e non avrà piena sovranità sui suoi confini, quelli riconosciuti dalla Comunità Internazionale ed occupati da Israele con la guerra del Giugno 1967. Ma riconoscere lo Stato di Palestina sarà un piccolo passo per fare pressioni sul governo Israeliano affinché fermi la costruzione delle colonie, non solo ostacolo alla pace ma impedimento della realizzazione dei due popoli e due Stati, e affinché si riprendano i negoziati”.
Smemorati
Nella scorsa legislatura, due mozioni della sinistra erano state presentate oggi in conferenza stampa a Montecitorio, alla presenza dei firmatari e di Arturo Scotto (allora capogruppo Sel alla Camera), dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo Luisa Morgantini e di un ex ambasciatore e negoziatore israeliano, Ilan Baruch, giunto in Italia, come ha spiegato lui stesso, “per parlare ai parlamentari e agli italiani, attraverso i mezzi di informazione, per conquistare attenzione e sostegno per una mozione che impegna l’Italia, auspicabilmente in modo incondizionato, al riconoscimento dello Stato di Palestina”. assicura che «molti israeliani sono consapevoli dell’urgenza di cambiare le relazioni fra Israele e la Palestina. Noi – aggiunge – non possiamo più tornare ai negoziati bilaterali e chiediamo all’Europa di assisterci”. Un riconoscimento che per quanto riguarda i confini vuol dire rispettare «la linea verde del ‘67: Qualsiasi centimetro oltre, è un territorio occupato», Quello del Parlamento italiano “giunge in ritardo” rispetto ai pronunciamenti di altre assemblee analoghe, “della Spagna, del Regno Unito, della Svezia”, ha osservato Scotto. “Ma è comunque un voto particolarmente importante per il Paese e per l’Europa”. “Quella che il nostro Parlamento è chiamata a prendere – ha detto Locatelli – è una decisione che deriva da quella del novembre del 2012, quando l’Italia si espresse a favore del riconoscimento della Palestina come Stato Osservatore non membro, nell’Assemblea Generale dell’Onu. Si tratta, dunque, di un atto consequenziale al quale arriviamo in ritardo rispetto a quanto fatto da altri Parlamenti europei…”. Un ritardo che continua.
“Ieri ho depositato una mozione sottoscritta da ben 40 miei colleghi senatori del M5s, affinché l’Italia riconosca lo Stato palestinese. Il M5s già nella passata legislatura ha palesato tale sensibilità e determinazione nel credere che il percorso di pacificazione debba passare, prima di tutto, attraverso un tale riconoscimento.
In 71 anni di occupazione militare, abbiamo assistito all’erosione, non solo del territorio, ma del diritto internazionale, dell’umanità e della solidarietà tra i popoli. Poco alla volta alla ragione e alla diplomazia si sono sostituiti i soprusi, la violenza, gli omicidi e l’incarcerazione di leader politici palestinesi, fino alla barbarie sui bambini, prime vittime della guerra, incarcerati e abusati da una legislazione sempre più severa e spietata. L’Onu, attraverso decine di risoluzioni, ha riconosciuto il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato e chiesto ad Israele di ritirarsi dai confini stabiliti nel 1967,all’indomani della “guerra dei 6 giorni”. Gli organismi internazionali, tra cui anche il Parlamento europeo, spingono per la convivenza tra i due popoli, ma lo Stato e le forze politiche israeliane, hanno imposto una situazione di fatto, con continue violazioni delle risoluzioni delle Nazioni Unite, finalizzate ad acquisire pian piano territori e restringere le libertà democratiche, fino alla completa separazione tra la Striscia di Gaza, dove vivono circa 2 milioni di persone, e la Cisgiordania, dove ha sede il “governo” dell’Autorità Nazionale Palestinese..”. Così scriveva il senatore pentastellato Gianluca Ferrara. Era il 12 luglio 2019. “Non si tratta – proseguiva Ferrara – di schierarsi con l’uno o l’altro Paese, ma di porre la giustizia come pilastro delle relazioni internazionali. Per questo chiediamo il riconoscimento dello Stato di Palestina, come premessa per la realizzazione del principio che ogni popolo ha diritto a vivere in pace e in sicurezza e poter determinare il proprio futuro. Sono certo che ciò avverrà, presto o tardi, ma ognuno di noi deve fare la sua parte e oggi, come Italia, tocca a noi. Auspico che tutte le forze politiche abbiano questa lungimiranza…”. Un auspicio rimasto tale. Anche oggi, che alla Farnesina è insediato Luigi Di Maio.
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