Lesbo, "zona rossa" dell'Europa: rosso- vergogna

Anche sull’isola di Lesbo, secondo quanto riportato dai giornali locali greci, si sarebbe verificato il primo caso sospetto di coronavirus.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Marzo 2020 - 13.15


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“Non vorrei che questa epidemia ci faccia dimenticare i poveri siriani che stanno soffrendo al limite di Grecia e Turchia. Devono fuggire dalla fame, dalla guerra, dalle malattie” Lo aveva chiarito domenica all’Angelus in streaming, e lo ha ripetuto anche stamattina alla udienza dalla biblioteca apostolica, mandata poi in rete dal sistema di comunicazione vaticano. La priorità va ai profughi e ai migranti siriani e ai bambini sotto le bombe di Idlib. E’ la lezione che ci viene da papa Francesco.
Una lezione di civiltà. Perché oggi, ai tempi del coronavirus, non va dimenticato che alle porte di casa nostra, un milione di esseri umani sono utilizzati come arma di ricatto da vecchi e nuovi “gendarmi” delle frontiere esterne. Il ricatto di Erdogan e la lezione di Bergoglio. In mezzo, l’Europa che ha preferito finanziare campi di concentramento – chiamiamoli per quel che sono – nei quali costringere una moltitudine di disperati che, per usare le parole del papa, “devono fuggire dalla fame, dalla guerra, dalle malattie”. Paghiamo chi deve fare il lavoro sporco al posto nostro, al posto di una Europa complice, imbelle, chiusa in se stessa, che in nome di una inesistente “invasione” si è lavata le mani dei bambini siriani, degli oltre  20.000 migranti, rifugiati, profughi, ammassati a Lesbo.
Anche sull’isola di Lesbo, secondo quanto riportato dai giornali locali greci, si sarebbe verificato il primo caso sospetto di coronavirus. A presentare i sintomi della malattia sarebbe una donna di 40 anni, ora ricoverata all’ospedale di Mytilene. 

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Il caso mostra quanto sia drammatica la situazione già tesa sull’isola, dove vivono 20mila migranti e rifugiati in centri sovraffollati e in condizioni igieniche al limite, e per questo più volte denunciati dalle Chiese, dalle organizzazioni umanitarie internazionali, dalle ong. “L’Unhcr non ritiene che i richiedenti asilo possano essere considerati un rischio per la salute a livello europeo – ha detto la portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati Carlotta Sami -. La situazione preoccupante è legata all’eccessivo sovraffollamento nell’isola. Sono settimane, anzi mesi che chiediamo di trasferire tutte le persone su terraferma. Sulla terraferma le oltre 20mila persone presenti potrebbe vivere in strutture dignitose. Ribadiamo il nostro appello anche oggi”. Un appello che non deve cadere nel vuoto. Questa è la speranza, di più è l’impegno che la comunicazione deve assumersi perché i riflettori non si spengano sul milione di disperati in ostaggio a Idlib e le decine di migliaia costretti a vivere in condizioni disumane al confine tra Turchia e Grecia. L’Europa della solidarietà contro l’Europa dell’odio razzista, dei muri, dei fili spinati, della polizia in assetto di guerra. La diplomazia dei diritti contro quella degli affari. Occorre scegliere da che parte stare.
Quando in gioco è la vita di milioni di persone, in maggioranza donne, bambini, anziani, l’essere di parte, la parte dei più indifesi tra gli indifesi, è un obbligo morale, prim’ancora che politico. E’ un obbligo al quale chi governa l’Italia non può sottrarsi, anche oggi, soprattutto oggi, in tempi di paure e di misure eccezionali. Occorre moltiplicare le vie legali – a cominciare dai corridoi umanitari – per la messa in sicurezza del “popolo dei rifugiati” e premere sul Governo di Atene perché i 20.000 segregati sulle isole greche vengano immediatamente trasferiti in terraferma.
E poi occorre esercitare, per chi ha fatto sua l’esortazione di Vittorio Arrigoni, “restiamo umani”, rivendicare e praticare il diritto-dovere all’indignazione. Un sentimento che dovrebbe scattare alla lettura di articoli di giornali nei quali si “ringrazia” il coronavirus per avere bloccato gli sbarchi in Italia. A questa barbarie siamo arrivati! Un virus che è riuscito dove l’ex ministro-sceriffo Matteo Salvini non era arrivato.
Ventimila sono ammassati a Lesbo: ventisette sono gli Stati membri dell’Europa: svuotare quel campo di concentramento vorrebbe dire farsi carico, a Stato, di neanche mille persone ciascuno. Meno di mille. E poi mettere in salvo i bambini. Tutto ciò costerebbe molto ma molto di meno dei finanziamenti promessi dall’Europa al “Ricattatore” di Ankara, Recep Tayyp Erdogan, e ai suoi epigoni greci.
Il Governo italiano si faccia promotore di questa iniziativa, sapendo che esiste una società civile, con le sue organizzazioni, pronta a fare la sua parte, come l’ha fatto, con le Ong salva vite nel Mediterraneo, nonostante l’opera di criminalizzazione messa in piedi da ministri-sceriffi di varia coloritura politica. Nessuno può dire: non ho visto, non sapevo. Lesbo è oggi “zona rossa” d’Europa. Rosso-vergogna.

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