Libia, la farsa-Irini e i "passacarte" italiani

La missione è un fallimento annunciato prim’ancora di diventare operativa: dovrebbe far rispettare l’embargo Onu sulle armi in Libia. E qui siamo già nel campo della sceneggiata. Sceneggiata europea

Mercenari e milizie in Libia
Mercenari e milizie in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Aprile 2020 - 15.41


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Un buco nell’acqua. Una sceneggiata marittima. Le metafore possono cambiare, ma la sostanza resta la stessa: la missione Irini (pace in greco) è un fallimento annunciato prim’ancora di diventare operativa. Dai proclami enfatici dei suoi sostenitori, in primis l’”ammiraglio” Di Maio, ministro degli Esteri senza arte né parte, la missione aeronavale varata dall’Unione europea dovrebbe avere il compito di far rispettare l’embargo Onu sulle armi in Libia. E qui siamo già nel campo della sceneggiata.

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Sceneggiata europea

Si dà il caso, infatti, che Russia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Egitto, i Paesi che supportano sembrano intenzionate a voler sfidare ancora l’embargo Onu sulle armi in Libia. L’altro ieri è arrivato il via libera del Comitato politico e di sicurezza dell’Ue sugli ultimi dettagli dell’operazione, a cominciare dalla flotta e dalla catena di comando. La missione “partirà così come stabilito nello spirito di quanto stabilito alla Conferenza di Berlino dello scorso gennaio”, ma resta ancora da capire chi contribuirà come in termini di navi e di aerei da mettere a disposizione della missione sorella di Sophia, che ha chiuso i battenti lo scorso 31 marzo.

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Il comando operativo resterà all’Italia, rappresentata dal contrammiraglio Fabio Agostini, mentre il comandante della forza dovrebbe essere un greco, come trapelato in queste settimane. Per quanto riguarda la composizione della forza militare, la Germania ha dato disponibilità per schierare 300 militari e un solo aereo da ricognizione, un Lockheed P-3 Orion. La partecipazione limitata di Berlino era attesa e contribuisce a mantenere aspettative piuttosto basse, per usare un ottimistico eufemismo, sull’efficacia della missione.

Basti pensare che fino a quando Sophia era ancora dotata di una flotta, i tedeschi avevano sempre dato il proprio contributo fornendo almeno una fregata. Stavolta la Germania si limiterà a osservare il Mediterraneo dall’alto. Tant’è che anche l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, lo spagnolo Josep Borrell, ha dovuto lanciare un appello per chiedere uno sforzo maggiore da parte di tutti gli Stati membri: “I Paesi che vogliono la pace in Libia devono sostenere Irini”, ha scritto sul sito di informazione online Bruxelles. Ma neanche il coriaceo “Mr.Pesc” spagnolo si fa soverchie illusioni. Abbiamo trattato alcune preoccupazioni di alcuni paesi membri sul rischio incremento dei flussi migratori” dalla Libia. Se non riusciamo a stabilizzare la Libia non ci sarà nessun risultato rispetto alla questione migratoria”, ha affermato ieri Borrell al termine del consiglio dei ministri degli Esteri Ue. “E’ triste constatare che la situazione in Libia non sta migliorando nonostante gli appelli internazionali e la minaccia del coronavirus, gli scontri continuano e stanno aumentando”, ha detto. “Serve aumentare il nostro impegno per giungere ad una tregua umanitaria necessaria, ma non solo per la crisi Covid-19”, ha aggiunto Borrell ribadendo la necessità di “un cessate il fuoco per poter iniziare il processo politico e concludere il conflitto”. 

L’inganno

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Le navi di Irini incroceranno al largo delle coste tra Tripolitania e Cirenaica, a est delle rotte seguite da barconi e gommoni carichi di dei clandestini ma in ogni caso l’accordo in ambito Ue è stato raggiunto solo dopo l’introduzione di una clausola che prevede il ritiro delle navi nel caso la loro presenza attirasse migranti illegali.

E qui sta l’inganno, ben argomentato da Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa; “Una decisione – spiega – che mina fortemente la deterrenza dell’operazione navale Ue poiché ai contendenti libici basterà mettere in mare qualche barcone o gommone di immigrati illegali per rendere agevole il passaggio di navi cariche di armi in violazione dell’embargo Onu”.

Tanto più che i due fronti che combattono la guerra per procura in Libia non mostrano di gradire Irini. Tripoli teme che la missione navale possa colpire soprattutto le navi che arrivano dalla Turchia nel porto di Tripoli con rifornimenti (ma anche forniture militari) anche se le ispezioni sulle navi devono avvenire sempre con il consenso dello Stato di bandiera quindi eventualmente della Turchia. Bengasi manifesta il timore che il monitoraggio sia concentrato soprattutto nella zona orientale (per non impattare con le rotte dei migranti) e rappresenti un ostacolo ai normali traffici commerciali anche quelli legati al petrolio. Resta il fatto che la missione è molto carente sul fronte dell’embargo terrestre (per i passaggi da Egitto a Bengasi) e aereo per i frequenti voli dagli Emirati.

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E’ noto che molte armi giungono ai contendenti attraverso i confini terrestri o con ponti aerei (soprattutto i rifornimenti destinati all’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar ma anche i mercenari siriani inviati dai turchi a Tripoli) e pare improbabile che la flotta Ue cerchi lo scontro sul mare con la flotta turca che scorta con le sue fregate le navi mercantili che riforniscono Tripoli di mezzi pesanti e munizioni.

In questo scenario, annota su starmag.it Lorenzo Marinone, “ è plausibile attendersi che l’effetto principale della missione Irini nelle prossime settimane sia, paradossalmente, un inasprimento del conflitto. Vedendosi di fatto avvantaggiati, gli sponsor di Haftar avranno ulteriori incentivi a perseguire una soluzione militare al conflitto. Mentre la Turchia inizierà verosimilmente ad avere seri problemi nel garantire i rifornimenti al Gun. Non si può quindi escludere che Ankara aumenti la pressione su alcuni Paesi confinanti con la Libia affinché acconsentano, anche in modo “coperto”, a diventare uno snodo logistico alternativo verso cui potrebbero essere diretti in prima istanza i carichi turchi. In particolare, la Turchia potrebbe sondare la Tunisia, già interpellata in proposito nei mesi scorsi, e l’Algeria, che non è mai sembrata a favore di una conquista del potere per via militare da parte di Haftar”. “Nel complesso, quindi – rimarca ancora Marinone –  la missione europea dimostra una duplice natura: da un alto, essa rappresenta un’iniziativa troppo timida per ridare voce alla diplomazia, mentre dall’altro risulta eccessivamente irruenta per non provocare uno sbilanciamento decisivo nelle dinamiche del conflitto. Soprattutto, la missione Irini e i suoi possibili effetti non costituiscono in alcun modo una garanzia di recuperare centralità nel dossier libico per le Cancellerie europee. Né per quelle tradizionalmente più favorevoli ad Haftar come Parigi, né per quelle, come Roma, la cui posizione si è evoluta in un appoggio al Gun di Tripoli “temperato” dall’accettazione di un ruolo politico per Haftar nonostante la sua aggressione sulla capitale. Al contrario, una soluzione militare della crisi consegnerebbe una posizione dominante a quelle potenze, come gli Eau, che hanno fornito ai vincitori i mezzi necessari per imporsi, e un ruolo ben più marginale, quasi di “passacarte”, a quelle potenze, come i Paesi europei, chiamate soltanto a vidimare a posteriori il nuovo status quo”.

E tra questi “passacarte” c’è l’Italia.

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La battaglia di Tarhuna

Intanto, è iniziata la “madre di tutte le battaglie”. Le forze del Governo di accordo nazionale (Gna) hanno cominciato l’invasione di terra a Tarhuna. I soldati di Fayez al Sarraj, dopo aver eliminato le postazioni dell’Lna ai margini della città, sono arrivati nei quartieri periferici. Qui sono in corso violenti scontri tra le truppe di Sarraj e le milizie dei fratelli Khani, i quali hanno deciso di non accettare l’ultimatum e deporre le armi come richiesto. Nella battaglia sono schierati anche droni e numerosi carri armati.

“La risposta del Generale – rimarca Francesco Bussoletti su Difesa&Sicurezza – non più in grado di inviare rinforzi o rifornimenti alla roccaforte, è stata bombardare a tappeto le zone strategie attorno a Tripoli: l’aeroporto di Mitiga, Zuwayrah e Abu Grein. L’obiettivo è impedire al nemico di avanzare verso est e creare problemi a una delle sue armi migliori: i velivoli senza pilota, che forniscono supporto aereo ravvicinato (Cas) ai militari che combattono a Tarhuna. Sarraj ha un obiettivo ambizioso: cacciare gli uomini di Haftar da Tarhuna entro i primi giorni del Ramadan (quest’anno si dovrebbe tenere dal 23 aprile al 23 maggio). Poi, a seguito della festività religiosa i combattimenti dovrebbero diminuire per riprendere alla fine del mese prossimo. La chiave di volta di tutta la controffensiva è proprio la roccaforte dei fratelli Khani. Che il Gna la riprenderà è cosa certa, rimane da capire quali saranno i tempi. A quel punto, i soldati di Tripoli si muoveranno su Qasr Ben Ghashir, il quartier generale avanzato di Bengasi, e l’aeroporto internazionale. Ciò per mettere Tripoli definitivamente in sicurezza e dichiarare fallita la campagna dell’uomo forte della Cirenaica. Parallelamente, punteranno a est per riprendere Sirte, anche se qui potrebbero incontrare maggiori resistenze”. 

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Tra le operazioni aeree di oggi il comando delle forze del Gna ha annunciato anche il lancio di volantini in arabo e in russo sulla città di Tarhuna diretti ai combattenti di Haftar, alla popolazione, ai mercenari russi e ai militari emiratini e giordani che affiancano l’Lna e che operano in città anche presso il comando delle operazioni. “Se volete godervi il denaro che vi è stato pagato dovete ritirarvi e abbandonare i combattimenti”, si legge nel volantino in russo. “Abbiamo compreso che con voi la pace non è possibile. Uccideremo tutti quelli che rifiutano di deporre le armi. È la vostra ultima chance. La neve di Mosca si scioglie al fuoco del vulcano”.

I messaggi in arabo si rivolgono anche alla popolazione locale: “Ti invitiamo a stare lontano da dove si trovano i combattenti e a restare a casa. Non permettere agli uomini armati di stare tra le abitazioni. Ogni uomo armato è un bersaglio delle nostre forze terrestri e aeree”.

E c’è ancora chi parla di cessate-il-fuoco, di tregua umanitaria. E di Irini.

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