L’azzardo di un uomo messo con le spalle al muro. La prova di forza finale di un anziano generale dall’ambizione smisurata. Di certo, una mossa destinata a far precipitare ulteriormente la guerra per procura che si combatte da anni in Libia.
Il generale Khalifa Haftar si è autoproclamato capo della Libia, in una dichiarazione alla tv al-Hadath in cui ha detto di “accettare il mandato del popolo libico per occuparsi del Paese”. “Il mio esercito nazionale libico (Lna) – ha affermato il 76enne ex ufficiale di Gheddafi – – è orgoglioso di ricevere questo mandato a svolgere un compito storico”, governare la Libia. “Noi accettiamo il mandato della volontà popolare e la fine dell’accordo di Skhirat”, firmato in Marocco sotto l’egida dell’Onu, che avrebbe dovuto mettere fine alla guerra nel Paese. Non è chiaro se il Parlamento di Tobruk, uno dei firmatari dell’accordo, abbia avallato l’annuncio di Haftar, o quale sarà a questo punto il suo ruolo. Le forze fedeli al generale hanno lanciato oltre un anno fa un’offensiva per la conquista della capitale, ma i sanguinosi combattimenti, centinaia i morti e decine di migliaia gli sfollati, sono giunti da settimane a una fase di stallo. Haftar ha detto che l’Lna lavorerà “per mettere in campo le necessarie condizioni per la costruzione di istituzioni permanenti di uno stato civile”.
Mossa disperata
Una mossa, rileva l’inviato di guerra del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, conoscitore come pochi delle dinamiche politico-militari in Libia – “che rimarca in effetti la condizione disperata, o comunque di estrema difficoltà, in cui si trova Haftar. Da pedina fondamentale della Libia post-Gheddafi e aspirante addirittura a costruirsi un ruolo simile a quello del Colonnello defenestrato nel 2011, Haftar appare oggi battuto”. “Il suo colpo di Stato si spiega col fatto che stava per essere rovesciato. Il Cirenaica le tribù che lo sostenevano adesso vorrebbero ridare i pieni poteri al parlamento di Tobruk. I capi tribù lo accusano di aver fatto uccidere inutilmente i loro giovani nelle battaglie perdute di Tripoli. Le sue fanterie sono ridotte al lumicino. Rischia persino la vita. A Bengasi e nei centri maggiori si temono scontri a fuoco e disordini. Siamo tutti chiusi in casa per il Coronavirus, ma adesso si aggiunge la paura per gli scontri di piazza”, dicono al Corriere fonti giornalistiche bengasine che hanno chiesto l’anonimato nel timore di ritorsioni da parte dei militari.
Voci non confermate riportano che uomini armati terrebbero sotto controllo il presidente della Camera dei Rappresentanti a Tobruk, Aguila Saleh. Questi negli ultimi giorni si stava presentando come tra i principali critici di Haftar.
La prima reazione da Tripoli viene dal consigliere del Governo di accordo nazionale (Gna) Mohammed Ali Abdallah, che ha respinto seccamente le affermazioni di Haftar: “Ancora una volta mostra le sue intenzioni autoritarie. Non cerca più di nascondere il suo disprezzo per una soluzione politica e per la democrazia in Libia. Il suo discorso di questa sera è quello di un uomo disperato e sconfitto”.
Il generale aveva detto già nel 2017 che l’accordo di Skhirat era “scaduto”, e giovedì scorso si era rivolto ai libici chiedendo loro di indicare quale istituzione volessero al governo del Paese. Rivolgendosi al popolo libico Haftar ha insistito: “Abbiamo risposto alla vostra chiamata annunciando la fine dell’accordo politico che ha distrutto il Paese e l’affidamento della delega a chi ritenete degno. Accogliamo il vostro sostegno all’esercito e il rinnovo della vostra fiducia nei nostri confronti per la cancellazione dell’accordo politico in modo che diventi parte del passato”.
Ancora qualche giorno fa Haftar, in un discorso televisivo per l’inizio del Ramadan, aveva accusato il capo del Consiglio presidenziale del governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli, Fayez al-Sarraj, di crimini equiparabili all’alto tradimento verso la Nazione.
Una mossa strategica, quella dell’uomo forte della Cirenaica, oppure dettata dalla convinzione di non avere più niente da perdere. Una decina di giorni fa, il generale, dopo una serie di sconfitte militari che avevano permesso al governo di Tripoli di riconquistare alcune città della costa verso il confine con la Tunisia, era tornato ad attaccare la capitale. Nei giorni precedenti, aveva tagliato le forniture di acqua rendendo ancora più critica la situazione mentre anche la Libia sta combattendo contro la diffusione del coronavirus, con tutte le preoccupazioni legate alla forte presenza di migranti in campi dalle condizioni igieniche pessime. Appena sabato scorso, Italia, Francia e Germania con l’Unione europea avevano fatto appello a Haftar e al-Sarraj per una tregua umanitaria durante il Ramadan. Finora Haftar aveva rivendicato la sua legittimità a combattere da parte dei cittadini della Cirenaica, nell’Est del paese, ma ora ha lasciato intendere di poter contare anche sull’appoggio del resto del paese, anche se non ha specificato nessun dettaglio riguardo a tale sostegno. Le sue forze, ha detto, metteranno in campo “le condizioni necessarie per costruire le istituzioni permanenti di uno stato civile”.
Secondo gli osservatori Onu, la mossa potrebbe addirittura essere l’atto disperato e finale di chi si considera ormai vicino alla sconfitta. Dopo la caduta di Muammar Gheddafi, nel 2011, il paese è stato sempre diviso e in balia dei clan territoriali, che si sono poi rispettivamente riconosciuti a Est, in Cirenaica, nella guida del generale Haftar, e a ovest, in Tripolitania, in quella del governo di Sarraj.
Da tempo ormai quella in Libia è una guerra per procura. Ed è in questa chiave, concordano analisti diplomatici e fonti indipendenti a Tripoli, che va anche letta la forzatura di Haftar. Con la sua mossa, l’autoproclamato Rais fa pressione sugli sponsor esterni. Cairo e Abu Dhabi (ma anche la Russia e in modo molto più sfumato la Francia) hanno da sempre sostenuto anche militarmente le intenzioni del signore della guerra. Adesso, in difficoltà, Haftar cerca contemporaneamente di inviare un messaggio di forza e di chiedere ulteriore sostegno ai suoi alleati al Cairo e ad Abu Dhabi.
L’incubo virale
E tutto questo avviene nel pieno della crisi pandemica. In Libia si trovano attualmente 650mila stranieri, di cui oltre 48mila richiedenti asilo registrati dall’Onu. Inoltre ci sono più di 370mila libici sfollati internamente, e 450mila tornati in patria di recente. Sono i dati diffusi dall’Unhcr in un’audizione al Parlamento europeo. L’agenzia delle Nazioni Unite stima in “aumento le partenze dal Paese a causa del Covid-19 e del coprifuoco, che riducono la possibilità” per le persone di trovare il modo per sopravvivere.
“Dal 24 aprile – spiega Sophie Magennis dell’Unhcr – sono oltre 3mila i migranti che si sono registrati affermando di essere stati salvati in mare dalla guardia costiera libica e riportati in Libia: oltre 800 delle persone soccorse sono profughi, provenienti da Sudan, Eritrea, Somalia, Etiopia, Sud Sudan e Pakistan”. .Intanto “i centri di detenzione non possono più accogliere”, e c’è stata una “diminuzione nelle strutture” riconosciute, “da 5000 persone del gennaio 2019 a 1500 del marzo 2020, tra cui 900 richiedenti asilo”. La situazione negli altri undici centri resta invece “terrificante”.
Il silenzio di Roma e i balbettii di Bruxelles
Gli Stati Uniti hanno subito bollato come ‘unilaterale’ la decisione del generale e chiarito la loro posizione, sostanzialmente chiamandosene fuori, infatti, la prima reazione è stata diramata attraverso il profilo Facebook dell’Ambasciata Usa in Libia. Nella nota si legge che gli Stati Uniti “si rammaricano” che il generale Haftar pensi di poter cambiare la struttura politica della Libia con una dichiarazione unilaterale “imposta”. Ovviamente sono seguite le precisazioni di rito sul fatto che l’unico governo riconosciuto dalla comunità internazionale è quello di al-Sarraj e l’appello «all’Esercito nazionale libico di unirsi al Governo di Accordo nazionale dichiarando una immediata cessazione delle ostilità umanitaria per arrivare a un duraturo cessate il fuoco”.
Quanto alla Russia, sostenitrice, assieme all’Egitto e agli Emirati Arabi Uniti del generale, una fonte interna al Ministero degli Esteri ha detto che Mosca è rimasta sorpresa dalle dichiarazioni di Haftar, il. La fonte ha insistito, ribadendo che la crisi in atto in Libia non può essere risolta militarmente: “E’ una sorpresa. Ci sono decisioni prese alla conferenza di Berlino e, ancora più importante, dalla risoluzione 2510 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che dovrebbero essere in primo luogo implementate dagli stessi libici con il supporto della comunità internazionale e del Segretario generale Onu”, ha spiegato una fonte interna agli Esteri russi, sottolineando l’importanza del dialogo intra-libico e della ricerca di una soluzione alternativa a quella militare per dirimere la questione libica.
Alla fine, si sveglia anche Bruxelles. “In Libia seguiamo con grande preoccupazione gli sviluppi e chiediamo da tempo agli attori di fermare i combattimenti e avviare un processo politico. In particolare le ultime dichiarazioni del generale Khalifa Haftar e ogni tentativo a spingere verso soluzioni unilaterali, anche con la forza, non porteranno mai a una soluzione sostenibile per il Paese e non possono essere accettati”. Così Peter Stano il portavoce dell’Alto rappresentante Ue Josep Borrell. “Serve una soluzione politica inclusiva sotto l’egida dell’Onu – ha aggiunto Stano – per questo chiediamo da tempo che gli attori e i partner si impegnino a tornare ai negoziati il prima possibile per presentare una proposta che ponga fine al conflitto nel contesto del modello del processo politico” di Berlino.
Nessuna reazione ufficiale, al momento in cui scriviamo, da parte della Farnesina e del capo, si fa pe dire, della nostra diplomazia: Luigi Di Maio. Ma questo ormai non fa più notizia. Perché azzardo o mossa disperata da parte di Haftar, ovvero trionfo di al-Sarraj e dei suoi sostenitori esterni, a cominciare dalla Turchia di Erdogan, una cosa è certa: l’Italia è ormai ai margini della “partita libica”, chiunque ne uscirà vincitore.