Israele, la Corte Suprema dà la libertà vigilata al "Governo dell'annessione"

La Corte Suprema israeliana ha respinto all’unanimità, mercoledì sera, una serie di petizioni volte a impedire l’incarico a Benjamin Netanyahu di formare il nuovo governo.

Benjamin Netanyahu
Benjamin Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Maggio 2020 - 15.48


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Israele, l’era di “King David” continua. La Corte Suprema israeliana ha respinto all’unanimità, mercoledì sera, una serie di petizioni volte a impedire l’incarico a Benjamin Netanyahu di formare il nuovo governo, a causa delle incriminazioni a suo carico, e a bloccare l’accordo di coalizione firmato lo scorso 20 aprile da Netanyahu e dal leader del partito Blu-Bianco Benny Gantz. Ma la partita giudiziaria non è chiusa.

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L’accordo trovato da Netanyahu e Gantz prevede che la legislatura attuale sia prolungata di un anno, e che Netanyahu e Gantz si spartiscano a turno la carica di primo ministro: i primi 18 mesi toccheranno a Netanyahu, poi sarà la volta di Gantz per altri 18 mesi, poi toccherà di nuovo a Netanyahu per sei mesi e infine a Gantz per gli ultimi sei. In questo modo, entrambi dovrebbero essere scoraggiati dall’indire nuove elezioni durante il proprio mandato da primo ministro.

La Knesset ha approvato giovedì mattina l’accordo di coalizione e nel pomeriggio sono state presentate al presidente Reuven Rivlin le firme di 72 parlamentari a sostegno del conferimento a Netanyahu dell’incarico di formare un “governo di unità nazionale d’emergenza”. Hanno votato a favore 36 parlamentari del Likud, 16 di Blu-Bianco, due di Derech Eretz, due laburisti, nove dello Shas e sette di Ebraismo Unito della Torah. Non hanno firmato i parlamentari del partito nazionalista religioso Yamina di Naftali Bennett, che non è ancora chiaro se aderirà al nuovo governo.

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I partiti Likud e Blu-Bianco hanno comunque annunciato che puntano a formare il nuovo governo entro mercoledì 13 maggio.

La sentenza della Corte Suprema. 

Con la decisione diffusa dopo le 23.00 locali di mercoledì, la Corte Suprema in sessione plenaria di 11 giudici ha stabilito che non vi è alcun impedimento legale a che Netanyahu riceva l’incarico di formare il governo e mantenga il ruolo di primo ministro nonostante l’incriminazione a suo carico in tre presunti casi di corruzione e abuso d’ufficio. Netanyahu si dichiara innocente su tutti i capi d’imputazione. L’inizio del processo è previsto per il 24 maggio. I giudici hanno tuttavia notato che alcune modifiche di legge presentate alla Knesset come parte dell’accordo potrebbero ancora essere contestate, una volta approvate, e che alcune parti dell’accordo suscitano ”significative difficoltà”.

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Nel corso di due intensi giorni di audizione (trasmessi in diretta streaming), la Corte ha ascoltato gli argomenti degli otto firmatari che miravano a dimostrare l’illegalità del previsto incarico a Netanyahu e di parti sostanziali del complesso accordo di coalizione. La questione ruotava attorno all’interrogativo se un parlamentare incriminato (ma in attesa di processo e sentenza) possa essere incaricato di formare il governo, e se vari provvedimenti di legge da approvare per incardinare nella legislazione l’accordo di rotazione possano essere considerasti ostacoli ai poteri della Knesset.

Partita ancora aperta

La presidente della Corte Suprema, giudice Esther Hayut, ha scritto nella sentenza che Netanyahu, come ogni cittadino, gode della presunzione di innocenza fino a prova contraria e che la legge non impedisce a un imputato (in attesa di processo) di formare il governo. “Non abbiamo trovato alcun motivo legale per impedire al parlamentare Netanyahu di formare un governo – ha scritto Hayut – Questa conclusione giuridica non diminuisce la gravità delle accuse pendenti a carico del parlamentare Netanyahu, né le difficoltà che derivano dal fatto che un primo ministro in carica sia incriminato per reati di integrità morale”. Mentre la legge israeliana impedisce ai ministri di prestare servizio mentre sono sotto accusa, non esiste un analogo divieto per la carica di primo ministro. La differenza è dovuta al fatto che le dimissioni di un primo ministro comportano la caduta del governo e quasi inevitabilmente lo scioglimento del parlamento. I firmatari della petizione sostenevano invece che la lacuna nella legge fosse dovuta al fatto che i suoi estensori non avevano nemmeno immaginato il caso che un primo ministro incriminato cercasse di ottenere il reincarico. L’argomento è apparso debole agli occhi della Corte tanto che a un certo punto, durante l’udienza di domenica pomeriggio, la presidente Hayut – secondo la ricostruzione di Times of Israel – è sbottata coi firmatari della petizione: “Mostrateci qualcosa! Una legge! Un verdetto! Dalla storia di questo paese o da un’altra parte del mondo! Dopotutto ci state chiedendo di stabilire un precedente globale! Volete che emettiamo una sentenza senza basi giuridiche, semplicemente sulla base della vostra opinione personale?”.

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I giudici hanno anche messo in chiaro che la Knesset è l’organo che nomina il primo ministro e che la Corte è vincolata a rispettare pienamente la decisione di natura intrinsecamente politica del parlamento, dal momento che essa è conforme allo spirito e alla lettera della legge. Hayut ha fatto esplicito riferimento al potere della Knesset di scegliere il primo ministro come “il cuore dei poteri politici fondamentali del ramo legislativo”.

Per quanto riguarda l’accordo di coalizione, Hayut lo definisce “molto insolito” e aggiunge che alcuni suoi elementi “sollevano serie difficoltà”. Tuttavia, la Corte ha stabilito che non vi era motivo di intervenire “in questo momento”: una frase che sembra lasciare la porta aperta a future contestazioni delle leggi che stanno alla base dell’accordo, una volta approvate. 

Hayut aggiunge che la Corte non è intervenuta anche grazie alle risposte ricevute martedì da Likud e Blu-Bianco, che si sono impegnati a modificare alcuni elementi dell’accordo per venire incontro alle critiche sollevate dalla Corte. Tutti gli altri 10 giudici della Corte hanno sottoscritto la sentenza stesa da Hayut.

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Il Wall Street Journal  ha scritto  che nei primi sei mesi, il nuovo governo guidato da Netanyahu si concentrerà su due tipi di misure: quelle economiche, per sostenere la ripresa dopo la crisi dovuta al coronavirus, e quelle che prepareranno l’annessione di una parte delle colonie israeliane in Cisgiordania, che Israele occupa dal 1967 nonostante la comunità internazionale le consideri parte del futuro Stato palestinese.

I paletti posti dalla Corte Suprema servono anche a rendere più impervio il cammino del “Governo dell’annessione”.

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