Parla Ahmed Tibi: "Ora Israele ha un governo, ma non avrà la pace"

Parla il leader storico degli arabi israeliani ed oggi presidente della Joint List, la Lista araba unita , terza forza alla Knesset con i suoi 15 parlamentari

Ahmed Tibi leader storico degli arabi israeliani
Ahmed Tibi leader storico degli arabi israeliani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Maggio 2020 - 16.04


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“Di eccezionale, il Governo appena nato ha il numero senza precedenti di ministri e vice: 36 ministri e 16 vice. Netanyahu e Gantz hanno comprato la fedeltà dei loro parlamentari, moltiplicando le poltrone. Il loro, è un patto di potere che non ha nulla a che vedere con la guerra al Covid. La nostra sarà una opposizione intransigente. Ne abbiamo la forza e tutte le intenzioni”.

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A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa a Globalist è Ahmed Tibi, il leader storico degli arabi israeliani ed oggi presidente della Joint List, la Lista araba unita , terza forza alla Knesset con i suoi 15 parlamentari. Tibi è stato anche vice presidente del Parlamento israeliano e, attirandosi l’ira e minacce di morte dall’estrema destra israeliana, consigliere di Yasser Arafat per gli affari israeliani.

La Knesset ha appena votato la fiducia al Governo fondato sull’alleanza tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz: 73 voti a favore, 46 contrari. Nei numeri è una maggioranza granitica…

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“Nei numeri, per l’appunto. Ma sul piano politico, il discorso è ben altro. Quello tra Netanyahu e Gantz è un patto di potere, costruito su una frode elettorale….”.

Parole che lei, presidente del gruppo parlamentare della Joint List, ha “lanciato” contro Netanyahu mentre il primo ministro interveniva alla Knesset…

“Se per questo, ho anche gridato a Netanyahu che lui è un bugiardo patologico. Sì, questo Governo nasce su una frode elettorale, visto che Gantz ha tradito gli elettori di Kahol Lavan (Blu e Bianco, ndr), perché per tutte le ultime campagne elettorali ha sempre sostenuto che ogni voto per lui e la sua coalizione era un voto contro un primo ministro che stava minacciando il sistema democratico, attaccando frontalmente magistratura, polizia, cosa mai vista nella storia d’Israele. Gantz ha dato dell’eversore a Netanyahu e ora si accorda con lui per spartirsi la poltrona di primo ministro. Questa è una frode elettorale bella e buona. Una vergogna”.

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Tra i punti programmatici del Governo varato c’è l’annessione di parti della Cisgiordania. Gantz ci va più cauto…

“E’ solo una questione di facciata. Nella sostanza, tra i due non c’è alcuna differenza. D’altra parte, Gantz in piena campagna elettorale si è precipitato alla Casa Bianca per affermare il suo sostegno al cosiddetto ‘Piano del secolo’ dell’amministrazione Trump. Un piano che pone fine al dialogo con i Palestinesi, che decreta la morte di un accordo di pace fondato sulla soluzione a due Stati…”.

La Joint List ha marchiato l’esecutivo appena nato come il “Governo dell’annessione”…

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“Una definizione che riflette la realtà. Sì, quello Netanyahu-Gantz è un Governo dell’annessione, che porta alle estreme conseguenze la politica colonizzatrice dei governi precedenti. Che questa fosse la determinazione di Netanyahu e della destra più oltranzista, lo sapevamo. In questo, dobbiamo dare atto al primo ministro di nuovo in carica, di coerenza. So bene che Netanyahu e coerenza sembra un ossimoro, ma in questo caso, no. Perché ogni atto compiuto da Netanyahu nei suoi dieci anni e oltre da primo ministro, è andato contro la pace. Ora, con il sostegno di Trump, vuole concludere il lavoro, istituzionalizzando il regime di apartheid realizzato in Cisgiordania. Per la destra israeliana, non è un problema di sicurezza, non lo è mai stato. Questi falchi fondamentalisti hanno sempre avuto in testa l’idea di realizzare il disegno del Grande Israele. E nel Grande Israele non c’è posto per il popolo palestinese e, se potessero farlo, neanche per gli arabi israeliani, che pure rappresentano oltre il 20% della popolazione. Il piano di annessione risponde a questa ideologia, che Gantz ha fatto sua. Ma così, Israele ha un governo ma non avrà pace. Perché la realizzazione di questo piano di annessione trasformerà il Medio Oriente in una polveriera pronta ad esplodere. A testimoniarlo è anche la durissima presa di posizione di re Abdallah II di Giordania. Stiamo parlando di uno dei pochi Paesi arabi che hanno un trattato di pace con Israele”.

Alla comunità internazionale dovrà pensarci h24 il neo ministro degli Esteri, Benny Gantz…

“Ma non scherziamo! A dettare la linea sarà sempre Netanyahu, perché lui sa di poter contare sul sostegno incondizionato di Trump. Certo, se a novembre non dovesse esserci più lui alla Casa Bianca…”.

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Intanto, il piano dell’annessione ha già una data di inizio: l’1 luglio. Gantz sembra voler prendere tempo…

“Ma il tempo non è una variabile indipendente in questa storia. E’ un fattore fondamentale, e questo lo sanno bene sia Netanyahu che Trump. Netanyahu, perché la realizzazione di quel piano prima della staffetta con Gantz (fissata per settembre 2021, ndr) gli servirà come un patrimonio da spendere per la prossima campagna elettorale. Quanto a Trump, la realizzazione di quel piano serve per garantirsi i voti della componente più conservatrice dell’ebraismo americano e, soprattutto, degli evangelici che su Israele hanno una posizione ancora più fondamentalista dei fondamentalisti israeliani”.

In questo scenario, che ruolo intende svolgere la Joint List?

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Faremo una opposizione intransigente ed eserciteremo tutte prerogative che sono proprie della maggiore forza parlamentare di opposizione. Non faremo sconti, questo è sicuro”.

Esistono ancora spazi per rilanciare un negoziato con la dirigenza palestinese?

Con questo Governo, direi proprio di no. Non ne esistono le condizioni, non ne esiste la volontà da parte israeliana. Mai come oggi, la pace dipende dall’azione internazionale….”.

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Un discorso che, con Trump alla Casa Bianca, sembra riguardare soprattutto l’Europa.

“L’Europa sembra ancora legata alla soluzione ‘a due Stati’. Ma le parole non bastano, occorrono i fatti. E un fatto importante sarebbe il riconoscimento da parte dell’Unione Europea, e dei singoli Stati membri, dello Stato di Palestina nei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Si tratta di far rispettare le risoluzioni Onu al riguardo, e ristabilire la legalità internazionale. All’Europa chiediamo un atto di coerenza, non di coraggio”

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