Hiroshima, il mondo non ha imparato niente: 75 anni dopo, il nucleare è ancora pronto a cancellare la vita

Trump ha cancellato gli accordi sulle armi intermedie, la Russia possiede 1.500 bombe, la Nato 150. India, Corea del Nord e Pakistan stanno svecchiando gli arsenali.

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6 Agosto 2020 - 09.12


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Sono passati 75 anni da Hiroshima e Nagasaki, ma il mondo non ha ancora imparato la lezione: nei prossimi vent’anni, i 9 paesi detentori di bombe termonucleari spenderano fra i 1.500 e i 2.000 miliardi di dollari per rinverdire gli arsenali, acquistando bombardieri, costruendo sommergibli e lanciamissili che hanno lo scopo preciso di annientare la vita sulla Terra. Da due anni, da quando Trump ha si è sfilato dall’accordo sulle armi nucleari intermedie, anche la Russia si è riorganizzata. 
Ci sono ben 4 scenari diversi in cui la Russia ha avvertito che utilizzerebbe l’atomica: 3 si riferiscono a minacce dirette al territorio russo o alleato. E considerato che la Russia possiede 1.500 bombe nucleari pari a quella che distrusse Hiroshima, a fronte delle 150 possedute dalla Nato in Belgio, Paesi Bassi, Germania, Italia e Turchia, la situazione è incandescente. 
Gli Usa nel 2018 hanno messo in cantiere un missile da crociera navale a carica nucleare. La giustificazione è una difesa contro la Cina, che per prima ha riaperto le danze con i missili nucleari intermedi puntati verso le basi americane nel pacifico. A febbraio scadrà il trattato sulle armi nucleari strategiche fra Russia e Stati Uniti, e non si parla da nessuna parte di un rinnovo.
Ma si stanno muovendo anche India, Pakistan, Corea del Nord: Dehli aveva 130-140 ogive nel 2019. Oggi è balzata a 150. Islamabad è passata da 140-150 a 160. Nel 2018, Pyongyang aveva annunciato una moratoria sulle attività nucleari, promettendo una denuclearizzazione della penisola dopo l’ennesimo riavvicinamento “storico” con Seul. Parole al vento: l’arsenale di Kim è aumentato nel giro di un anno da 20-30 testate a 40. 
Insomma, 75 anni dopo il giorno più nero della storia dell’umanità, siamo ancora in pericolo, forse come mai prima. 

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