La spartizione del petrolio ha dato i suoi primi frutti. Cessate- il- fuoco ed elezioni: per la Libia si apre finalmente uno spiraglio di pace. Il presidente del governo di accordo nazionale Fayez al-Sarraj e quello del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, hanno annunciato la cessazione delle ostilità “su tutto il territorio” e la ripresa del processo politico che “porti a nuove elezioni a marzo”.
Sarraj, riporta il portale Libya Oserver, ha dato ordine alle forze fedeli al governo di accordo nazionale (Gna) di cessare “immediatamente” le ostilità, precisando che l’iniziativa prevede anche la “smilitarizzazione” di Sirte e al-Jufra, dove saranno dispiegate forze di polizia di entrambe le parti in conflitto per garantire la sicurezza. “L’obiettivo finale del cessate il fuoco è ripristinare la piena sovranità sul suolo libico ed espellere le forze straniere e i mercenari”, ha dichiarato in una nota Sarraj, che ha quindi sollecitato la ripresa della produzione e dell’export petrolifero attraverso la Noc, la compagnia petrolifera della Libia, con una divisione equa dei proventi sulla base di quanto deciso alla Conferenza di Berlino.
La spartizione dell’oro nero
Secondo l’accordo tra al-Sarraj e Saleh i proventi andranno a un conto esterno della Banca nazionale libica e da cui si attingerà solo dopo un’intesa tra le parti. Saleh, secondo il portale, ha anche chiesto il trasferimento del “nuovo” consiglio presidenziale a Sirte dopo l’attuazione del cessate il fuoco.
Quanto a Sarraj, il Presidente del Consiglio presidenziale annuncia che sta adottando tutte le misure per sostenere la gestione efficiente e ideale delle risorse petrolifere. Dunque bisogna riprendere la produzione e l’esportazione petrolifera, a condizione che i proventi siano depositati in un conto speciale della Noc presso la Libyan Foreign Bank”, considerata l’unica ad avere il diritto di “supervisionare la messa in sicurezza dei giacimenti e dei terminali petroliferi in tutta la Libia”.
Nessuna reazione, per ora, dal generale Haftar. Ma è il suo principale supporter, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ad accogliere “con favore” la decisione, definita un “passo importante” sulla strada per il ripristino della stabilità. Le ragioni che hanno portato all’inizio del processo di pacificazione della Libia sono maturate nel corso degli ultimi mesi, dopo il fallimento dell’offensiva su Tripoli lanciata ormai un anno fa dal generale Haftar. Il governo guidato da al-Sarraj aveva iniziato la riconquista dei territori fino ad arrivare alle porte di Sirte. La città, considerata una “linea rossa” da Tobruk e dall’Egitto, rischiava quindi di cadere. E di aprire le porte della cosiddetta ‘Mezzaluna petrolifera’ all’esecutivo di Tripoli. La reazione di al- Sisi era stata immediata: ”Siate pronti a condurre qualsiasi missione, qui, all’interno dei nostri confini, o, se necessario, all’esterno”, aveva dichiarato il presidente a fine giugno.
L’annuncio dell’accordo avviene alcuni giorni dopo la decisione di Haftar di far ripartire la produzione petrolifera negli impianti controllati dal suo esercito. La motivazione principale di quella decisione – concordano analisti politici ed economici – nasce da un’esigenza specifica: quella di evitare un blackout totale nell’intera Cirenaica, con effetti disastrosi sulla popolazione civile. Le uniche due centrali che alimentano l’est della Libia, situate a Bengasi e Zueitina, funzionano a gas. O meglio, con un tipo di gas condensato che produce un liquido particolarmente pregiato che viene in larga parte esportato. Ma il blocco dei terminal di esportazione ordinato dallo stesso Haftar il 18 gennaio scorso per “difendere gli interessi del popolo libico”, alla vigilia della Conferenza internazionale di Berlino sulla crisi libica, ha portato alla capienza massima i depositi di stoccaggio del gas condensato. In altre parole, non era più possibile produrre altro combustibile perché non si sapeva più dove metterlo, né cosa fare con le ingenti quantità ammassate nei depositi con enormi rischi per la popolazione e per l’ambiente. Secondo quanto appreso da Agenzia Nova, senza interventi nel giro di 48-72 ore la produzione di gas si sarebbe arrestata e la Cirenaica intera sarebbe rimasta senza luce, senza aria condizionata e senza internet.
D’altro canto, le perdite finanziarie del blocco petrolifero hanno raggiunto oltre 8,36 miliardi di dollari da gennaio al 15 agosto 2020. Lo ha affermato la stessa compagnia petrolifera libica, secondo quanto riportato dal sito libico The Lybia Observer.
Noc ha ammesso che il blocco petrolifero ha contribuito alle interruzioni di corrente in Libia, oltre alle perdite finanziarie aggiungendo che i porti petroliferi dovrebbero essere riaperti per riprendere la produzione e l’esportazione di petrolio. Non solo. Sempre secondo la compagnia libica, che la chiusura dei porti petroliferi nel Golfo di Sirte è la ragione principale delle interruzioni di corrente nella Libia orientale “Con la chiusura dei porti nel Golfo di Sirte, i serbatoi di condensa nei porti di esportazione saranno riempiti in pochi giorni, quindi la produzione di gas associato alla condensa, che alimenta le centrali di Zueitina e a nord di Bengasi, cesserà”. La Libia orientale è stata colpita da un’ondata di ore di blackout nelle ultime settimane, a causa dell’aumento della calura estiva in Libia.
“Il petrolio libico – annota Marco Indelicato su Inside Over– ha due grandi qualità: le sue caratteristiche permettono l’abbattimento dei costi di raffinazione, inoltre è molto vicino all’Europa e lo si può avere con poche ore di navigazione a dispetto invece dei tanti giorni da impiegare per quello saudita o di altre parti del medio oriente. Ecco perché il greggio estratto dal sottosuolo della Libia è così prezioso e ricercato, oggetto di dispute tanto politiche quanto militari. C’è quindi tutto l’interesse a far riavviare la produzione e l’esportazione in tempi rapidi”.
“Nel Paese nordafricano – rimarca ancora Indelicato, tra i più attenti e documentati analisti della realtà libica – il petrolio è una risorsa imprescindibile, ma anche un grave problema: su di esso si riversano interessi interni ed internazionali che hanno contribuito e non poco ad alimentare il clima di conflitto degli ultimi anni. Tra contrabbando, milizie che controllano terminal ed attori locali ed esteri che si contendono i pozzi, la situazione più di una volta ha rischiato di deflagrare definitivamente. Ma il problema principale ruota attorno ai dividendi dei proventi del greggio. Gli impianti sono sparsi in tutto il Paese, ma i soldi vanno soltanto alla Banca Centrale situata a Tripoli. E dunque nel pieno del controllo unicamente del governo stanziato nella capitale libica, quello cioè guidato da Fajez al-Sarraj. Questo ha fatto sì che l’unica vera cassaforte in questi anni fosse situata a Tripoli, mentre in Cirenaica e nel Fezzan è arrivato poco o nulla. Ma non solo: la guerra in Libia in questi anni ha generato diverse entità che rivendicano il controllo su determinati territori. In Cirenaica, dove Haftar controlla buona parte della regione con pozzi annessi, di soldi ne sono arrivati ben pochi. Anzi, per continuare a sopravvivere il governo dell’est della Libia ha dovuto far stampare in Russia i Dinari necessari per la propria economia. Non è però soltanto una questione legata al duello tra al-Sarraj ed Haftar. Nel Paese nordafricano ogni tribù, ogni gruppo ed ogni milizia rivendica una propria quota nella spartizione dell’enorme mole di soldi che arriva dal petrolio. Una torta molto ampia, a cui nessuno vuole rinunciare. Ed il fatto che i Dinari vengano intascati soltanto a Tripoli non va giù. Durante l’era Gheddafi, il rais ha garantito un certo equilibrio tra i vari gruppi distribuendo a tutti, a chi più ed a chi meno, i soldi proventi dell’esportazione del greggio. Oggi con un Paese dilaniato e diviso in centinaia di fazioni, l’equa ripartizione del petrolio è il vero problema su cui si potrebbe decidere il futuro della Libia”.
Le reazioni internazionali
Soddisfatta la missione dell’Onu in Libia, Unsmil, che saluta la “coraggiosa” iniziativa. “Accogliamo con favore le dichiarazioni del Consiglio di Presidenza e della Camera dei Rappresentanti sul cessate il fuoco – in Libia – e l’attivazione del processo politico”, ha scritto su Twitter la Missione di supporto dell’Onu in Libia (Unsmil).
Il governo tedesco saluta con favore le prime notizie di un accordo in Libia che potrebbe portare alla tregua: “Non conosciamo i dettagli dell’accordo, ma sarebbe un primo segnale importante per la pacificazione del conflitto”, ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Adebahr, in conferenza stampa a Berlino. “Il governo tedesco spera e si aspetta che tutti gli attori coinvolti vadano avanti su questo processo con spirito costruttivo”, ha aggiunto.
L’Italia “accoglie con grande favore” il cessate il fuoco in Libia e “continuerà a svolgere il suo ruolo attivo di facilitazione per una soluzione politica alla crisi”,si legge in una nota della Farnesina. L’Italia “esorta tutte le parti interessate a dare un seguito rapido e fattivo al percorso delineato nei comunicati del Consiglio Presidenziale e dalla Camera dei Rappresentanti” e “auspica una concreta applicazione a tutte le articolazioni dell’industria petrolifera libica su tutto il territorio del Paese”.
Il petrolio, e ancora il petrolio. E’ stato il controllo delle ricchezze petrolifere e di gas, e non certo la difesa dei diritti umani, a scatenare nel 2011 la guerra che portò alla caduta del regime di Gheddafi e all’eliminazione fisica del Colonnello. Nove anni dopo, è ancora il petrolio, e il suo controllo, a determinare il futuro della Libia. Sono in tanti a voler mettere le mani sull’oro nero. Dentro e fuori il Paese nordafricano: Russia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi, Francia, Germania, Italia e l’elenco potrebbe proseguire a lungo. La guerra per procura potrà dirsi finita solo quando gli attori esterni decideranno come spartirsi la “torta petrolifera”. E su questo che si giocherà il futuro della Libia.