Mediterraneo orientale, il Sultano Erdogan alla battaglia navale

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha rivendicato l'incidente come una risposta di Ankara alla minaccia della Marina greca.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Agosto 2020 - 12.23


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Mentre in Italia impazza l’”affaire Billionaire”, nel vicino Mediterraneo spirano venti di guerra. Non ci riferiamo, stavolta, alla Libia, ma al braccio di ferro in atto tra Turchia e Grecia. La scorsa settimana nel mar Mediterraneo orientale si sono scontrate una nave da ricognizione turca e una nave da guerra greca.
La nave turca stava scortando la Oruc Reis, una grossa nave per l’esplorazione  che andava alla ricerca di giacimenti di petrolio e gas naturale. L’incidente è avvenuto in acque rivendicate sia dalla Grecia che dalla Turchia, due paesi che da anni stanno competendo per il controllo delle risorse di questo pezzo di mare.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha rivendicato l’incidente come una risposta di Ankara alla minaccia della Marina greca. “Lo avevamo detto, se ci attaccano pagheranno un prezzo altissimo. Oggi hanno avuto la prima risposta”, ha commentato. Minaccioso. Battaglia navale La nave di ricerca Oruc Reis (ovvero “Barbarossa”) è accompagnata da uno schieramento formato da ben sei fregate e sei corvette e, sicuramente, da almeno un sommergibile. Secondo le rilevazioni greche, la Turchia ha messo in campo una flotta complessiva di circa venticinque navi da guerra in tre diversi settori del Mediterraneo orientale.
Tant’è vero che la flotta greca, pur inviata sul luogo con un tempo di reazione di due ore, non può far altro che osservare a distanza le manovre della nave esploratrice turca. Siamo di fronte ad una vera e propria prova di forza muscolare da parte della marina turca, ovvero del governo di Erdogan, nei confronti della rivale Grecia. Dimostrazione che si aggiunge ai sorvolamenti giornalieri delle isole greche da parte dell’aviazione turca, che suscitano da mesi le pur deboli proteste di Atene. Difficoltà economiche interne turche, complicate dall’emergenza Covid-19, spingono certamente il governo turco, così come è stato con la trasformazione di Santa Sofia in moschea, a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica con iniziative di carattere militare fuori dai confini. In questo momento la Turchia conduce operazioni in Siria, Iraq, Libia, fino alle esercitazioni militari con l’Azerbaigian in contrapposizione all’Armenia. Le tensioni più recenti stanno suscitando allarme anche nei Paesi non direttamente coinvolti nella disputa, ma che per una ragione o per l’altra potrebbe subirne le conseguenze: per esempio alcuni stati dell’Unione Europea, e tra questi l’Italia, del Nord Africa e del Medio Oriente. Atene e Ankara hanno fatto sapere, che eseguiranno operazioni nelle stesse zone. Il governo greco ha annunciato oggi con un Navtex, cioè, avviso ai naviganti, che condurrà manovre militari, navali e aeree, nelle stesse aree in cui lo farà la Turchia con la nave Oruc Reis, in acque che la Grecia considera proprie. Le operazioni sono previste a sud est di Creta, nell’area di Rodi e Castelrosso, dal 25 al 27 di agosto. Da quando riporta l’agenzia Nova, l’annuncio di Atene sarebbe una risposta alla decisione del governo turco di prolungare le attività di ricerca sismica per le esplorazioni di gas e petrolio nel Mediterraneo orientale, nelle vicinanze dell’isola greca di Castelrosso (Kastellorizo). È prevista anche una serie di manovre congiunte da parte dell’aeronautica di Grecia e Emirati Arabi Uniti a largo dell’isola di Creta. In un’intervista all’emittente americana Cnn, il premier greco Kyriakos Mitsotakis, ha invitato alla Turchia a porre fine alle azioni unilaterali nel Mediterraneo orientare e ad aprirsi al dialogo con la Grecia:
“Fermate le provocazioni ed avviamo un dialogo come vicini civilizzati. Se il dialogo come vicini civilizzati non c’è, allora possiamo sempre portare la questione davanti alle Corti internazionali. La Grecia non ha mai fatto salire le tensioni per prima”. Per il premier greco, con queste ultime azioni il governo di Erdogan vuole “militarizzare la questione migratoria”, senza rispettare le regole e i diritti internazionali.
Come ricorda l’agenzia Nova, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, aveva dichiarato a settembre che “tutte le opzioni sono sul tavolo” riguardo le attività “illegali” della Turchia nel Mediterraneo orientale. La solidarietà dell’Ue, dunque, è per la Grecia e Cipro. Ma per il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias, l’Europa deve fare di più, intensificando la sua risposta alle aggressioni compiute dalla Turchia nel Mediterraneo orientale:
“L’escalation dell’aggressione turca è diretta contro l’Unione europea e di conseguenza anche la risposta dell’Europa deve essere intensificata per contrastarla”. Ma cosa si cela dietro la politica muscolare del Sultano? Interessante è la lettura Gaetano Sabatini, direttore dell’Isem.Cnr, Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea, e professore ordinario di Storia economica presso l’Università degli Studi Roma Tre, dove ha insegnato anche Geopolitica economica. “Dietro – annota il profesor Sabatini – vi è, indubbiamente, la gravissima crisi economica della Turchia che Erdogan  sta disperatamente cercando di coprire. Sulla Turchia sta per abbattersi una tempesta finanziaria, che potrebbe risultare fatale e alla quale Erdogan rischia di non sopravvivere politicamente. Solo un cospicuo prestito internazionale potrebbe salvare la Turchia dal collasso, ma al contrario il presidente turco prova a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle questioni economiche accendendo il nazionalismo con azioni in patria e nel Mediterraneo. La riconversione di Santa Sofia in moschea e le provocazioni militari nei confronti della Grecia in materia di esplorazioni energetiche possono essere lette in quest’ottica. Contemporaneamente però Ankara cerca un accordo internazionale per dare ossigeno alle casse turche, rivolgendosi come sempre a Stati Uniti, Fmi, Ue e agli altri partner internazionali”. Erdogan, concordano analisti di geopolitica, è sempre più convinto della necessità per la Turchia di entrare nel Forum del gas del Mediterraneo e di trasformare il Paese in un hub regionale e la scoperta di riserve di gas nel mar Nero può aiutare il presidente a realizzare i suoi piani. La fornitura di idrocarburi a buon prezzo e la partecipazione alla realizzazione delle infrastrutture necessarie per il trasporto del gas turco potrebbero essere usate da Ankara per migliorare i rapporti con Atene.  Così facendo, la Turchia potrebbe strappare alla Grecia alcune concessioni politiche sul Mediterraneo ed evitare che la tensione sempre maggiore nel Mare nostrum si acuisca ulteriormente fino a trasformarsi in un vero e proprio scontro. In quest’ottica si inserisce tra l’altro l’incontro di oggi tra il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas e il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, per discutere della situazione nel mare nostrum e trovare una soluzione diplomatica alla crisi con la Grecia.
La Francia in mare
Nel Mediterraneo orientale la situazione è preoccupante – twitta il presidente francese Emmanuel Macron -. Le decisioni unilaterali della Turchia in tema di esplorazioni petrolifere provocano tensioni. Devono spegnersi, per permettere un dialogo pacifico tra Paesi vicini, e alleati Nato».Un dialogo che il presidente francese, in ogni caso, attende passando all’azione: «Ho deciso di rinforzare temporaneamente la presenza militare francese nel Mediterraneo orientale, nei prossimi giorni, in cooperazione con i partner europei, Grecia inclusa». La replica, immediata, del Sultano di Ankara è una sferzata alla grandeur francese: “Nessuno dovrebbe vedersi ingrandito come un gigante nello specchio – ha detto Erdogan senza neppure nominare Parigi ma accennando ai “passi falsi” di un Paese “che non ha neppure una costa nel Mediterraneo orientale”. A noi “non interessa fare spettacolo davanti alle macchine fotografiche”, ha aggiunto il presidente turco riferendosi al viaggio di Macron a Beirut, neanche due giorni dopo la terribile esplosione del 4 agosto scorso: “Macron e compagnia vogliono ristabilire l’ordine coloniale” in Libano, sentenzia il Sultano. “Una guerra nel Mar Egeo significherebbe la fine della Nato e spingerebbe la Turchia definitivamente nell’orbita russa”. Non ha dubbi Cem Gurdeniz, che nella Marina turca ha rivestito il grado di contrammiraglio ed ora dirige il centro studi marittimi della Koc University. Laico, nazionalista, in un’intervista all’Agi specifica subito che la dottrina da lui teorizzata della “Patria blu” (Mavi Vatan in turco) non ha nulla a che vedere con l’Islam e con il partito Akp al potere ,del presidente Erdogan, che però ne trae ispirazione per le proprie politiche. “Mavi Vatan descrive il ritorno della Turchia al mare, l’unione tra Anatolia e Mediterraneo orientale, si tratta di una dottrina con cui la Turchia persegue i propri diritti nel Mediterraneo”, specifica l’ammiraglio. Un ritorno di ottomana memoria, per realizzare il quale la Turchia si trova da sola contro Grecia, Egitto, Israele, Cipro, Usa e Ue, secondo Gurdeniz “esattamente come a Sevres nel 1920”, quando l’impero ottomano fu smembrato per volere delle altre potenze in gioco. “Oggi come allora la Turchia si trova da sola a combattere per la propria mappa. In passato l’obiettivo delle potenze occidentali era quello di rinchiudere la Turchia nei confini anatolici, ma ora i tempi sono cambiati e dal 2002 che Mavi Vatan ci consente di farci valere, attraverso la diplomazia delle navi da guerra e delle trivelle”.  “Alla base dell’aggressività turca – rimarca su starmag.it Fabrizio Ansello – vi è la volontà di Erdogan di giocare un ruolo di primo piano nella partita del gas nel Mediterraneo orientale. Ankara, infatti, anche grazie al possibile sfruttamento del gas estratto nell’area, mira a rafforzare la propria ambizione di diventare un vero e proprio ‘corridoio energetico’ per il gas diretto verso il vecchio continente. Già oggi, attraverso il territorio turco, passano i tubi del Turk Stream, che, una volta completato, porteranno il gas russo in Europa così come quelli del Corridoio Meridionale del Gas, che collega l’Europa con i giacimenti dell’Azerbaijan. Per questo motivo Erdogan spera di riuscire a convogliare in Turchia almeno parte del gas presente nel Mediterraneo orientale, tanto da prevedere la possibile costruzione di un gasdotto tra Turchia e Repubblica turca di Cipro settentrionale: una condotta lunga appena 80 km, con costi quindi largamente inferiori rispetto a Eastmed, il progetto sostenuto da Bruxelles. L’ambizione del presidente turco, però, sembra scontrarsi in questo momento proprio con il fatto che, ad inizio gennaio, Grecia, Israele e Cipro si sono incontrati ad Atene per siglare un accordo per l’avvio dei lavori di costruzione del nuovo gasdotto “europeo”.
Roma balbetta
All’aggressività di Erdogan fa da contraltare il balbettio italiano.
Rileva sul Corriere della Sera Franco Venturini: “La partita italo-turca, e la credibilità reciproca, si giocano in Libia e nel futuro delle sue ricchezze energetiche. Mentre Erdogan spara volentieri e sogna una rivincita neo-ottomana, l’Italia balbetta, non crea proposte che non siano inutili conferenze, e non ha un fronte politico interno in grado di appoggiare un uso intelligente (come in verità è stato fatto a Misurata) dello strumento militare.
Silvia Romano ci ha aiutati a sollevare un coperchio che la politica estera italiana preferiva tenere chiuso. Ora si tratta di affrontare quel che bolle in pentola”. Ma dalle parti di Palazzo Chigi e della Farnesina non sembra essere questa una priorità. Nel Mediterraneo l’Italia è sempre più ai margini, fuorigioco, succube di sultani, rais, autocrati, e del protagonismo francese. Ps. Alla brava Federica Sciarelli suggeriamo una puntata speciale di Chi l’ha visto? dedicata a Luigi Di Maio, un fantasma di ministro. L’ultima segnalazione lo dava su una imbarcazione in dolce compagnia.

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