Tra i tanti esempi di figure che attraverso il femminismo hanno svelato codici e modalità di reiterazione di rapporti di dominio e subordinazione, non fermandosi alla decostruzione critica me lavorando per contrastarne le cause una figura simbolo è stata certamente Ruth Bader Ginsburg.
Avvocata, nominata per la Corte d’appello degli Stati Uniti d’America per il Distretto della Columbia da Jimmy Carter nel 1980 e poi, dal 1993, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti su nomina di Bill Clinton.
Nata a Brooklyn nel 1933, laureata nel 1959 in Giurisprudenza all’Harvard Law School (dove era una delle sole nove studentesse in una classe di circa 500 persone) è una delle quattro donne che abbiano mai fatto parte della Corte Suprema, assieme a Sandra Day O’Connor (giudice dal 1981 al 2006), Sonia Sotomayor (in carica dal 2009) ed Elena Kagan (in carica dal 2010).
Per gran parte del suo percorso professionale, Ginsburg si è occupata dei diritti delle donne, promuovendo l’uguaglianza di genere e la parità tra i sessi.
Dopo aver tenuto un corso universitario su “Gender and Law” presso la Rutger Law School e iniziato a censire le leggi discriminatorie vigenti negli Stati Uniti, nel 1973 con la causa Frontiero v. Richardson, che vede una sottotenente dell’aeronautica essere discriminata rispetto ai colleghi maschi per ragioni di indennità, inaugura una serie lunghissima di successi e cattura l’interesse dei giudici con la forza dell’argomentazione e solidi richiami alla storia delle donne e delle loro discriminazioni.
Baden Ginsburg chiede che la discriminazione sessuale sia equiparata a quella razziale – riproponendo in qualche modo l’accostamento tra assoggettamento femminile e assoggettamento degli afro-americani già vittime di schiavitù – e racconta come sia, da donna, essere una cittadina dimidiata (la fatica iniziale nel trovare lavoro presso uno studio legale in quanto donna, lo stipendio molto più basso rispetto ai colleghi maschi per il fatto di avere un marito con un lavoro ben retribuito, e così via).
Ma soprattutto – di qui l’insegnamento più profondo che può derivare da uno sguardo imprevisto sul diritto – mostra che la discriminazione di genere può colpire tutti e tutte difendendo un vedovo al quale, in quanto uomo, era stato negato il sussidio sociale paterno.
In alcune occasioni ha così spiegato la sua lunga attività – narrata anche nel film On the Basis of Sex (in italiano: Una giusta causa) diretto da Mimi Leder, uscito alla fine del 2018, e nel documentario RBG (Alla corte di Ruth), uscito nel 2019 per la regia di Betsy West e Julie Cohen: “Non chiedo favori per il mio sesso, tutto quello che chiedo ai nostri fratelli è che smettano di calpestarci”, citando l’amata Sarah Moore Grimké, autrice di quelle Lettere sull’eguaglianza (1838, qui l’edizione italiana http://www.castelvecchieditore.com/prodotto/poco-meno-degli-angeli/) in cui stanno le radici del suffragismo e della rivendicazione dei diritti delle donne.