Il Sultano della Nato in attacco sul fronte azero. Nel silenzio di Bruxelles, con il servilismo di Roma.
“La Turchia non è sola – rimarca Federico Petroni su Limes, la rivista italiana di geopolitica — Non soltanto il suo atteggiamento bellicoso ha evidentemente imbaldanzito gli azeri e li ha convinti a restituire agli armeni lo schiaffo di luglio. Ma le tre notizie evidenziano come Ankara riesca a non rimanere isolata, come anche in occasione delle crisi più violente essa sia in grado di attivare leve che le forniscono sostegno diplomatico. Non esattamente un dettaglio per un paese fino a pochi mesi fa schernito per aver del tutto disatteso il mantra “zero problemi con i vicini”.
I rapporti con Tbilisi erano gelidi fino a qualche anno fa, ora invece la possibilità di fare uno sgambetto alla Russia accosta i georgiani ai turchi. Le due ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale mostrano di non allinearsi automaticamente a Mosca. E nel caso di Israele pesano i profondi rapporti militari con Baku, ai quali Ankara non è affatto estranea e che palesano come per lo Stato ebraico possa convivere con una Turchia che riscopre la potenza.
Un altro modo per la Turchia di non restare sola è provarsi a vendere come alfiere dell’Occidente. O almeno è così che parte dell’élite anatolica spaccia l’attuale attivismo di Ankara. In Libia sostiene i nemici dei clienti della Russia. In Siria combatte sempre gli alleati di Mosca e di Teheran. Ora si aggiunge il Caucaso, dove il suo sostegno agli azeri minaccia l’influenza di russi e iraniani in Armenia. A eccezione della crisi tra Egeo e Mediterraneo, interna alla Nato, Ankara vuole dimostrare che facendo i suoi interessi fa anche quelli degli Stati Uniti.
E dei loro alleati. Il fatto che la Germania dica a Cipro che le sanzioni contro la Turchia – in cui spera Nicosia – non arriveranno è indicativo di questa dinamica. Ankara sa ancora creare più opportunità che problemi all’Occidente strategico”.
Ankara gioca sull’allaccio con Baku sfruttando la continuità linguistica e culturale che l’ex presidente azero Heydar Aliyev chiamava “una nazione con due stati”
Il Sultano e lo Zar
Annota su Internazionale Pierre Haski, direttore di France Inter: “Dietro il conflitto azero-armeno si nasconde l’ambiguità del rapporto russo-turco, che emerge in diverse aree del mondo. I due ex imperi, infatti, si trovano sul campo anche in Siria e Libia. Il Caucaso del sud diventa dunque il terzo “fronte” di questo rapporto complesso che si basa soprattutto sulle relazioni personali tra i due autocrati, Erdogan e Vladimir Putin.
Amici o rivali? Un po’ l’uno e un po’ l’altro, chiaramente, ma sempre attenti a non diventare nemici. La difficoltà del rapporto tra Russia e Turchia è evidente in Siria, nell’enclave di Idlib, dove i due eserciti effettuano pattugliamenti comuni ma dove i due paesi hanno interessi divergenti. Lo stesso vale per la Libia, dove Ankara sostiene il governo di Tripoli mentre Mosca pende dalla parte del maresciallo Haftar, capo militare dell’est. In passato abbiamo creduto che la Turchia, membro della Nato, fosse tentata da un riavvicinamento con la Russia. L’acquisto da parte di Ankara del sistema antimissile russo S-400 aveva addirittura provocato una crisi con gli Stati Uniti. Ma Erdogan non vuole affatto “passare” nel campo russo. Vuole che la Turchia sia considerata una potenza a sé stante, emancipata da un occidente che non la attira più. Il Caucaso è solo l’ultimo teatro di questa strategia, con il rischio, in questo caso, di provocare un po’ troppo la potenza russa. La soluzione o il proseguimento del conflitto nel Nagorno Karabakh dipenderà più da Putin ed Erdogan che da Erevan e Baku”.
Ai piedi di Ankara
Di certo, nulla si deciderà a Roma. Dove il servilismo impera dalle parti della Farnesina. Una riprova la si è avuta ieri. “In Libia una stretta cooperazione tra Italia a Turchia è essenziale, si profila una finestra per progressi per la stabilizzazione”. A sostenerlo è il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, durante la conferenza stampa di ieri alla Farnesina con l’omologo turco Mevlut Cavusoglu.”Sul piano militare sosteniamo i negoziati diretti per un cessate il fuoco duraturo e sostenibile, creando una zona smilitarizzata. Stiamo lavorando alla completa ripresa delle esportazioni di petrolio della Libia per diminuire le tensioni. La Libia merita un futuro stabile , non merita un’altra guerra ma un percorso democratico. I tempi delle armi sono immediati, ma illusori e controproducenti”, ribadisce Di Maio. L’Italia “promuove un più ampio dialogo tra Turchia e Ue” ha aggiunto il ministro degli Esteri . Ricordando che venerdì il Consiglio europeo ha “concordato l’avvio di un’agenda politica positiva con la Turchia”, Di Maio ha sottolineato che l’Italia considera la Turchia “un interlocutore chiave dell’Ue sul fronte della sicurezza e del fenomeno migratorio”.
Interlocutore chiave, sul fronte della sicurezza. Sì avete letto bene: l’autocrate turco che ha portato avanti la pulizia etnica contro i curdi siriani nel Rojava, che ha schierato miliziani jihadisti in Libia, dopo che avevano terminato il lavoro sporco in Siria, viene considerato dall’improvvido ministro “un interlocutore chiave” per la sicurezza!
“Con Cavosuglu abbiamo parlato anche della ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian, ho espresso la preoccupazione per gli scontri, con il rischio di una escalation militare, lo status quo non è sostenibile ma solo una situazione negoziata può essere la soluzione” ha aggiunto il ministro.
Il nulla totale. Eppure anche quel “nulla” declamato da Di Maio infastidisce il suo omologo turco. “Abbiamo parlato dell’Armenia, l’Azerbaijan finora è stato molto paziente, ma non è stata trovata una soluzione. Vediamo che le istituzioni non sono obiettive, considerare allo stesso modo Armenia e Azerbaijan è sbagliato. Bisogna risolvere questo problema”, ha aggiunto Mevlut Cavusoglu.
Già in passato, nell’era ottomana, i turchi avevano cercato di risolvere il “problema”: con il genocidio di un popolo. Ma si sa, in storia, come in geografia, oltre che le lingue, Giggino non va molto bene.
Per non dimenticare
Per capire chi il titolare della Farnesina ha omaggiato è sufficiente, per chi riesce a reggere, guardare il video dell’orrore che testimonia una volta di più la barbarie e l’abominio delle milizie jihadiste mandate da Erdogan per uccidere i curdi. Fondamentalisti islamici in tutto e per tutto uguali allo Stato islamico, con la differenza che invece di obbedire al Califfo obbediscono e sono pagati dal Sultano. Nel filmato (uno dei tanti crimini di guerra) si vedono i miliziani che si identificano come i “Mujahideen di Faylaq al-Majd”, ”Jihadisti del Majid corps”’ che urlano “Allah u Akbar” (Dio è grande) davanti ai cadaveri di combattenti curdi appena uccisi.
E poi una sequela di parole volgari dette mentre qualcuno urlava che i morti erano dei ‘senza Dio”.
Urlava un miliziano barbuto nella città di Tel Abyad: “I cadaveri dei maiali del Pkk e Pyd (Il braccio politico dei curdo-siriani, ndr)) sono sotto i piedi dei Mujahideen di Faylaq .
Poi il video mostra il corpo di una combattente curda delle Unità di protezione femminile (Ypj), che faceva parte delle forze democratiche siriane (Sdf).
“Questa è una delle vostre puttane che ci avete inviato. Questa è una delle puttane sotto i nostri piedi ” dicono ridendo in maniera volgare. In un altro video si mostra una combattente curda fatta prigioniera. E il miliziano dopo aver ringraziato Allah prosegue: “Abbiamo preso una prigioniera del Pkk è nelle nostre mani”. Il tutto mentre dietro un jihadista si vanta: “Ho fatto io questa scrofa prigioniera”. Costoro erano e sono al soldo del Sultano.
Quanto agli 007 turchi, hanno avuto rapporti molto stretti, e compiacenti, con l’Isis, quando dalle porose frontiere turche facevano passare migliaia di foreign fighter che andavano a ingrossare le fila dei nazijihadisti del “Califfo” al-Baghdadi, utile in quel momento al Sultano per contrastare l’allora odiato rais di Damasco, Bashar al-Assad.
Dalla Libia alla Somalia, dal Vicino Oriente al cuore dell’Africa e ora al Caucaso: è il disegno neo-ottomano perseguito da Erdogan. Per realizzarlo, il Sultano ha bisogno di neutralizzare chiunque gli si opponga, facendolo marcire in prigione, fino alla morte, e di costruire alleanze con dittatori africani, come è avvenuto nel Sudan con il dittatore e criminale di guerra Omar al Bashir, deposto nel 2019, con il quale il Sultano concluse un accordo per il restauro di siti ottomani nel Paese. In Africa, la Turchia è una potenza. In Somalia, come in Libia, è la garanzia armata dei governanti in carica. Così come ha trafficato petrolio di contrabbando con al-Baghdadi, il presidente turco sposta miliziani e mercenari sullo scacchiere africano. E ora nel Caucaso.
E tutto questo restando dentro l’Alleanza atlantica. Senza che Bruxelles abbia nulla da eccepire. Il Su quel fronte, come su quello dell’Unione europea, il Sultano della Nato può dormire tra due guanciali. L’arma del ricatto funziona. E se poi hai di fronte un peso piuma, diplomaticamente parlando, come il ministro Di Maio, non c’è proprio partita.
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