Il caso di Zaki e Di Maio, ministro tutto chiacchiere e distintivo

L'Italia è ridotta ad essere lo zerbino del Mediterraneo grazie "alla strategia di genuflettersi" di fronte a tutti i potenti del mondo.

Zaki
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Ottobre 2020 - 12.41


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Ricattati da Haftar. Umiliati da al-Sisi. Trattati come una ruota di
sconta nel Mediterraneo da Erdogan. Quale altro disastro
diplomatico dovrebbe collezionare l’improbabile ministro degli
Esteri, al secolo Luigi di Maio, per conquistare l’oscar del
peggiore attore non protagonista sullo scacchiere internazionale?
Lo zerbino del Mediterraneo. A questo si è ridotta l’Italia. E solo
una certa stampa compiacente, per usare un eufemismo, fa finta
di non accorgersene o, peggio ancora, di bersi le veline di Stato,
che escono dalla Farnesina o da Palazzo Chigi. Basta frequentare
qualche ambasciata di quelle che contano, e anche di quelle che
contano meno, per toccare con mano il discredito, permeato di
battutine, velenosette, di sorrisetti commiseranti, di sfoghi amari
per questa Italia che fa ridere a Bruxelles, per non parlare di
Parigi, e che è ormai è stata relegata a partner secondario nelle
capitali arabe del Vicino Oriente. E se ancora ci stanno a sentire,
è grazie a l’Eni.
Zerbini del Mediterraneo.
Più di genufletti e più vieni umiliato. Il caso di scuola è l’Egitto.
Qui siamo ben oltre la genuflessione. Siamo al servilismo più
completo. All’accettazioni di comportamenti che un qualsiasi
Paese con la schiena diritta e un minimo senso di dignità
nazionale avrebbe da tempo contrastato con forza. Noi, no. Nel
suo scarno vocabolario diplomatico, il nostro ministro degli
Esteri ha inserito, e imparato, una parola che usa con una
reiterazione infinita. La parola “stabilizzazione”, declinata come
sostantivo, aggettivo, verbo, date voi. La sostanza non cambia.
Per Di Maio tutti i gendarmi della Sponda Sud del Mediterraneo
sono “stabilizzatori” con cui è indispensabile tenere stretti
rapporti. E poco importa se questi “stabilizzatori” hanno riempito
le patrie galere di decine di migliaia di oppositori, che hanno
collezionato desaparecidos a miglia da far impallidire l’Argentina
dei generali fascisti. E altrettanto importa, cioè niente, che questi
“stabilizzatori” stanno portando avanti, con i loro mercenari e i
loro armamenti, una politica di destabilizzazione Vicino e Medio
Oriente: dalla Libia alla Siria.
Con il regime del presidente-generale al-Sisi c’è poi l’aggravante
che porta i nomi di Giulio Regeni e Patrick Zaki. Del primo,
della sua tragica fine e della eroica battaglia dei suoi famigliari
per ottenere verità e giustizia per un figlio trucidato al Cairo,
Globalist ne ha scritto a ripetizione, denunciando la sistematica
opera di depistamento compiuta dalle autorità egiziane. E tutto
questo con un potere politico italiano tutto chiacchiere e
distintivo.

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Ora si replica.
Ostaggio di Stato
La notizia è di ieri: Patrick Zaki resterà in carcere per altri 45
giorni. Lo ha riferito la sua legale Hoda Nasrallah dopo l'udienza
celebrata a Il Cairo. E' stata dunque rinnovata la custodia
cautelare per lo studente egiziano dell'Università di Bologna in
carcere in Egitto da febbraio con l'accusa di propaganda
sovversiva su Facebook. "Occorre un impegno serio del governo
italiano per far uscire Patrick da questo incubo", ha
commentato Amnesty International Italia.
Inascoltato il grido della famiglia di Patrick, che alla vigilia
dell'udienza aveva ricordato che il giovane soffre d'asma e rischia
moltissimo in carcere anche per la diffusione del coronavirus. Per
ora la comunicazione con la famiglia, tramite bigliettini
comunque sottoposti a controllo, è ripresa. Le ultime volte che
è stato possibile vedere Patrick il giovane è apparso molto
dimagrito e provato. Ma non avrebbe mai perso la voglia di
tornare alla sua vita: Bologna, gli studi del Master europeo sulle
differenze di genere.
 "Altri 45 giorni di prigione per Patrick; e otto mesi di negazione
dei suoi diritti, uno dopo l'altro dal suo arresto", mesi in cui "le
violazioni contro di lui sono aumentate", dall'essere trattenuto in
aeroporto al Cairo al trasferimento in luoghi "non ufficiali" per la
detenzione, dalla "tortura fisica con percosse e scosse elettriche",
fino alla negazione dei "suoi diritti legali come imputato e
prigioniero uno dopo l'altro". Così gli attivisti della rete "Patrick
Libero" ripercorrono in un lungo post, che anticipa le
mobilitazioni annunciate per oggi a Milano, Torino e Roma e in
altre piazze italiane, gli otto mesi di detenzione di Zaki.
La famiglia di Zaky, stando al gruppo Facebook 'Free Patrick',
qualche giorno fa aveva diffuso una lettera per tornare a
sollecitare la liberazione dello studente: "Sono trascorsi otto mesi
di dolore e sofferenza senza alcuna indicazione di quando Patrick
tornerà a casa o di un motivo chiaro per cui ci e' stato portato via.
Ricordiamo bene il giorno in cui siamo andati a prenderlo
all'aeroporto, tutta la confusione, la paura e l'ansia, quei
sentimenti non ci hanno mai lasciati".
"Ogni giorno – continuano i genitori – ci dobbiamo confrontare
con la realtà: nostro figlio è ancora in prigione e questo pensiero
ci terrorizza. Abbiamo passato mesi senza vederlo e senza sentire
la sua voce, riuscite a immaginare di non poter parlare con vostro
figlio per mesi mentre sapete che sta soffrendo rinchiuso in una
struttura di detenzione durante una pandemia? Ora che le visite

sono riprese- hanno continuato i famigliari – cominciamo a fare i
conti con l'orribile prospettiva che Patrick possa trascorrere mesi
o addirittura anni di detenzione senza fine". Il disegnatore Mauro
Biani ha sintetizzato questa situazione in una vignetta dal titolo
"Ergastolo cautelare".
Per Amnesty International “occorre veramente un impegno serio
del governo italiano, che riesca a far uscire Patrick da questo
incubo, perché è inimmaginabile che possa andare avanti ancora
a oltranza questo meccanismo di rinvio della scarcerazione per
chissà quali presunti supplementi di indagine basati sul nulla”. Il
portavoce dell’associazione, Riccardo Noury, ha affermato che
“Non possono rimanere solo Amnesty, gli studenti, gli amici di
Patrick, l’Università di Bologna e gli enti locali a portare avanti
questa campagna”.
Testimoni scomodi.
Nell’Egitto del presidente-carceriere non c’è spazio per una
informazione libera, indipendente. Sparita per 24 ore, riapparsa
solo domenica davanti alla Procura di Stato del Cairo, quella che
da anni si dedica all’incriminazione di attivisti, giornalisti,
sindacalisti, oppositori del regime di al-Sisi. E’ successo alla
giornalista 38enne Basma Mustafa, sabato scorso, il giorno dopo
il secondo “venerdì della rabbia”, protesta diffusa contro
corruzione, carovita, povertà e diseguaglianze sociali.
Basma Mustafa si trovava a Luxor, uno degli epicentri delle
proteste, rarissime nell’Egitto di al-Sisi: sono riesplose il 20
settembre scorso, a un anno esatto dalla mobilitazione nata
spontaneamente dopo la denuncia-video di Mohamed Ali,
imprenditore colluso con il regime, poi fuggito all’estero in auto-
esilio dove ha denunciato la corruzione del governo e della stessa
famiglia del presidente.
Mustafa, inviata del sito di informazione indipendente al-
Manassa, stava lavorando all’uccisione di Awais al-Rawi per
mano della polizia, avvenuta lo scorso mercoledì: al-Rawi è stato
ucciso con colpi di arma da fuoco ravvicinati davanti alla sua
famiglia, per aver difeso il padre e il fratello insultati e picchiati
dagli agenti. Una morte che ha accesso ancora di più la protesta
che da due settimane attraversa l’Egitto rurale e più periferico,
tante piccole mobilitazioni che rendono più complesso
l’intervento di polizia ed esercito.

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Secondo quanto raccontato dai colleghi, Mustafa li ha contattati
sabato mattina, intorno alle 11.15: “Un poliziotto mi ha fermato a
Luxor, ha controllato la mia carta d’identità, poi mi ha lasciato
andare – aveva detto Basma – Ma mi sta seguendo”. Da quel
momento nessuna notizia fino alla domenica quando la
giornalista è ricomparsa al Cairo, di fronte alla Procura, notizia
confermata dal marito, l’avvocato per i diritti umani Karim
Abdel-Rady.
L’accusa è terrorismo e diffusione di notizie false, i due “reati”
utilizzati più di frequente dal regime contro oppositori, attivisti e
reporter, grazie alla legge anti-terrorismo approvata subito dopo
il golpe del luglio 2013 con cui al-Sisi ha infilato in un solo
calderone ogni attività politica contraria a quella governativa e
che gli ha permesso di avviare numerosi processi di massa e di
costringere dietro le sbarre circa 60mila prigionieri politici di
ogni schieramento, liberali, progressisti, fratelli musulmani, oltre
ad attivisti per i diritti umani, sindacalisti, giornalisti e cittadini
comuni.
Mustafa resterà in prigione 14 giorni, in custodia cautelare,
misura detentiva abusata dal regime e quasi sempre prolungata
all’infinito, di due settimane in due settimane. La stessa
procedura con cui, dal 7 febbraio scorso, Patrick Zaki è tenuto
prigioniero, senza che si arrivi mai alla formulazione ufficiale di
un’accusa e all’inizio di un processo.
Non è la prima volta che Mustafa finisce nel mirino delle autorità
egiziane: nell’aprile del 2016 fu la prima giornalista a svelare il
depistaggio ordito dalla polizia e dai servizi con l’uccisione di
cinque egiziani, falsamente accusati di essere i responsabili della
sparizione, la tortura e la morte del ricercatore italiano Giulio
Regeni. Da allora è stata arrestata diverse volte. Negli ultimi mesi
ha lavorato all’uccisione del 26enne Islam al-Australy mentre si
trovava sotto custodia e del caso dello stupro di gruppo al
Fairmont Hotel.
Nonostante tutto questo, per il ministro Di Maio “l’Egitto resta
uno degli interlocutori fondamentali nel quadrante Mediterraneo,
nell’ambito di importanti dossier, come il conflitto in Libia, la
lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, nonché la gestione dei
flussi migratori e la cooperazione in campo energetico”.
Per poi affermare: Nonostante le trattative commerciali in corso
con Il Cairo, “resta ferma – puntualizza il ministro – la nostra
incessante richiesta di progressi significativi nelle indagini sul
caso del barbaro omicidio di Giulio Regeni. Il governo e le
istituzioni italiane continuano ad esigere la verità dalle autorità
egiziane attraverso una reale, fattiva ed efficace cooperazione”.

Ed ha aggiunto che “resta alta la preoccupazione rivolta anche al
caso di Patrick Zaki, il ricercatore egiziano dell’Università di
Bologna arrestato all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio 2020. La
nostra ambasciata continua, con costanza, a monitorare
l’evolversi delle udienze e, ricordo, ha anche chiesto
l’inserimento del caso all’interno del meccanismo di
‘monitoraggio processuale’ coordinato dalla delegazione
dell’Unione europea in loco, il che consente ai funzionari delle
Ambasciate Ue di monitorare l’evoluzione del processo e
presenziare alle udienze”. I virgolettati sono relativi alla risposta
data dal titolare della Farnesina all’interrogazione parlamentare
presentata da Liberi e Uguali nel corso del question time
alla Camera (10 giugno 2020) dopo il via libera del presidente
del Consiglio, Giuseppe Conte, alla fornitura delle prime due
fregate Fremm nell’ambito della maxi-commessa da 9-11
miliardi di euro ribattezzata l’”affare del secolo”, tradotto
dall’arcipelago pacifista in “la vergogna del secolo”.

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