L’essersi liberati dall’incubo-Trump, anche se da qui alle prossime settimane c’è da attendersi altri colpi di teatro di un attore disperato che non vuole abbandonare il palcoscenico, ha anche dei corollari nostrani che, come spesso accade per i soggetti in questione, sono un mix di analisi rabberciate, cattiva propaganda e falsità storiche. Ultima delle quali, al momento, partorita dalle fervide menti delle inconsolabili e degli inconsolabili di The Donald, è l’immagine dello sfrattato inquilino della Casa Bianca, dipinto come un “pacifista”.
Nel senso, sostengono gli inventori di questa panzana geopolitica, che Trump non ha avviato alcuna guerra come invece hanno fatto i suoi predecessori. Ma dove, ma quando. Sostenere questa tesi è come aver messo il cervello in lockdown, la memoria in quarantena. Ma visto che questa tesi circola sui social e su una certa stampa, è bene chiarire alcune cose. La prima delle quali è: cosa significa fare una guerra.
ra, solo chi vive di film bellici e con la testa all’indietro, può pensare e provare a far credere, che fare una guerra significhi muovere un esercito, far alzare in volo i bombardieri, mettere in mare le cannoniere. Ma oggi il tipo di guerre che si combattono hanno altre caratteristiche, e spesso si tratta di guerre per procura. Cosa significa? Significa non sporcarsi le mani direttamente ma far fare il lavoro sporco a soggetti terzi, che non hanno problemi a portare avanti pulizie etniche, a massacrare civili, ad assoldare mercenari capaci dei crimini più orribili. Ciò avviene in Libia, come è avvenuto in Siria. La Siria per l’appunto. Le vestali del Trump “pacifista” hanno memoria corta, e si dimenticano, o fanno finta di dimenticare, che la pulizia etnica condotta dalle armate turche, e dai mercenari jihadisti al loro seguito, nel Rojava contro i curdi siriani, è scattata nel momento in cui Trump ha tradito i combattenti curdi, che erano stati in prima linea nella guerra allo Stato islamico, ritirando i soldati americani dall’area e lasciando campo aperto e licenza di uccidere al Sultano di Ankara, al secolo Recep Tayyp Erdogan. Grazie al via libera del tycoon, e della inerzia europea, Erdogan ha dato vita ad una guerra “dimenticata” che continua ancora anche se i mezzi di comunicazione, tranne rare eccezioni, hanno spento i riflettori.
La garanzia data da Donald Trump al suo omologo turco, quel Recep Tayyp Erdogan che i parlamentari della minoranza curda turca ha sbattuto in galera, assieme a centinaia di militanti e di attivisti dei diritti umani, di sospendere la fornitura di armi, leggere, ali combattenti delle Ypg, è il sintomo di una paura che unisce autocrati di diversa estrazione: che una utopia possa diventare realtà. Che un percorso di autodeterminazione, intriso di sofferenza, sangue, passaggi tragici, possa finalmente raggiungere un primo, storico obiettivo. Un sogno chiamato libertà. Una libertà che si fa Stato: il Kurdistan. Uno Stato plurale, laico, e per questo vissuto come una minaccia, non solo geopolitica, ancor più grave del “Califfato” islamico, da autocrati e teocrati che imperano nella regione, a cominciare dal “Gendarme di Ankara”, il presidente Erdogan.
I curdi, il popolo più grande al mondo senza uno Stato. Repressi ma mai domi. Sono le milizie dell’Ypg ad essere accorse per prime a difesa dei yazidi sterminati dai nazi-islamisti dell’Isis. Sono loro, i curdi in armi ad essersi opposti per primi all’avanzata del califfato in Iraq e a condurre l’assedio alla “capitale” siriana del Califfato, Raqqa.
Il Trump “pacifista” è il presidente dell’iper potenza mondiale . che annuncia di aver deciso di togliere le sanzioni imposte alla Turchia il giorno dell’inizio dell’invasione in Siria.
“Dopo aver sconfitto l’Isis” ha il coraggio di scrivere il tycoon “ho fondamentalmente portato le nostre truppe fuori dalla Siria. Lasciamo che la Siria e Assad proteggano i curdi e combattano la Turchia per la loro terra. Ho detto ai miei generali, perché dovremmo combattere per la Siria e per Assad per proteggere la terra del nostro nemico? Chiunque voglia aiutare la Siria a proteggere i curdi va bene per me, che sia la Russia, la Cina o Napoleone Bonaparte. Spero che tutti facciano bene, noi siamo a 7000 miglia di distanza”. E ancora: “I curdi hanno combattuto con noi, ma sono stati pagati con enormi somme di denaro ed equipaggiamenti per farlo. Combattono la Turchia da decenni. E’ giunto il momento per noi di sfilarci da ridicole guerre senza fine, molte delle quali tribali e di riportare i nostri soldati a casa” ha twittato dopo la decisione che le sue forze si sarebbero ritirate dal nord della Siria in vista dell’invasione turca. “Combatteremo solo dove avremo benefici, e combatteremo solo per vincere. Turchia, Europa, Siria, Iran, Iraq, Russia e i curdi dovranno risolvere la situazione e capire cosa voglio fare con i soldati dell’Isis catturati” ha aggiunto Trump riferendosi ai circa 2.500 “foreign fighters” dell’Isis ancora prigionieri delle forze curde che gli Usa vorrebbero consegnare ai Paesi europei, in particolare Francia e Germania.
I deliri di Trump
La decisione di Trump venne criticata anche da membri dell’amministrazione del governo e da diversi politici Repubblicani. il Repubblicano Lindsey Graham annunciò la sua intenzione di presentare una risoluzione in Senato per obbligare Trump a rivedere la sua decisione, se il piano del governo fosse andato à avanti. Anche il senatore Marco Rubio definì la scelta di Trump un errore. Il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell , rincarò la dose dichiarando che: ha “Abbandonare questa battaglia ora e ritirare le forze Usa dalla Siria ricreerà le condizioni per la cui eliminazione abbiamo lavorato duro e causerà la rinascita dell’Isis”.
Piazzista d’armi
“Follow the money”, ovvero “seguite i soldi”: solo così si spiegano alcune decisioni sulla politica estera americana. Una conferma viene il 5 giugno 2019, con la conferma, da parte del Dipartimento dell’Energia Usa, di aver approvato il trasferimento di tecnologia nucleare americana all’Arabia Saudita solamente 16 giorni dopo il barbaro assassinio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi. E questo nonostante i report dell’intelligence americana individuassero come mandante dell’omicidio il principe Mohammad bin Salman. Trump ha deciso di aggirare il Congresso per vendere oltre otto miliardi di armi ad Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania. Un provvedimento necessario, come ha spiegato il segretario di Stato Mike Pompeo, per “scoraggiare l’aggressione iraniana” che tanto preoccupa Washington e i suoi alleati.
Una decisione, questa, che ha raccolto critiche tanto tra i democratici quanto tra i repubblicani, dato che si teme queste armi possano essere usate nella guerra in Yemen che ha già provocato centinaia di migliaia di vittime. Il senatore dem Robert Menendez, che in passato aveva usato i suoi poteri per bloccare le spedizioni di decine di migliaia di bombe a sauditi e emiratini, ha detto: “Sono deluso, ma non sorpreso, dal fatto che l’amministrazione Trump abbia fallito ancora una volta nel dare priorità ai nostri interessi a lungo termine per quanto riguarda la sicurezza nazionale e la difesa dei diritti umani. Ancora una volta, sta aiutando un Paese autoritario come l’Arabia Saudita”. Dello stesso avviso è anche il repubblicano Michael McCaul, che ha parlato di una scelta “scellerata” che rischia di compromettere i rapporti con il Congresso.
Il sostegno Trump all’Arabia Saudita è più forte del Congresso americano: la conferma avviene il 29 luglio 2019, quando il Senato non è riuscito a interdire il sostegno del presidente alla vendita di armi che stanno alimentando il conflitto in Yemen.
La Camera alta del parlamento Usa ha approvato la mozione anti-Trump con un margine di 45 voti a 40, con il sostegno democratico e di cinque repubblicani, non abbastanza alla luce della soglia necessaria della maggioranza qualificata di due terzi.
Trump si era opposto a un divieto sull’export di armi dopo l’approvazione di due risoluzioni del Congresso, sostenendo che lo stop avrebbe “indebolito la competitività globale dell’America” e danneggiato le relazioni di Washington con alcuni “alleati”. Al centro dello scontro forniture belliche a Riad per un valore di circa otto miliardi e cento milioni di dollari.
Guerra ai palestinesi
Una guerra si può combattere anche con le “armi” della diplomazia e distruggendo ogni prospettiva di pace. Di una pace giusta, duratura, tra pari. E’ ciò che ha fatto l’amministrazione Trump con i palestinesi. ““Dal primo giorno del suo insediamento, il presidente Trump ha sostenuto e avallato la politica colonialista dei falchi israeliani. A un sostegno politico, i suoi più stretti consiglieri hanno aggiunto un di più ideologico, sposando la peggiore ideologia della destra radicale israeliana, quella del popolo eletto che ha una missione ‘divina’ da compiere. Il risultato è la distruzione della soluzione a ‘due Stati’”. A sostenerlo, in una intervista concessa a chi scrive è una delle figure più rappresentative della dirigenza palestinese: Hanan Ashrawi. “Nei quattro anni della sua presidenza – ebbe a sottolineare la dirigente palestinese, più volte ministra dell’Autorità nazionale palestinese e membro dell’esecutivo dell’Olp – non c’è un atto dell’amministrazione Trump che non abbia favorito la destra israeliana. Dico la destra, perché Trump e i suoi consiglieri hanno sposato appieno non solo la politica ma l’ideologia della destra ultranazionalista israeliana. La destra che ha sempre perseguito il disegno della Grande Israele. E il cosiddetto “Piano del secolo” ne è il più evidente compendio.
Quanto poi agli “storici accordi” di pace siglati da Israele con Emirati Arabi Uniti e Bahrein, di cui, in piena campagna elettorale, Trump si fece vanto in mondovisione, Ashrawi rileva: “Quegli accordi sono serviti per sviare l’attenzione internazionale dal consolidamento del regime di apartheid in Cisgiordania. L’annessione di fatto è già compiuta. Ed è avvenuto con il sostegno totale dell’amministrazione Trump. La formalizzazione è un dettaglio. Penso alla cerimonia alla Casa Bianca: la teatralità, l’ottica accuratamente coreografata e le dichiarazioni vuote non possono coprire il fatto che ciò che l’amministrazione statunitense e Israele stanno facendo è manipolare le autentiche esigenze della pace per il bene di servire la candidatura alla rielezione di Trump e salvare il futuro politico e personale di Benjamin Netanyahu”.
Per poi concludere, guardando al futuro e alla presidenza Biden: “Non siamo così sprovveduti da pensare che alla Casa Bianca possa mai insediarsi un presidente con la kefiah (il copricapo palestinese,ndr). Ci basta che a capo degli Stati Uniti d’America vi sia una persona che voglia davvero svolgere il ruolo di facilitatore di una pace giusta e duratura fra Israeliani e Palestinesi. Che sia arbitro imparziale e non un player di una delle due squadre in campo. Quello che è stato Donald Trump”.
Donald Trump: l’amico e sodale di autocrati, sultani, emiri, generali, sovranisti della peggior specie (Bolsonaro, Orban solo per citarne alcuni). Donald Trump, il sostenitore della destra israeliana più oltranzista. Donald Trump che non ha perso occasione, nei suoi quattro anni di presidenza, per dileggiare, insultare l’Europa. Donald Trump che usa le sanzioni contro l’Iran come strumento di guerra non a un regime ma ad un popolo, mantenendole anche ai tempi del Covid-19. Donald Trump che tradisce i curdi siriani, che per rappresaglia contro i palestinesi che avevano rigettato il suo “Piano del secolo”, azzera i finanziamenti americani all’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Donald Trump che scatena guerre doganali contro la Cina, contro l’Europa. Donald Trump che considera i migranti alla stregua di terroristi islamici che attentano alla sicurezza dell’America. Donald Trump che rilancia la corsa al riarmo nucleare, chiamando fuori gli Usa dai trattati di non proliferazione. Donald Trump che fa finta di litigare con Vladimir Putin, lasciando poi campo libero allo “Zar” del Cremlino di sostenere militarmente il “macellaio di Damasco”, il presidente siriano Bashar al-Assad. Donald Trump che non si vergogna di affermare che a lui che migliaia di foreign fighters, dalla Siria possano tornare in libertà, dopo l’invasione turca, tanto quello è un problema degli europei…
E questo sarebbe un “pacifista”?.
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