Assassini. Senza vergogna. Assassini di innocenti. Capaci di versare lacrime di coccodrillo, ma mai di vergogna, quando una delle innumerevoli morti atroci che si consumano da anni nel Mediterraneo, da tempo ormai non più “mare nostrum” ma il “mare della morte”, cattura l’attenzione dei media per una foto, per un video, per un urlo disperato di una madre che vede annegare il suo bimbo. Questi criminali che continuano a impedire che le navi della Marina militare superino le acque territoriali e solchino le acque internazionali e si avvicinino a quelle libiche, quei criminali che continuano a finanziare quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica, ora fanno finta di lacerarsi le vesti Joseph era un bambino di sei mesi e di fronte a un bambino e a una mamma che urla disperata “I loose my baby, perdo il mio bambino!”, urlando al mondo l’irreparabile mentre accade, la nostra sensibilità si infiamma improvvisamente. Fino al prossimo bambino. Ma che paese siamo diventati, a quale livello di imbarbarimento siamo giunti, se un’ondata di riprovazione non si alza, se il dovere all’indignazione non viene esercitato da ogni coscienza che si vuole democratica, di fronte a una leader politica, Georgia Meloni, che mentre il piccolo Josep moriva tra le braccia della madre, dichiarava: “Mentre Lamorgese annuncia di voler far entrare solo immigrati provvisti di permesso di soggiorno – a Lampedusa non si ferma l’ondata di sbarchi. La furia immigrazionista del Governo rischia di trasformare l’Italia nel campo profughi d’Europa. Basta immigrazione illegale di massa”.
Crimini contro l’umanità
La morte di Joseph, scrive Annalisa Camilli su Internazionale – “solleva più di un interrogativo ancora senza risposte sulle politich, e migratorie dell’Unione europea e sull’assenza di un sistema comune europeo di soccorso. Alcuni si chiedono inoltre perché non siano intervenuti i mezzi militari della missione Mare sicuro, in attività in quell’area. Dopo ore in mare, 88 persone sono state messe in salvo dalla nave spagnola Open Arms, l’unico mezzo di soccorso presente sul posto, mentre altre sei non ce l’hanno fatta. Molte persone tra quelle cadute in acqua erano in arresto cardiaco quando sono state portate a bordo della nave. La segnalazione dell’imbarcazione in difficoltà è arrivata per la prima volta da un aereo di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. La nave Open Arms dell’ong spagnola Proactiva Open Arms ha chiesto un’evacuazione medica, ma non c’erano altri mezzi di soccorso né governativi né non governativi nell’area. Il network di volontari Alarmphone, il giorno precedente, aveva allertato sulla presenza di circa duecento persone in pericolo di vita al largo della Libia. “Il 10 novembre sulla stessa rotta altre tredici persone sono annegate al largo della costa libica, secondo quanto riportato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Il portavoce Flavio Di Giacomo ha detto che le undici persone sopravvissute al naufragio sono state tutte riportate in Libia, aggiungendo che nel 2020 “oltre 10.300 migranti sono stati intercettati in mare e rimandati in Libia”, nonostante il paese sia considerato non sicuro perché non riconosce la convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e permette la detenzione arbitraria degli stranieri. L’agenzia di stampa Associated Press ha detto che si è trattato del “quarto naufragio di migranti al largo delle coste libiche dall’inizio di ottobre”. Il portavoce dell’Oim in Libia Safa Msehli ha specificato che l’imbarcazione aveva lasciato la città occidentale di Zuara lunedì sera. Gli undici sopravvissuti al naufragio del 10 novembre hanno detto al personale dell’Oim che “l’acqua aveva iniziato a entrare nel gommone dopo cinque ore di navigazione”. Secondo i dati dell’Oim, il bilancio complessivo dei morti nel Mediterraneo centrale dall’inizio del 2020 è di 575 persone, ma si teme che il dato sia fortemente sottostimato perché al momento non ci sono testimoni governativi e non governativi lungo la rotta. Molte imbarcazioni di soccorso tra cui Sea-Watch 4, Alan Kurdi, Louise Michel e la Ocean Viking – rimarca nel suo articoli Camilli – sono state bloccate nel corso degli ultimi mesi dalle autorità italiane per presunte irregolarità amministrative. Nonostante la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen abbia sostenuto la necessità di ripristinare un sistema europeo di soccorso in mare, lungo la rotta più pericolosa del mondo la situazione è sempre più drammatica”.
Esodo continuo
Questa mattina un’imbarcazione con a bordo circa 70 migranti è segnalata a sud di Lampedusa da Alarm Phone, secondo la quale un natante non identificato ha rifiutato di prestare loro soccorso. “Le autorità italiane sono informate, non ritardate i soccorsi!”, è l’appello lanciato dall’organizzazione via Twitter.
Ieri nuovi, tragici, naufragi nelle acque del Mediterraneo. A sole 24 ore dal drammatico evento di ieri, costato la vita a sei persone tra cui il piccolo Joseph almeno 74 migranti sono morti annegati al largo delle coste libiche e in particolare al largo di Khums. Secondo quanto reso noto dalla Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) l’imbarcazione affondata trasportava oltre 120 persone, tra cui donne e bambini. I 47 sopravvissuti sono stati portati a riva dalla Guardia Costiera libica e da pescatori, 31 corpi sono stati recuperati.
Poi poco più tardi ancora vittime al largo della Libia: altri 20 migranti annegati. A farlo sapere Medici senza Frontiere, aggiungendo che lo staff dell’organizzazione a Sorman, in Libia, sta assistendo tre donne che risultano essere le sole superstiti. Le tre donne, scrive in un tweet Msf, “sono state tratte in salvo da pescatori locali e sono attualmente in stato di shock e terrorizzate dopo avere visto i loro cari scomparire tra le onde e morire sotto i loro occhi”.
Un bilancio altissimo in termini di vite umane di chi cerca di fuggire dalla Libia. Secondo Oim almeno “novecento persone sono annegate nel Mediterraneo cercando di raggiungere le coste europee, alcune a causa di ritardi nel salvataggio. Negli ultimi due giorni almeno 19 persone, inclusi due bambini, sono affogate dopo che due imbarcazioni si sono ribaltate nel Mediterraneo centrale”.
Un bollettino di morte che però non sembra rallentare gli sbarchi in territorio italiano. Oggi sono stati due i barconi approdati in territorio italiano: uno con 86 persone a bordo è stato intercettato e bloccato dalle motovedette della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza nelle acque antistanti a Lampedusa mentre una seconda imbarcazione, con circa 70 migranti di varia nazionalità a bordo, è riuscita ad arrivare direttamente a Cala Madonna. L’hotspot, nonostante gli sforzi per alleggerire le presenze con trasferimenti sulle navi quarantena e con traghetto di linea o motovedette, resta inevitabilmente sovraffollato. Ottanta minorenni hanno lasciato la struttura e sono stati imbarcati sul traghetto di linea per Porto Empedocle. Il trasferimento è stato possibile dopo l’esito negativo del tampone rapido anti-Covid e dopo che sono state eseguite le procedure di identificazione. Nella struttura d’accoglienza restano, al momento, oltre 600 ospiti. Ieri si sono registrati almeno quattro approdi con un totale di 193 persone.
Intanto la salma di Joseph, il piccolo originario della Guinea deceduto ieri sotto lo sguardo disperato della madre, è stata trasferita nell’obitorio di Lampedusa in attesa della sepoltura.
Sull’ennesima tragedia del mare è intervenuta anche l’Unicef Italia. “È una notizia che ci lascia sgomenti – afferma l’organizzazione internazione -. Oggi sempre di più ribadiamo la necessità di garantire il diritto alla protezione e alla vita di ogni bambina e bambino senza alcune distinzioni e in qualsiasi luogo essi si trovino”. Per Federico Soda, capo missione dell’Oim Libia “la perdita di vite umane nel Mediterraneo è una manifestazione dell’incapacità degli Stati di intraprendere un’azione decisiva per dispiegare un sistema di ricerca e soccorso quanto mai necessario in quella che è la rotta più mortale del mondo”
Operazione verità
Fino al maggio del 2018 nel Mediterraneo centrale c’era un sistema di ricerca e salvataggio in mare coordinato dalla Guardia costiera italiana. A questo sistema facevano riferimento le missioni internazionali, Sophia e Triton, la Guardia costiera libica e tutte le navi delle Organizzazioni non governative. Prima della nefasta stagione della chiusura dei porti, pur dentro il codice di condotta noto come “codice Minniti”, nel Mediterraneo operavano mediamente, e in contemporaneità, 6 navi delle Ong. Tutte le Ong avevano firmato il codice di condotta, escluso Medici senza Frontiere che tuttavia operava con Sos Mediterranee sulle navi di questa Ong. Quello era un patto, giusto, sbagliato, leonino, ma comunque un patto. Non un obbligo di legge. Con Salvini e i decreti sicurezza, si è intervenuti attraverso la legge, addirittura per decreto legge, facendo una cosa senza precedenti perché, sottolineano le fonti, sulle questioni umanitarie non si interviene mai con una legge, men che meno con un decreto legge. Le correzioni al “decreto Salvini”, annotano le fonti, vanno nella giusta direzione e tuttavia sia pure per ridurre le multe alle Ong, si continua a intervenire sulle Organizzazioni non governative con la legge.
In questo sistema, la Guardia costiera italiana operava in acque internazionali e in acque libiche. Sono stati decine gli interventi della nostra Guardia costiera anche in acque libiche, perché esisteva un meccanismo per cui se la Guardia costiera libica non riusciva a intervenire, interveniva la Guardia costiera italiana o interveniva “Sophia” o le Ong. Dal luglio del 2018, la Guardia costiera italiana non interviene più fuori dalle acque territoriali, perché gli è stato dato un’indicazione in tal senso dal Governo, il Conte I, e la cosa non è cambiata con il Conte II. A ciò si aggiunge che la missione “Sophia” non è stata più rifinanziata, fino ad arrivare al paradosso-barzelletta partorito dall’Unione europea che confermò la missione navale ma senza navi in mare. Non si è mai visto al mondo una missione navale senza navi. Sta di fatto che la missione “Sophia” non c’è più, sostituita dalla missione “Irini” che tuttavia ha un’altra missione: quella di contrastare il traffico d’armi. Con esiti peraltro penosi, come appare evidente, perché l’unica cosa che non manca in Libia sono le armi che arrivano sistematicamente.
Non potete dire “non sapevamo”. Non potete dire “non potevamo” agire. Non avete pudore. Non avete un’anima. Coloro che impediscono alle navi militare di pattugliare le acque internazionali, coloro che si affidano alla Guardia costiera libica, meritano solo un appellativo. Da scrivere a caratteri cubitali: ASSASSINI.