Ancora poche ore e il miliardario xenofobo non avrà più argomenti per togliersi dalle scatole, speriamo per sempre.
Ci saranno anche Hillary e Bill Clinton tra i 306 grandi elettori che domani decreteranno, in via definitiva, la vittoria elettorale di Joe Biden e lo ‘incoroneranno’ 46esimo presidente degli Stati Uniti. Dopo la Corte Suprema ha messo quella che appare come la pietra tombale sulle speranze di Donald Trump di rovesciare il risultato elettorale, respingendo venerdì notte il ricorso del Texas, domani – primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre, come prescrive la legge – si riunirà il Collegio Elettorale.
In realtà si tratterà di tante riunioni diverse che si svolgeranno nelle sedi delle Assemblee Legislative di tutti gli Stati dove gli Elettori voteranno per Trump o per Biden, con il mandato di riflettere il voto popolare espresso e certificato da ogni Stato. E l’ex presidente e l’ex first lady, e candidata democratica sconfitta nel 2016, fanno parte del gruppo di attivisti ed esponenti scelti dal partito democratico di New York come grandi elettori.
“Sono un grande elettore a New York, sono sicura che potrò votare per Joe e Kamala a New York, ed è emozionante”, ha detto in una recente intervista l’ex candidata democratica che dopo essere stata sconfitta da Donald Trump per il voto elettorale, nonostante avesse avuto 2,9 milioni di voti popolari in più, aveva chiesto l’abolizione del Collegio Elettorale e l’istituzione dell’elezione diretta del presidente.
Tra gli altri grandi elettori democratici illustri, sempre a New York, il governatore Andrew Cuomo, ed in Wisconsin, il governatore Tony Evers, ed in Georgia Stacey Abrams, l’ex candidata governatore considerata l’artefice della vittoria di Biden nello stato del Sud dove un democratico non vinceva dal 1992.
I grandi elettori sono in tutto 538, uno per ogni membro della Camera, 435, e del Senato, 100, più tre per il distretto di Columbia. Il sistema prevede che nello stato dove ha vinto Trump si riuniranno elettori scelti dal partito repubblicano, mentre negli stati dove ha vinto Biden si riuniranno elettori scelti dai democratici, e questi saranno più numerosi, 306, contro 232.
La convocazione viene fatta dai governatori o dai segretari di Stato dopo la certificazione dei risultati. E nei sei stati in cui Trump contesta la vittoria di Biden – Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Georgia, Arizona e Nevada – sono stati convocati Elettori democratici. Le riunioni potranno essere convocate tra mezzogiorno e le due del pomeriggio, sono aperte al pubblico, e solitamente seguono una copione ben preciso, con inno nazionale, bande militari, cerimoniale che forse quest’anno, nel mezzo di una pandemia, non sarà seguito, anche se molti stati, compreso New York, hanno confermato che la riunione si svolgerà in presenza.
Solitamente si tratta di una sessione breve, meno di un’ora, a volte appena una ventina di minuti, presieduta dal segretario di Stato, anche se può succedere che qualcuno voglia prendere la parola per sottolineare l’importanza del processo democratico. I grandi elettori votano poi in modo separato per presidente e vice presidente, e firmano sei certificati, uno per il vice presidente Mike Pence, che è il presidente del Senato, due per il segretario di Stato, due per gli archivi nazionali ed uno per il giudice federale che assisterà alla riunione.
Come è successo nel 2016 in occasione della vittoria di Trump, si prevede che di fronte alle sedi delle Assemblee Legislative dei singoli stati vi potranno essere delle dimostrazioni, ma a protestare saranno questa volta, in un rovesciamento delle parti, gli irriducibili sostenitori del presidente che non riconosce la sconfitta.
Con Trump che, anche di fronte alla sentenza della Corte Suprema continua a parlare di elezioni truccate e promettere battaglia, l’appuntamento di domani sarà un momento della verità anche per la leadership repubblicana che, per giustificare il fatto di non voler chiamare presidente eletto Biden nonostante i riconoscimenti del mondo intero e l’avvio della transizione, ha ripetuto che “sarà il Collegio Elettorale a decidere il vincitore”.
Perché in effetti la conclusione definitiva del lunghissimo processo elettorale americano prevede ancora un passaggio al Congresso quando, il 6 gennaio si svolgerà la sessione congiunta di Camera e Senato per certificare il voto del collegio, stato per stato. E se in questa sede almeno un deputato ed senatore presenteranno per scritto obiezioni ai risultati, le due Camera dovranno votare separatamente per ogni disputa.
Il deputato Mo Brooks ha detto che spera di poter “contestare i risultati di alcuni stati”, guadagnandosi gli applausi di Trump. Ma finora nessuno tra i senatori repubblicani, molti dei quali in privato si dicono pronti a riconoscere Biden come presidente, si è fatto avanti. Ed anche in caso di voto, affermano gli esperti, la maggioranza democratica della Camera bloccherebbe facilmente ogni tentativo, mentre al Senato vi sarebbero abbastanza voti repubblicani per farlo.
Ma un’evenienza del genere potrebbe mettere in una posizione scomoda il vice presidente Mike Pence, che presiederà la sessione del sei gennaio. Come aveva dovuto fare nel 2016 anno della vittoria di Trump, l’allora vice presidente Biden che, di fronte al tentativo di obiezione alla certificazione dei risultati in Georgia, azzittì, tra gli applausi dei repubblicani, la deputata democratica che non aveva ottenuto il sostegno di un senatore.
Argomenti: Donald Trump