6 gennaio, ore 2:39 del pomeriggio
Comincia tutto con un messaggio su Whatsapp da parte di una collega di Roma: “Ma che ca**o sta succedendo?”. Lo leggo, non capisco, lo ignoro.
Metto il telefono in tasca e continuo a passeggiare con il mio cane lungo l’East River.
Fa freddo a New York, è una di quelle giornate terse e gelate dove il sole acceca e mi costringe a fermarmi in un cono d’ombra per vedere lo schermo del cellulare. E quando hai un pitbull che corre dietro a tutto ciò che si muove, fermarsi all’ombra per leggere i messaggi diventa complicato. Il telefono vibra senza sosta segnalando una notifica dopo l’altra, mi sembra di avere un massaggiatore in tasca. Continuo a camminare, torno a casa.
Finalmente guadagno l’ascensore e guardo lo schermo del telefonino. Ho 84 tra text, Messenger, iMessages, Whatsapp, Telegram, e persino Snapchat. La batteria è all’1%, cerco di scorrere le anteprime per capire che succede prima che il telefono si spenga, e faccio in tempo a leggere “WTF is going on?” (la versione inglese di “che ca**o sta succedendo”) It’s the revolution in DC. Put the CNN on. Stat” (ovvero: C’è la rivoluzione a Washington. Guarda la CNN. Subito!). Mi precipito in casa, metto il telefono in carica e accendo la Tv. Il Campidoglio è sotto assedio.
“Una protesta pacifica scappata di mano. L’azione violenta di un piccolo gruppo di estremisti” dice la Fox. “Un atto di terrorismo domestico da manuale”, fa eco la CNN. Sullo schermo prendono forma immagini inimmaginabili. Finestre sfondate, uomini della sicurezza con le armi in pugno, legislatori stesi sul pavimento, rannicchiati dietro le sedie, sotto le scrivanie. E ancora uffici e segreti violati, suppellettili rubate. E ReTrumplicani (i Repubblicani fedelissimi a Trump) di ogni età, rigorosamente bianchi, prevalentemente maschi, che si fanno selfie con i loro compagni di avventura o, addirittura, con la polizia che li avrebbe dovuti respingere.
Per lunghi minuti mi dico che è solo un flash-mob, una perversa trovata pubblicitaria. Aspetto il gran finale con lustrini e paillettes. O almeno un messaggio che calmi gli animi. Ma non arriva. Anzi, le cose vanno di male in peggio. Ci scappa il morto.
Non spengo la Tv per il resto della giornata e parte della notte. Metà dell’America, me inclusa, sta guardando con orrore. L’altra metà, Presidente incluso, con ammirazione. Resto incollata allo schermo, incredula, indignata, imbarazzata. Molto incazzata. E non sono la sola.
Laura, cantante jazz siciliana e americana per amore (di suo marito Joe e di questo Paese), è sotto shock. «Non avrei mai pensato di assistere a qualcosa di simile. Vedere la bandiera dei Confederati dentro il Campidoglio è stato come vedere la bandiera fascista a palazzo Chigi» dice. «Gli ultimi anni e la presidenza di Trump hanno aperto gli occhi di tutti esponendo le ferite, le contraddizioni e gli errori del sistema americano, ciò nonostante non mi sarei aspettata gli eventi di oggi», continua.
Tiziana, imprenditrice nel campo del food, da buona salernitana è molto pragmatica. «Ho appena sentito un mio cliente che sta a DC (ovvero Washington), dice che è chiuso in casa da quando sono iniziate le prime proteste e ha blindato il ristorante. E figuriamoci mo’, altre scuse per non pagarmi!» Il suo finto cinismo da donna d’affari Newyorkese non regge a lungo. «Io non ho mai seguito la politica, neppure in Italia, ma oggi non ce l’ho fatta. Ho detto al diavolo il lavoro e ho guardato i notiziari in Tv tutto il tempo. Ho provato la stessa sensazione che avevo durante i primi giorni della pandemia, un mix di rabbia, incredulità, disgusto… Mi mancava il respiro». Dopo più di 12 anni Tiziana sta pensando di lasciare New York. «Non tollero più la mancanza di spirito critico di questo popolo. Ancora oggi ho sentito imprenditori dire che “Trump ha ragione”. Davvero, penso che questo Paese, così com’è diventato, non faccia più per me».
Valeria, curatrice e produttrice teatrale, è l’unica a non essere in preda alla sindrome da Apocalypse Now. Sarà per il DNA sardo, o perché una vita passata dietro le quinte le ha insegnato a guardare oltre (e a gestire gli attacchi di narcisismo di divi e primedonne), fatto sta che Valeria è tranquilla davvero. «Per me è un enorme privilegio vivere questo momento qui, in questo Paese. Le cose stanno andando secondo copione. Un copione scritto per creare caos. Nessun sonno della ragione da queste parti. Qui si sta facendo la storia», commenta. «Penso che la democrazia passi attraverso questi fatti storici. Per gli USA questo momento è importante quanto in Europa lo sono state le rivoluzioni. Assistere in Tv al flash-mob ha fatto impressione anche a me, ovvio. Ma le elezioni si sono svolte, il risultato non è in nessun modo in discussione. Lasciamoli sognare. Noi abbiamo vinto».
Sono le 6:30 del mattino ormai, le telecamere a circuito chiuso di Capitol Hill riprendono un gruppo di inservienti (quasi tutti di colore) che puliscono il caos lasciato dai “protestatori”.
Chi rompe paga (o pagherà, si spera) e i cocci (di democrazia) sono di tutti.
7 Gennaio 2021, ore 3:39 del mattino
Dopo 13 estenuanti ore, il vice Presidente uscente Mike Pence dichiara ufficialmente quello che tutto il mondo già sapeva dallo scorso 8 Novembre: Joe Biden e Kamala Harris hanno vinto le elezioni e sono i nuovi Presidente e vice-Presidente degli Stati Uniti d’America.
Tutto il mondo lo sapeva tranne uno, il Presidente uscente. Il perdente. Donald Trump. Ci vorranno ancora due ore perché si convinca e dichiari che il passaggio di poteri avverrà in maniera pacifica il 20 Gennaio prossimo.
Argomenti: capitol hill Donald Trump