Prima di addentrarci in una cronaca di guerra, è importante capirne il sottofondo politico. Informare significa, almeno per noi di Globalist, provare a fornire ai lettori gli strumenti di conoscenza che aiutino a decodificare il flusso ininterrotto di notizie di cronaca che vengono spacciate come “oggettive”.
In questo non facile lavoro, ci aiuta oggi un editoriale di Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv.
Azzardo di fuoco
“Gli eventi del Jerusalem Day di lunedì – scrive Haaretz – si sono inutilmente intensificati al punto che sono stati lanciati razzi su Gerusalemme e sul sud di Israele adiacente alla Striscia di Gaza, mentre centinaia di palestinesi e poliziotti sono stati feriti negli scontri sul Monte del Tempio. Il grande timore è che questo sia il primo passo verso ciò che l’IDF sta definendo una campagna contro Gaza che potrebbe durare diversi giorni, se non di più.
Gli scontri non iniziano in un solo giorno, non sono disastri naturali. Una catena di eventi, che includono gli scontri a Sheikh Jarrah, le barriere della polizia erette alla Porta di Damasco, gli scontri sul Monte del Tempio e i piani per la Marcia delle Bandiere, non erano altro che provocazioni pianificate in anticipo per dimostrare padronanza e controllo. Hanno accuratamente segnato un percorso che ha portato alla violenza e che potrebbe trascinare Israele in una guerra.
Tutto questo avrebbe potuto essere evitato, ma i funzionari dell’intelligence, l’esercito e la polizia, che avevano avvertito quali sarebbero stati i risultati, si sono trovati di fronte a un governo di transizione, senza legittimità, alla cui testa c’è un primo ministro che ha perso il suo mandato e vede gli eventi attraverso il prisma se possono essere utili a lui o possono danneggiare i suoi avversari politici. Non sorprende che il portavoce di Netanyahu, Miki Zohar, abbia spiegato gli eventi come gli “arabi” che cercano di testare il “governo di sinistra che sta per essere formato”. La fonte della saggezza di Zohar è ben nota. Solo all’ultimo minuto, e troppo tardi, Benjamin Netanyahu si è convinto a spostare il percorso previsto del carnevale delle bandiere, e solo dopo che gli era già chiaro come poteva approfittare della situazione. “I gruppi terroristici di Gaza hanno superato una linea rossa alla vigilia del giorno di Gerusalemme e ci hanno attaccato con missili alla periferia di Gerusalemme. Israele risponderà con grande forza” è stata la risposta del tutto attesa da Israele. Inutile dire che molte linee rosse sono state superate in passato, compresi i razzi lanciati su Gerusalemme, e le risposte potenti non hanno ottenuto un vero successo. Sono stati gli accordi e le intese raggiunti con Hamas attraverso i mediatori che hanno prodotto periodi di pace e tranquillità. I cittadini d’Israele non hanno bisogno di un altro test costoso e insensato o di un’altra dimostrazione di letale flessione dei muscoli. La sicurezza degli israeliani che vivono nelle vicinanze di Gaza avrebbe dovuto essere in cima alle considerazioni dei decisori quando hanno visto come si stavano svolgendo gli eventi a Gerusalemme.
Un primo ministro ad interim ha l’autorità e l’obbligo di sventare minacce esistenziali alla sicurezza di Israele, ma non ha l’autorità di trascinare Israele in una guerra che è solo una gara d’onore. Il fatto che il governo dia il via libera all’IDF per agire con forza a Gaza non risolverà il problema di Gerusalemme, ma gli sforzi diplomatici per porre fine all’escalation del tit-for-tat potrebbero portare alla calma.”.
In difficoltà interna, Netanyahu gioca la carta della guerra.
Cronaca di guerra
Una nuova notte di scontri e di tensione che da Gerusalemme Est si è spostata al confine con Gaza, dove i razzi dalla Striscia continuano verso il Sud di Israele. Ad Askhelon sono scattate le sirene d’allarme, mentre, riferiscono i media israeliani, è salito a 30 il numero dei feriti ricoverati al Barzilai Medical Center. “Abbiamo lanciato razzi contro Ashkelon dopo un attacco israeliano che ha colpito una casa a ovest di Gaza City. Se Israele continuerà ad attaccare, trasformeremo Ashkelon in un inferno”, ha affermato il portavoce dell’ala militare di Hamas, Abu Ubaidah. Un crescendo di minacce che, con l’intensificarsi dei combattimenti, vedono impegnate in prima linea le forze di difesa israeliane (Idf) decise a schierare ulteriori batterie di artiglieria al confine con Gaza. Otto compagnie di riservisti della guardia di frontiera israeliana sono state richiamate in servizio e ciò indicherebbe secondo gli analisti che l’apparato militare si starebbe preparando per un conflitto con il movimento islamico Hamas di più ampio respiro. Si tratta di 5 mila riservisti. Il ministro della difesa Benny Gantz ha dato il via libera all’esercito per molte unità, compreso il comando del fronte sud, quello a diretto contatto con la Striscia. “Questo – ha spiegato Gantz – è per continuare l’operazione ‘Guardiano delle Mura’ e per rafforzare il fronte interno”.
Nella notte l’esercito israeliano ha inviato l’aviazione sulla Striscia di Gaza colpendo circa 140 obiettivi, compresa la casa di un alto comandante di Hamas; il quartier generale dell’intelligence di Hamas; due tunnel che si avvicinavano alla barriera di sicurezza nonché contro siti di produzione e stoccaggio di razzi. Nell’operazione definita, appunto, “Guardiano delle Mura” sarebbero morte più di 20 persone – denuncia Hamas – e almeno 65 sono rimaste ferite. L’esercito israeliano ha avvertito di essere pronto a un’ulteriore operazione di terra nella Striscia, dichiarando di aver ucciso 15 miliziani e che i civili coinvolti sarebbero morti per via dei razzi difettosi palestinesi. Nel raid sono morti, tra gli altri, due comandanti del gruppo della Jihad islamica delle Brigate Al Quds. Notizia confermata dal movimento integralista palestinese.
Parallelamente alle violenze a Gerusalemme Est, sono ripresi gli scontri in altre città di confine tra la striscia di Gaza e Israele con decine di manifestanti palestinesi che hanno incendiato pneumatici e scagliato ordigni incendiari verso i militari israeliani schierati dall’altra parte del confine. Ripresi anche da tre giorni i lanci di palloni incendiari, che nella sola giornata di domenica hanno appiccato quasi 40 incendi nei campi israeliani prossimi alla striscia di Gaza. Si è trattato per lo più di incendi circoscritti, ma danni significativi sono stati arrecati a tre campi di grano e alla riserva naturale di Be’eri. Un incendio ha provocato l’interruzione temporanea della linea ferroviaria Ashkelon-Netivot. Ad Ashkelon, cittadina costiera non lontano dalla Striscia, i razzi hanno colpito un edificio: in un appartamento il capofamiglia – secondo i media – è stato ferito in modo grave, mentre la moglie e i loro due bambini in maniera leggera. In un altro appartamento, ad essere state ferite sono due persone. Tutti sono stati ricoverati in ospedale. Scontri a Gerusalemme Est Sulla Spianata delle Moschee, la polizia israeliana si è scontrata con centinaia di manifestanti. Secondo la Mezzaluna Rossa più di 300 palestinesi sono rimasti feriti, 200 dei quali sono stati portati in ospedale e sette sono in gravi condizioni. Le forze dell’ordine israeliane hanno riportato una trentina di feriti. Di fronte ai timori internazionali, il governo israeliano avrebbe esortato gli Stati Uniti a non intervenire nella crisi.
Decine di estremisti ebrei hanno cercato di fare irruzione nel complesso del Monte del Tempio dalla Porta di Mughrabi, l’unica consentita ai non-musulmani; gli agenti li hanno respinti e ne hanno arrestati alcuni. Le autorità hanno parlato di circa 8 mila palestinesi barricati nel complesso con pietre, sbarre e bottiglie molotov, pronti a rispondere se agli ebrei fosse stato consentito l’ingresso al sito. Nella ‘Giornata di Gerusalemme’ per ricordare l’unificazione della città come capitale dello Stato ebraico dopo la conquista della parte orientale ai giordani nella Guerra dei Sei Giorni nel 1967, le violenze esplose sono le più gravi dal 2017.
L’Alto Commissariato Onu per i diritti umani ha condannato “tutte le violenze” e le violazioni del diritto internazionale nell’ambito delle tensioni e incidenti a Gerusalemme e nella Striscia di Gaza. “Siamo profondamente preoccupati dalla escalation delle violenze nei territori palestinesi occupati, Gerusalemme est inclusa, e in Israele nei giorni scorsi”, ha dichiarato da Ginevra il portavoce del Commissariato Rupert Colville. “Condanniamo tutte le violenza e l’incitamento alla violenza, nonché le divisioni etniche e le provocazioni”, ha aggiunto.
L’Arabia Saudita “condanna nei termini più forti gli attacchi delle forze di occupazione israeliane contro la sacralità della moschea di Al-Aqsa e la sicurezza dei fedeli”. È quanto si legge in una nota del ministero degli Esteri di Riad dopo i fatti sulla Spianata delle moschee a Gerusalemme e dell’escalation delle ultime ore. La monarchia del Golfo, che ribadisce la posizione per uno stato palestinese indipendente entro i confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale, fa appello alla “comunità internazionale affinché ritenga l’occupazione israeliana responsabile di questa escalation e fermi immediatamente le sue azioni di escalation che violano il diritto e le norme internazionali”.
I Paesi di tutto il mondo guardano con preoccupazione a ciò che sta avvenendo in Medio Oriente. Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito hanno esortato Israele e palestinesi a stemperare le tensioni il prima possibile. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che Hamas deve porre fine “immediatamente” agli attacchi missilistici, aggiungendo: “tutte le parti devono ridurre la tensione”. La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, da parte sua, ha spiegato che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è seriamente preoccupato per le violenze in corso. Gli Usa hanno comunque bloccato una dichiarazione congiunta del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ritenendo che non fosse “utile” in questa fase e confermando di essere impegnati “dietro le quinte” nel tentativo di ottenere una de-escalation.
“Le azioni dei sionisti hanno ferito il cuore di Gerusalemme e l’Iran non può restare in silenzio di fronte a questi crimini”. Si è espresso così il portavoce del governo di Teheran, Ali Rabiei, dopo l’escalation delle ultime ore. “Il modo migliore per prevenire il terrorismo è rafforzare la cooperazione a livello regionale”, ha aggiunto nelle dichiarazioni diffuse dall’agenzia Tasnim con un riferimento all’Afghanistan, allo Yemen e alla “Palestina occupata”. Il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, ha condannato i raid “indiscriminati e irresponsabili” condotti da Israele sulla Striscia di Gaza a seguito del lancio di razzi dall’enclave palestinese. Aboul Gheit, citato dall’emittente Sky News Arabia’ ha quindi definito Israele “responsabile” della “pericolosa escalation” a Gerusalemme e ha esortato la comunità internazionale ad agire immediatamente per fermare la violenza. La questione delle famiglie palestinesi di Gerusalemme Est
Alla base delle violenze la decisione della magistratura israeliana, che dato le circostanze ha rinviato l’udienza, sulla sorte delle famiglie palestinesi di Gerusalemme Est (nel quartiere di Sheikh Jarrah) minacciate di espulsione da parte di un gruppo di coloni ebraici – una vicenda che negli ultimi giorni ha innescato una serie di disordini in cui sono rimaste ferite centinaia di persone. In particolare l’udienza riguarda quattro famiglie arabe residenti su terreni di proprietà ebraica nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme est. Per il momento il giudice Yitzhak Amit ha ordinato la sospensione degli sfratti, decretati da un tribunale distrettuale.
Il presidente della Joint List araba Ayman Odeh e altri parlamentari del partito hanno visitato lunedì mattina il quartiere di Sheikh Jarrah, “Tutto ciò che sta accadendo qui fa parte della nefasta occupazione. C’è una nazione di persone qui che merita l’autodeterminazione – la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele. Quello che è successo nell’ultimo mese costituisce un attacco diretto ai fedeli: la disconnessione degli altoparlanti e i blocchi stradali costituiscono un tentativo di trasferire la popolazione di Sheikh Jarrah”, dichiara Odeh
Rivolgendosi alla popolazione ebraica d’Israele, Odeh ha aggiunto “chi vuole vivere in pace deve vedersi come parte della giusta lotta di Gerusalemme Est contro questa nefasta occupazione. Non c’è nulla che giustifichi il controllo di un intero popolo. Il popolo palestinese è un popolo come tutti gli altri popoli del mondo”.
Un popolo che resiste.
Resiste all’occupazione israeliana, ad un assedio di Gaza che dura da oltre tredici anni. Resiste alla colonizzazione della Cisgiordania e alla pulizia etnica che Israele sta portando a compimento a Gerusalemme.
“Gerusalemme è una, perché l’identità gerosolumitana è fatta di strati storici e di uomini e donne appartenenti a comunità diverse. Gerusalemme non può essere divisa perché è multipla. Gerusalemme non può essere sacralizzata perché è fatta della carne dei suoi abitanti. Oltre le fedi, esiste e vive il suo dramma quotidiano una Gerusalemme senza Dio, a cui in pochi purtroppo prestano ascolto”. Così Paola Caridi conclude il suo bellissimo libro Gerusalemme senza Dio. Ritratto di una città crudele (Feltrinelli). Una crudeltà che rischia di innescare di insanguinare una volta di più le sue pietre millenarie.
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