Non fanno più notizia. In un Paese in cui le piazze sono occupate dai dai fasci no-vax e il segretario del Pd non trova di meglio che proporre a Salvini un “patto sui vaccini”, i disperati che affogano nel “mare mostrum” si perdono nel vuoto mediatico.
E così si aggiornano i morti. E si racconta, tanto per lavarsi la coscienza dopo le paginate dedicate alle Olimpiadi, ai retroscenismi di palazzo e agli immancabili no-vax, dell’ultima mattanza.
E così le cronache registrano una nuova strage nelle acque del Mediterraneo. Almeno 57 persone sono morte mentre tentavano la disperata fuga dalle coste nordafricane. A denunciarlo è stata l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) sotto egida Onu, secondo cui il barcone è affondato al largo di Khoms, città a oltre 100 chilometri a est della capitale libica tripoli. “Un’altra tragedia. Con questo naufragio la stima dei morti nel mediterraneo centrale si avvicina a quasi mille (oltre 980). l’anno scorso a fine luglio erano 272. Non bisogna più esitare e fare di tutto per rafforzare il sistema di pattugliamento in mare. Da subito”, ha denunciato a caldo il portavoce Oim per il Mediterraneo, Flavio Di Giacomo, dopo questa ennesima mattanza al largo della Libia. Alcuni sopravvissuti sono stati portati a riva dai pescatori e dalla guardia costiera, ha scritto su Twitter la portavoce dell’Oim Safa Msehli senza specificare quante persone sono state salvate. Fonti delle Nazioni Unite in Libia hanno riferito che il gruppo era salpato domenica sera intorno alle 23 da khoms. “Dopo due ore la barca ha cominciato a sgonfiarsi. E hanno imbarcato acqua. Come spesso accade si è creato panico la gente è caduta in acqua. Alcuni hanno cercato di nuotare verso riva senza riuscirci. In totale 57 dispersi e 18 sopravvissuti (4 recuperati da pescatori e 14 dai guardacoste libici). Tra i 57 dispersi co 20 donne e due bambini nati da poco”.
Le nazionalità dei sopravvissuti: Gambia, Ghana, Nigeria (solo 1 donna sopravvissuta su 18). Le vittime di ieri arrivano a meno di una settimana dal naufragio costato la vita a circa 20 persone. Sono quasi 15.000 i migranti intercettati dalla guardia costiera libica sostenuta dall’Ue nella prima metà di quest’anno, una cifra che secondo le Nazioni Unite supera il numero degli sbarcati in tutto il 2020.
“Farebbero qualsiasi cosa pur di scappare dai centri di detenzione dove sono costretti a vivere in condizioni disumane – dice a Repubblica Deanna Dadush, che insieme ad altri 100 volontari, ricercatori di diritto internazionale ed esperti nel campo delle migrazioni, fa parte di Alarm Phone la piattaforma che raccoglie gli Sos dei migranti in difficoltà nel Mediterraneo -. E purtroppo avendo affidato tutta l’amministrazione del Mediterraneo alla guardia costiera libica è possibile prevedere altri possibili naufragi, con i migranti che alla vista delle motovedette libiche si getteranno in mare come è già accaduto. È uno scenario che peggiora di giorno in giorno. In base alle chiamate che riceviamo possiamo dire che la guardia costiera italiana non soccorre più come prima, la guardia costiera maltese è invece inesistente considerando che nel 2021 a Malta sono sbarcate meno di 100 persone”.
Le Ong ai box per fermo amministrativo
“Dal 17 aprile al 25 giugno – scrive Alessandro Puglia su Repubblica – la nave della Ong spagnola Open Arms è stata sotto fermo amministrativo al porto di Pozzallo per carenze tecniche che secondo la Guardia costiera italiana andavano dalla “sicurezza della navigazione”, ovvero la possibilità di portare a bordo solo un esiguo numero di persone, alla “prevenzione dell’inquinamento”. Con questo modus operandi sono state in un anno nove le navi delle Ong costrette a fermarsi. Oggi, dopo il dissequestro della Open Arms, sono la Sea-Eye 4 a Palermo, la Sea Watch 4 a Trapani, la Sea Watch 3 e la Alan Kurdi che dopo il provvedimento delle autorità italiane sono in sosta in Spagna, nel porto di Buriana. La Geo Barents di Medici Senza Frontiere è in quarantena al porto di Augusta dopo aver completato lo sbarco di 410 persone, mentre la Aita Mari di Salvamento Maritmo Humanitario e la Mare Jonio di Mediterranea sono ferme per lavori di manutenzione. La Ong italiana vede oggi alcuni dei suoi fondatori indagati per favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina da parte della Procura di Ragusa. Il caso risale allo scorso 11 settembre a seguito di quello che fu il più lungo “stand off” della storia marittima internazionale. Dopo 38 giorni di richieste di aiuto da parte del colosso marittimo internazionale Maersk, la Mare Jonio autorizzata dal Centro di coordinamento dei soccorsi di Roma effettuava il trasbordo dalla petroliera Maersk Etienne dei 27 naufraghi. L’accusa per Mediterranea è di aver accettato un corrispettivo economico tramite un assegno di 125 mila euro a Idra, ma sia la Ong italiana che Maersk hanno precisato che si è trattato di una semplice donazione per l’opera svolta, donazioni che sono fonte di sostentamento per le unità della società civile”.
Frontex alla sbarra
Episodi di vittimizzazione per aggressione, furto, detenzione non autorizzata, trasferimento in mare forzato e senza mezzi di navigazione ed espulsione collettiva. Per la prima volta Frontex, Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, risponderà di abusi ai danni di migranti, comprese violazioni dei diritti umani, tra cui respingimenti indiscriminati
Il 25 maggio, infatti, è stata intrapresa la prima azione legale contro l’Agenzia da parte della ong Front-lex con le organizzazioni Progress Lawyers Network e Greek Helsinki Monitor, presso la Corte di Giustizia Europea.
La causa è stata presentata per conto di due richiedenti asilo (un minore non accompagnato e una donna) mentre cercavano asilo in territorio Ue sull’isola di Lesbo, in Grecia. Il 14 luglio è iniziata la discussione del caso presso la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo.
Le accuse mosse contro Frontex traggono fonte da molteplici testimonianze che ricostruiscono gli eventi passati dalle vittime. Tra i fatti presentati si trovano anche prove di altre operazioni di respingimenti senza giusta causa durante i loro tentativi di cercare protezione in Unione europea. Dalle testimonianze presenti nell’azione legale, un membro del presunto gruppo di migranti respinti indiscriminatamente, minorenne e amico del richiedente, anche lui minore, è caduto in acqua ed è morto annegato. La Guardia costiera ellenica (Hcg) non ha recuperato il corpo. La Guardia costiera turca (Tcg) ha poi confermato che un corpo morto è stato trovato nel periodo dal 12 al 14 giugno 2020. Proprio in questa occasione, continua il denunciante, gli ufficiali della Guardia costiera ellenica hanno confiscato soldi, telefoni ed effetti personali, oltre ad aver picchiato e molestato altri membri del gruppo. Front-lex e il team di avvocati che hanno presentato l’azione legale, sostengono la responsabilità di Frontex in questi eventi: l’Agenzia dovrebbe svolgere un ruolo di monitoraggio regolare della gestione delle frontiere esterne, compreso il rispetto dei diritti fondamentali. Anche se gli Stati membri mantengono la responsabilità primaria nella gestione delle proprie frontiere esterne e dell’emissione delle decisioni di rimpatrio, infatti, le attività dell’Agenzia dovrebbero sostenere l’applicazione delle misure dell’Unione relative alla gestione delle frontiere esterne e ai rimpatri rafforzando, valutando e coordinando le azioni degli Stati membri che attuano tali misure.
Dal Regolamento del 2016, ma ancora di più dai cambiamenti apportati nel 2019 alle competenze dell’Agenzia e dalle proposte per i prossimi anni, diventa sempre più evidente che Frontex sta diventando un corpo di para-polizia fino al punto di aver proposto fondi per 11 miliardi di euro tra il 2019 e il 2027, inclusi fondi per lo stanziamento di agenti armati e, per la prima volta, direttamente impiegati da Frontex, e, quindi, dall’Unione europea.
Questa nuova urgenza ha spinto il gruppo di avvocati guidati da Front-lex a sostenere le difficoltà del procedimento alla Corte di giustizia europea per garantire l’attribuzione di responsabilità a Frontex sulle operazioni nell’Egeo. Nonostante la mobilitazione pubblica e di attivisti e le prove forensi presentate ai vari gruppi di scrutinio e all’opinione pubblica di giornalisti europei d’inchiesta, l’accesso alla Corte di giustizia europea è ancora difficile per i singoli, specie nel caso in cui vi siano in situazioni precarie e pericolose come richiedenti asilo. Nel caso di quest’azione legale, infatti, la Corte si dovrà pronunciare circa l’ammissibilità dell’azione, e, solo dopo, valuterà se i fatti esposti generano responsabilità del direttore esecutivo e dell’Agenzia.
Testimonianze dall’inferno
“Haithem è il nome del libico che comanda. Lui si fa aiutare dal fratello Ismael: sono violenti e armati e con il loro gruppo mi tenevano rinchiuso insieme ad altri 300 migranti, bengalesi e subsahariani”. E’ solo una delle testimonianze raccolte negli ultimi 9 mesi dal team medico-psicologico di Medici per i Diritti Umani (Medu) presso l’ambulatorio di Ragusa, in Sicilia. Migranti vulnerabili e sopravvissuti a diversi mesi di detenzione e torture presso il centro di sequestro di Al Harsha in Libia. Tutti hanno dovuto pagare un riscatto tramite le loro famiglie per essere rilasciati.
Il lager di Al Harsha si trova ad Al-Zawija, città costiera situata 50 chilometri ad ovest di Tripoli. Essa è uno dei principali punti di imbarco utilizzati dai trafficanti per far salpare i migranti verso l’Italia.
I testimoni non solo hanno descritto le atrocità che vengono consumate in questo centro illegale, ma hanno anche denunciato la connivenza tra i criminali di Al Harsha e i miliziani che controllano la prigione Al-Nasr di Al-Zawija, chiamata anche Ossama Prison, sotto il formale controllo del governo libico.
Secondo le testimonianze dei migranti detenuti nel centro di Al Harsha esso può arrivare a contenere anche 200-300 persone recluse. A capo del lager un uomo libico di nome Haithem che possiede anche una pompa di benzina a pochi metri dal centro. Haithem dispone di un gruppo di uomini armati e violenti e di un braccio destro, il fratello Ismael.
I migranti (subsahariani e bengalesi soprattutto) sequestrati vengono sistematicamente torturati dai rapitori a scopo di estorsione. Per essere rilasciati occorre pagare un riscatto di 3.000 / 5.000 euro. Al suo interno vengono praticate le più atroci forme di tortura fisica e psicologica. E come se non bastasse I criminali libici di Al Harsha esigono spesso l’aiuto di altri migranti nella pratica della tortura.
“ Mi hanno picchiato e maltrattato per 2 mesi, trattato peggio di una bestia, e mi hanno negato cibo e acqua”, racconta un altro testimone. E ancora “mentre ero recluso ad Al Harsha ho visto decine di migranti bengalesi come me presi a pugni e calci, colpiti col bastone, umiliati. Haithem, il libico, spesso si fa aiutare da altri migranti a torturare le persone rapite: li costringe a farlo ed alcuni li paga. Mentre ero lì dentro ho visto più volte arrivare soldati e altri migranti bengalesi. Ho capito e sentito che provenivano da Ossama Prison. Haithem tiene rapporti con i soldati di quel carcere e fa affari con loro. Anche loro chiedono il riscatto e vendono le persone incarcerate”.
Alcuni dei torturatori, di origine bengalese, si trovano attualmente sotto processo presso il tribunale di Palermo con l’accusa di aver collaborato a diverse tipologie di violenze e soprusi. E alcuni dei migranti che hanno raccontato la loro storia a Medu stanno attualmente testimoniando alle udienze del processo.
Ma di tutto questo, statene certi, sulla stampa mainstream non troverete traccia.
Argomenti: Migranti