Sull'Afghanistan Di Maio vara la politica dell'improbabile

Riconoscimento sì, riconoscimento no, riconoscimento forse. Verso il nuovo governo di Kabul, a dominio talebano, l’Italia si attesta sulla politica del “ni”

Di Maio nel Qatar
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Settembre 2021 - 12.51


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Riconoscimento sì, riconoscimento no, riconoscimento forse. Verso il nuovo governo di Kabul, a dominio talebano, l’Italia si attesta sulla politica del “ni”. A farsene interprete è il titolare della Farnesina.

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“Improbabile”.

“Realisticamente non credo che assisteremo al riconoscimento del governo afghano. E’ un atto che vede prudenza anche nella posizione cinese e russa. Il riconoscimento è molto improbabile”. Così il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, intervenendo in collegamento dal Qatar alla Festa del Fatto Quotidiano. 

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“Il tema di un meccanismo di difesa europeo doveva essere affrontato tanto tempo fa. Ma non è che dobbiamo farlo per riportare i militari in Afghanistan. Creare una difesa europea significa anche capire quando non schierare i militari” aggiunge. “Con una difesa europea avremmo avuto un maggior coordinamento” sull’Afghanistan. Rivedere missioni Italia? Nostra presenza apprezzata Rivedere la presenza militare italiana del mondo? “Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. In Kosovo chiedono di restare con il comando della missione perché sanno che gli italiani lavorano all’integrazione nel territorio. Lo stesso in Libano, dove i soldati ogni giorno aiutano le comunità locali libanesi. In Iraq la missione è nata contro Daesh e il governo iracheno ci ha chiesto ‘dateci una mano'” spiega Di Maio. “La nostra presenza è molto apprezzata”. Dobbiamo lavorare imparando dal passato “Il M5S è sempre stato a favore del ritiro delle truppe dell’Afghanistan ma l’argomento, già con la presidenza Obama, era al centro del dibattito statunitense. Nessun ritiro non è traumatico. Dove si doveva fare di più era nel rafforzamento delle istituzioni afghane nonostante l’Italia abbia fatto tanto nella costruzione della rule of law del Paese” precisa il ministro degli Esteri. “Adesso siamo ad un anno zero, credo che dobbiamo lavorare imparando dal passato a progetti che aiutino giovani, meno giovani, donne, anche di coloro che restano nel Paese. Io la cosa che temo di più è che i riflettori si spegneranno e tutti questi temi non si porteranno avanti con la stessa attenzione”, spiega. “Per questo sono qui, per chiudere subito delle intese per gli aiuti umanitari e il contrasto al terrorismo”. 

Garantire accesso a Ong e agenzie Onu 

“Stamattina sono stato in Uzbekistan e Tagikistan e stiamo lavorando su più fronti: il primo è quello di garantire un accesso assolutamente libero a tutte le Ong e le agenzie Onu che si occupano di tutelare i civili e io ringrazio tutti gli italiani che hanno lavorato e lavorano per l’evacuazione; l’altro fronte è la lotta al terrorismo e stamattina abbiamo convenuto di rafforzare la cooperazione tra le nostre intelligence, non possiamo permettere che l’Afghanistan sia una comfort zone per i terroristi”. “In queste ore insieme ai nostri partner- aveva detto stamattina dall’Uzbekistan, “ci stiamo confrontando sul luogo dove ricollocare le ambasciate. A Kabul al momento non ci sono le condizioni di sicurezza per riaprirle, per questo motivo prende sempre più consistenza l’idea di ricollocarle, in maniera temporanea, a Doha. Ovviamente sarà una decisione da prendere insieme ai nostri principali partner, ne discuterò domani con le autorità qatarine in occasione della mia visita a Doha”, puntualizza il ministro.

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La videodiplomazia impegna h24 Di Maio. “La prima preoccupazione va al fatto che l’Afghanistan possa tornare a essere una comfort zone delle cellule terroristiche. Dalle autorità afghane ci aspettiamo la lotta al terrorismo, il rispetto dei diritti umani e in particolare delle donne, il libero accesso delle agenzie e delle ong nel territorio e un passaggio sicuro agli afghani che vogliono lasciare il Paese”, ha poi aggiunto il titolare della Farnesina sottolineando: “L’evacuazione dei civili afghani dall’Afghanistan verso l’Italia o l’Europa sul piano bilaterale non è immaginabile. Non possiamo dare le liste di coloro che vogliamo evacuare ai talebani, diventerebbero delle ‘killing list’”. “In queste ore come governo stiamo cercando di collaborare con i Paesi confinanti dell’Afghanistan sul rischio terrorismo e sul sostegno agli sfollati che stanno riempiendo i campi profughi in Pakistan, in Iran e nei Paesi del Nord. Vogliamo costruire una maggiore collaborazione con le nostre intelligence per evitare che nei flussi di sfollati ci possano essere elementi riconducibili a cellule terroristiche”, ha quindi affermato Di Maio.

Emergency c’è

Dalle parole ai fatti. Dal diplomatichese alla diplomazia del fare, ad una solidarietà praticata e non predicata.Adesso più che mai gli afghani hanno bisogno di noi. È fondamentale rimanere nel paese”. È questo l’appello lanciato dalla presidente di Emergency Rossella Miccio al festival “La Cura”, la tre giorni di eventi e dibattiti organizzata dalla ong a Reggio Emilia. A raccontare la situazione nella capitala afghana è il coordinatore medico dell’ospedale di Kabul Alberto Zanin: “A Kabul la situazione è più stabile che in altre parti, l’ospedale è pieno abbiamo solo 4 posti liberi” racconta Zanin mentre sullo sfondo si sentono i colpi sparati in aria “per festeggiare l’annuncio del nuovo governo”. Negli ultimi giorni, la situazione si è fatta più critica verso il Panshir. Nella notte tra venerdì e sabato, le forze talebane hanno raggiunto il villaggio di Anabah dove si trovano il Centro chirurgico e pediatrico e il Centro di maternità di Emergency. “Al momento l’attività dell’ospedale non ha subito interferenze e continua normalmente – spiegano da Emergency – finora abbiamo ricevuto un numero esiguo di feriti, ma non comunichiamo i dati esatti né la provenienza dei pazienti per evitare possibili rischi di strumentalizzazione”. Ma in Afghanistan non ci sono solo le ferite di guerra da curare. “La scarsità di accesso alle cure, specialmente per chi vive nei distretti fa sì che ci sia un alto tasso di mortalità per patologie che in Italia sarebbero curabili in maniera semplice”. Proprio per questo, come ricorda la presidente di Emergency, la priorità è quella di “garantire il funzionamento ospedali che sono pilastro fondamentale per tutta la popolazione”. Negli ultimi anni sono stati curati oltre sette milioni di afghani. “Noi continueremo a lavorare lì, ma anche in Europa per garantire a tutte e tutti diritti e cure”.

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La resistenza è “rosa”.

A raccontarla da Islamabad è Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera, che l’Afghanistan ha imparato a conoscerlo e raccontarlo dal campo. “I filmati delle donne attaccate dai talebani a bastonate, con i lacrimogeni e gas urticanti, ieri verso mezzogiorno hanno fatto il giro del mondo. Si vedono loro che gridano i loro slogan – scrive Cremonesi – «Libertà. Libertà. Le donne devono poter essere anche ministre e avere ruoli di responsabilità. Non potrete costringersi a tacere», ripetevano. Una di loro è stata poi fotografata ferita, col sangue alla testa. Tante altre sono state spintonate. Tossivano e lacrimavano vistosamente, cercando di ripararsi naso e bocca con gli scialli. Un’altra manifestante, la 26enne Razia Barakzai, ha raccontato che i talebani le hanno «circondate» nei pressi del ministero delle Finanze, ancora lontane dal palazzo presidenziale. «Ci hanno fermate con la violenza, anche se la nostra manifestazione era del tutto pacifica», dice. Il loro movimento sta crescendo di giorno in giorno. Ieri manifestazioni analoghe si sono tenute a Herat e nella provincia di Nimro… «I talebani ci aspettavano. Si erano preparati sin da venerdì. Hanno mandato la “Badri”, la brigata delle loro truppe scelte migliori. Dovevano disperderci rapidamente. Ma non ci sono riusciti. E hanno dovuto usare la forza», ci spiega per telefono – prosegue Cremonesi – una delle loro leader, Fawzia Wahdat, giovane attivista che non ha paura di postare in rete il suo viso con le dita della mano destra in segno di «v» e la determinazione a lottare. È figlia del nuovo Afghanistan: giornalista, è stata tra i giudici della Commissione elettorale incaricata di vagliare eventuali brogli. E da poco ha ottenuto la laurea in Legge: un curriculum di studi che senza dubbio la rafforza nella sua battaglia per la difesa dei diritti civili…”.

Panshir, assalto finale

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Cronaca di guerra. I combattenti Talebani stanno penetrando in profondità nella Valle del Panshir, l’ultimo baluardo della resistenza in Afghanistan: resistenza che fatic aa tenere le proprie posizioni, mentre in molti fuggono dai villaggi, innescando una potenziale crisi umanitaria. Lo rivelano fonti locali, secondo le quali i jihadisti, ormai dotati di armi moderne confiscate all’ex esercito regolare afghano e di unità di élite, avrebbero conquistato nuovi distretti nella valle. Ali Maisam Nazary, portavoce della resistenza ma che non si trova nella valle, afferma che i miliziani che combattono i talebani “non cederanno mai”, mentre l’ex vicepresidente Amrullah Saleh, che è al fianco di Ahmed Massoud – figlio del”Leone del Panshir”, Ahmed Shah Massoud, ucciso dai talebani nel 2001 -, constata che la situazione è difficile per la resistenza e parla del rischio di una “crisi umanitaria su larga scala” innescata dalle migliaia di abitanti del Panshir “sfollati dall’avanzata talebana”. Fino a ieri i distretti caduti nelle mani degli Studenti del Corano erano almeno quattro. L’unica certezza è che sono arrivati fino al villaggio di Anabah, a 25 km dall’ingresso meridionale della valle del Panshir, che è lunga 115 km. 

Il nuovo governo

Intanto i Talebani sono pronti ad annunciare il loro nuovo governo, dopo tre settimane di gestazione: lo afferma Inamullah Samangani, membro della commissione culturale talebana, citato da Tolo News, secondo il quale l’annuncio sarà fatto a breve. Samangani ha affermato che “non ci sono ostacoli all’annuncio di un nuovo governo” e che l’annuncio avverrà a ufficialmente “a breve”. 

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Tolo News rileva come non ci siano indiscrezioni sulla composizione dell’esecutivo. Ma secondo un analista afghano, Syed Ishaq Gilani, citato dall’emittente, “ci saranno decine di ministeri tecnici e ad occuparli dovrebbero essere dei tecnici competenti”. Secondo Gilani, inoltre, i talebani “dovranno prendere in considerazione la democrazia nel futuro sistema politico”. 

Patto di ferro

Il legame tra il Pakistan e i talebani afghani è antico e radicato. I primi talebani si formarono 

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 all’interno di scuole coraniche pakistane, e a sua volta il Pakistan ha sempre usato i talebani afghani – e prima di loro altre organizzazioni islamiste – per mantenere una presenza  strategica in Afghanistan, territorio che può tornare molto prezioso nel caso di conflitti con l’India, da sempre nemica del Pakistan. Il legame tra Pakistan e talebani afghani è proseguito anche nei periodi successivi fino ad arrivare all’occupazione americana dell’Afghanistan. Il Pakistan era ufficialmente alleato degli Stati Uniti ma mantenne sempre una certa ambiguità, continuando ad aiutare e a ospitare i talebani. A un certo punto in Pakistan si rifugiarono lo stesso Osama bin Laden, fondatore di al-Qaeda, e il mullah Omar, il fondatore del movimento dei talebani. Il mezzo principale con cui il Pakistan ha sostenuto e sostiene i talebani afghani è la cosiddetta Rete Haqqani il gruppo armato afghano alleato dei talebani e considerato il principale collegamento tra loro e l’organizzazione terroristica sunnita al-Qaeda. Dalla sua fondazione, la Rete Haqqani ha stretti contatti con la più importante divisione dell’intelligence pakistana, la Inter-Services Intelligence (ISI). Secondo un’analisi   del centro studi americano Combating Terrorism Center, i servizi segreti pakistani continuano ancora oggi a sostenerla con armi, denaro e contatti.

Il capo della Rete Haqqani è anche uno dei leader più importanti dei Talebani, e secondo Yasin Zia, ex capo dell’esercito afghano, è grazie ai legami con i servizi segreti pakistani che la Rete Haqqani potrebbe guadagnare il controllo dell’intelligence nel nuovo regime talebano. La vittoria dei Talebani in Afghanistan è quindi anche una vittoria del Pakistan, che ha aiutato moltissimo gli Studenti del Corano  anche nella loro campagna di riconquista del paese: ai talebani, in particolare, sembra che il Pakistan abbia offerto armi e combattenti, oltre che rifugi, assistenza medica ed entrate economiche per sostenere il conflitto.

Un legame destinato a rafforzarsi ulteriormente. Una delegazione di funzionari militari pakistani guidata dal direttore generale dell’Isi, i è arrivata a Kabul. “Abbiamo lavorato per la pace in Afghanistan e lo faremo in futuro; non c’è nulla di cui preoccuparsi”, ha detto il generale Faiz Hameed parlando con i media. 

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Morale della storia: isolare i Talebani sarà molto difficile, una missione al limite dell’impossibile. 

 

 

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