“Innanzitutto, mi pare che ci sia un problema di parole usate nel modo sbagliato. Discriminare ha un significato negativo, di persecuzione per motivi inaccettabili. Tra chi è vaccinato e chi no parlerei di distinzione: distinzione è cosa neutra, che può essere giusta perché basata su motivi ragionevoli e può essere ingiusta, cioè discriminatoria, se basata su motivi irragionevoli. Dunque, si discuta dei motivi, prima di usare parole suggestive e arbitrarie”.
Come scrive Federica Fantozzi – Huffington Post – Gustavo Zagrebelsky è stato presidente della Corte Costituzionale, è un giurista che non disdegna di partecipare al dibattito pubblico, ma la qualifica a cui è più affezionato è quella di professore.
Affronta il sottile crinale che – sul filo della scienza, del diritto e della politica – distingue tra obbligo vaccinale e green pass nella lotta alla pandemia: “La scienza fornisce dati probabilistici e non verità assolute. Su quella base, tocca alla politica decidere. L’obbligo sarebbe costituzionalmente legittimo purché proporzionale, limitato nel tempo e rigorosamente ancorato alle condizioni sanitarie esistenti”.
Quanto alle proteste No Vax: “Chi scende in piazza al grido di libertà, dovrebbe usare la parola giusta che è arbitrio. E’ la prepotenza di chi vuole fare ciò che vuole. Non dobbiamo lasciare che il discorso sia portato su questo terreno”.
Il governo italiano sta ragionando se imporre l’obbligo vaccinale generalizzato contro il covid o continuare sulla strada dei green pass mirati. Il governo inglese, invece, ha cambiato idea rinunciando alla carta verde perché per la politica si tratterebbe di una misura “coercitiva e discriminatoria”. Come si fa a orientarsi tra scienza, diritto e politica?
Va fatta una considerazione preliminare molto importante: facciamo attenzione all’uso delle parole. La cura delle parole è importante perché quelle improprie impediscono di ragionare correttamente e si prestano a imbrogli. Per esempio, “discriminazione”: chi usa questo termine come un’arma contundente non fa un buon servizio alla onesta discussione.
Non si discute di discriminazioni qui?
La discriminazione contiene un significato negativo: si discrimina per perseguitare o per escludere dall’esercizio di diritti, cioè per porre in essere politiche che violano l’eguaglianza di tutti i cittadini sulla base di criteri ingiustificati e ingiustificabili. Ad esempio, la discriminazione per pretese ragioni razziali durante il nazismo e il fascismo. Ma chi si vaccina corre rischi molto meno seri di infettarsi e, soprattutto, di infettare rispetto a chi non lo fa. Mi sembra del tutto ragionevole che se ne tenga conto.
Allora, chi parla di “dittatura sanitaria” o di “totalitarismo medico” esagera?
Le parole andrebbero “sfogliate” come le cipolle per vedere che cosa hanno dentro.
Nel dibattito pubblico si dà per scontato che l’obbligo generalizzato sia una possibilità costituzionalmente legittima perché fondata sull’art.32. E’ così?
L’intervento legislativo che introduce l’obbligo vaccinale sarebbe costituzionalmente legittimo purché proporzionale, limitato nel tempo e rigorosamente ancorato alle condizioni sanitarie effettive. Insomma, sulla base di uno stretto controllo di adeguatezza, ragionevolezza e conformità allo scopo. In questi limiti e con queste precisazioni sarebbe giustificato costituzionalmente.
Il presupposto dell’obbligo sarebbe la pandemia, dunque l’emergenza. Ma dopo quasi due anni, con la vaccinazione all′80% e lo strumento del green pass, sul piano del diritto si può dire che l’emergenza persista?
Il governo deve decidere su base scientifica. La sua non può essere un’improvvisazione politica. Tuttavia, questo necessario richiamo alle posizioni della “comunità scientifica” non elimina le responsabilità del governo e del parlamento. Dalla “comunità scientifica” non proviene una voce sola cui possa riconoscersi una patente di verità assoluta e assodata una volta per tutte. Non è così: se c’è un mondo in cui abita il pluralismo delle posizioni, delle ipotesi, delle verifiche e delle smentite, questo è il mondo della scienza. Non c’è da stupirsi o, peggio, scandalizzarsi perché dalla comunità scientifica provengano voci diverse, purché siano voci “integre”, cioè non alterate da interessi che scientifici non sono.
Ma scusi, se la politica deve decidere su base scientifica e la scienza è divisa, come si esce dal labirinto?
Il mondo scientifico non è quello della verità ma della probabilità. Ne vengono elementi di valutazione, ma non conclusioni, tantomeno in casi così controversi. Si confrontano elementi, opinioni e prove spesso interpretabili e si formulano ipotesi che valgono fino a quando nuove evidenze vengono a smentire. E’ il mondo in cui gli esperimenti tentano di ridurre l’incertezza. In questo contesto entra in campo la politica, a cui spetta la responsabilità di decidere se dare più credito a certe ragioni scientifiche piuttosto che ad altre.
Insomma, abbiamo di fronte presunzioni relative e non assolute. Gli scienziati forniscono elementi che il decisore politico deve discernere e valutare, sempre alla luce di come si evolve la realtà?
Sì, ripeto, non bisogna parlare di verità scientifiche bensì di probabilità scientifiche. Oltretutto, a esaltare la scienza oltre misura si rischia di produrre la conseguenza opposta: quando si constata che vi sono casi, anche se molto marginali, che sfuggono alla Verità (con la v maiuscola) e si pretende che la scienza possieda questa verità, è facile concludere che quella tale posizione scientifica è radicalmente falsa. Così, di fronte a qualche caso di effetto collaterale indesiderato del vaccino, si dice che c’è un imbroglio, un complotto e altre simili sciocchezze.
La verità assoluta è impossibile, e gli “scientisti” che pretendono di possederla rischiano di impiccarsi con la propria corda. Siamo più modesti: la scienza è importantissima, ma ci offre dati e previsioni basati su probabilità, plausibilità. Non sappiamo con certezza che diffusione avrà il virus, quali varianti affronteremo, e neppure se ci saranno e quali conseguenze avrà l’uso di questo o quel vaccino. Insomma, c’è sempre un margine di possibile errore che si deve essere disposti a correggere.
Il governo ha già varato obblighi mirati con il green pass, fondato su decreto. Continuare su questa strada sarebbe un’alternativa valida?
Obbligo generalizzato e green pass sono due misure non uguali sul piano della logica e del contenuto, ma mirano entrambi a diffondere la vaccinazione. Bisogna ragionare in modo concreto. Capisco che nella sfera politica ci sia prudenza rispetto all’introduzione di un obbligo per legge che rappresenterebbe una misura coercitiva imposta con un intervento d’autorità.
Sarebbe più ragionevole che i cittadini fossero coinvolti in modo responsabile in una politica sanitaria nazionale che comprenda tutte le articolazioni sociali e i singoli cittadini. Sarebbe una prova di grande civiltà se le misure anti-covid fossero gestite in questa prospettiva consensuale, senza chiamare in causa leggi, decreti, giudici, sanzioni eccetera.
Alla realizzabilità di una politica sanitaria nazionale, come auspica lei, ostano i distinguo e le ambiguità di parte della politica, che soffiano sul fuoco di chi non è convinto del vaccino…
E’ chiaro che l’obbligo alimenterebbe le cento sfumature di obiezioni. Direbbero, e lo dicono già: deriva autoritaria e anti-democratica, stiamo scivolando nel regime. Ma non è vero: se usato per il tempo necessario e in modo proporzionato l’obbligo sarebbe uno strumento costituzionalmente ineccepibile.
Boeri, Barberis e altri sottolineano l’inutilità di un obbligo coercitivo a carico di 40 milioni di italiani che sarebbe impossibile da accertare e sanzionare. Il rischio è quello di una norma disattesa?
Il problema del controllo esiste. Che si fa? Si mandano le persone nei centri vaccinali scortate dalla polizia? Non si può. Diverso sarebbe subordinare, per esempio, i contatti con la Pubblica Amministrazione, per usufruire dei suoi servizi, al possesso di una tessera vaccinale.
Del resto, non esiste forse la carta d’identità? E non è obbligatorio averla? Certo, non sarebbe l’obbligo generale e astratto, ma otterrebbe lo stesso scopo. Sul piano giuridico sarebbe non un obbligo, ma un onere, cioè una condizione per poter fare qualcosa, come la patente per guidare.
Ma sul piano di principio non c’è differenza tra applicarlo all’accesso ad attività “ludiche” come bar e palestre o invece alla scuola e al lavoro?
Sì, c’è una gradazione. Se si applica per entrare allo stadio, al bar o a teatro è appunto un onere. Se vuoi questo, fai quello: ma sei libero di non fare quello se rinunci a questo. Quando invece si parla di lavoro o di scuola, che oltre a essere diritti sono anche doveri, l’onere cambia natura e diventa un obbligo vero e proprio.
E sarebbe legittimo introdurre l’obbligo per i luoghi di studio o di lavoro?
Nei limiti che abbiamo definito sopra, non c’è alcuna ragione per escludere queste gradazioni dall’ambito dell’articolo 32 della Costituzione, che evoca la cooperazione dei cittadini nell’assumersi una responsabilità verso la salute propria e altrui. Sa qual è un’altra parola usata a sproposito di questi tempi?
Qual è?
Libertà. Quelli che manifestano in piazza con il megafono contro le vaccinazioni dovrebbero usare la parola giusta: arbitrio. E’ questo che rivendicano: il diritto di fare ciò che vogliono, senza limiti. E’ una forma di arroganza, di prepotenza. Non dobbiamo accettare che il discorso venga portato su questo terreno.
Trecento docenti universitari sostengono che con il green pass “si estende di fatto l’obbligo in forma surrettizia per accedere a diritti fondamentali senza piena assunzione di responsabilità da parte del decisore politico”. Hanno ragione o torto?
Non ne conosco quasi nessuno. Osservo però che, se non sono epidemiologi o giuristi, la loro opinione non che non valga niente, ma ha lo stesso valore di quella di un cittadino qualsiasi. Una cosa è avere competenze specifiche, un’altra è insegnare magari musica da camera.
Ultima domanda: nel quadro della responsabilità da lei evocata, è giusto che i lavoratori senza green pass per le mense aziendali o i prof non vaccinati si paghino i tamponi da soli?
Le pare che, di fronte alla tragedia della pandemia e ai rischi di diffusione, ci si debba impuntare su cose come questa? E’ una questione secondaria, che andrebbe affrontata con pragmatismo. Nei bilanci delle Regioni si troverebbero facilmente gli stanziamenti per erogarli a carico del servizio sanitario. Non cediamo a drammatizzazioni o ricatti morali per aspetti marginali e destinati a non durare a lungo.
Argomenti: covid-19