Ministro dell'economia olandese finisce nei Pandora Papers: voleva un'indagine sui conti pubblici italiani

Wopke Hoekstra accusato di aver investito in una società offshore alle Isole Vergini britanniche. Hoekstra ha negato di sapere che la società si trovava in un paradiso fiscale

Wopke Hoekstra
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4 Ottobre 2021 - 16.32


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Come scrive Claudio Paudice – Huffington Post – da alfiere del rigore finanziario altrui, nonché tra i ministri dell’Unione Europea più critici nei confronti dei conti pubblici e delle leggi finanziarie italiane, a nome di spicco tra i leader politici coinvolti nella maxi-inchiesta sull’evasione fiscale denominata Pandora Papers.

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Triste parabola quella del ministro uscente delle Finanze olandese Wopke Hoekstra, dimessosi a gennaio per uno scandalo legato all’assistenza di minori e da domenica diventato nuovamente bersaglio degli attacchi dei partiti di opposizione nei Paesi Bassi perché finito nella nuova mole di documenti rivelata dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), composto da oltre 600 giornalisti di 150 testate internazionali, e dall’Espresso per l’Italia. Secondo i Pandora Papers, Hoekstra, cristiano-democratico leader del partito Cda, è entrato nel 2009 in una società offshore con base nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche, la Candace Management Ltd.

Come rivela la piattaforma di giornalismo investigativo olandese Investico, possedeva più di ventiseimila euro in azioni in una società fantasma, ma ha venduto le sue quote una settimana prima di diventare ministro dell’Economia nel 2017, perché le norme olandesi non gli consentivano di possederle, seppur già fosse membro della Camera alta del Parlamento dal 2011 (e vicepresidente della Commissione Finanze), alla quale non aveva mai fornito informazioni riguardo i suoi interessi economici. Attraverso la Candace Management, Hoekstra ha quindi investito in una società specializzata in turismo sostenibile e in particolare in safari in Africa orientale, Kenya e Tanzania, guidata da un suo amico di vecchia data. Nessuna operazione dai contorni criminali, né comportamenti contrari alla legge olandese, ma l’investimento del ministro in un paradiso caraibico dove non si pagano tasse e l’anonimato è garantito sta facendo discutere nei Paesi Bassi per ovvie ragioni di opportunità. Lo stesso Hoekstra si è difeso pubblicamente spiegando di aver rispettato le leggi ma ammettendo di non sapere, dodici anni fa, dove aveva sede la Candace Management. Ha poi detto di non aver fatto il suo investimento con scopo di lucro e anzi di aver donato i profitti maturati, circa 4800 euro, a un ente di ricerca nella lotta contro il cancro.  Il leader della Sinistra verde, Jesse Klaver, ha chiesto a Hoekstra una spiegazione: ”È una notizia estremamente inquietante che il nome del nostro ministro delle finanze appaia in questi documenti trapelati sulle società fittizie. Dobbiamo andare a fondo della questione. Deve rispondere al Parlamento la prossima settimana”, ha detto Klaver. 
“Hoekstra nega di sapere che la società si trovava in un paradiso fiscale, ma ha informato Rutte. Com’è possibile? E di cosa? Voglio sapere esattamente cosa sta succedendo”, ha twittato il parlamentare laborista Henk Nijboer. 

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“Dodici anni fa non sapevo dove avesse sede la società. Ovviamente avrei dovuto approfondire la cosa”, ha ammesso Hoekstra. Quanto all’aver tenuto nascosto il suo investimento al Parlamento, il ministro ha affermato che non era obbligatorio renderlo pubblico. D’altronde il dibattito politico non verte tanto sulla legalità dell’operato di Hoekstra, che non pare in discussione, quanto sull’opportunità per un rappresentante pubblico di investire con nonchalance in un conclamato paradiso fiscale che a parole si dichiara di voler combattere. 

D’altronde gli stessi Paesi Bassi sono considerati a loro volta un paradiso fiscale all’interno dell’Ue. Secondo un’indagine di Tax Justice, il fisco italiano perde la possibilità di tassare circa 3,5 miliardi di profitti societari che vengono ogni anno dirottati nel Paese dei tulipani. A proposito dell’Italia, il rapporto tra Hoekstra e Roma e in generale con i Paesi del Sud Europa è sempre stato burrascoso, anche di recente dopo l’avvento della pandemia. All’indomani dell’arrivo del Covid e nell’iniziale dibattito a livello europeo su come fronteggiare la crisi economica in arrivo, Hoekstra chiese di avviare un’indagine sui bilanci degli Stati con elevati debiti pubblici. Nel vertice Ue di marzo 2020, nel pieno della pandemia, il ministro delle Finanze dell’Aja chiese di approfondire i motivi per cui alcuni Stati affermavano di non avere spazio fiscale per rispondere alla pandemia. Posizione motivata dall’esigenza di bloccare sul nascere ogni tentativo di creare uno strumento di risposta comune agli effetti del Covid, poi realizzatosi con il Recovery Fund, e che il premier portoghese Antonio Costa non esitò a definire “ripugnante”. 

Hoekstra in altre parole è capofila dei cosiddetti “falchi” europei, favorevoli ancora oggi a politiche fiscali improntate all’austerità, sebbene si siano rivelate negli anni fallimentari, e al ricorso a strumenti finanziari extra-Ue vincolati al rispetto di rigorose condizionalità macroeconomiche  – come il Mes – pur di arginare ogni processo di integrazione fiscale a livello comunitario. “Oggi Hoekstra e gli altri falchi del nord Europa hanno la faccia tosta di chiedere il ritorno del patto di stabilità in un continente azzoppato dalla crisi dovuta al Covid mentre ricchi e potenti continuano ad evadere le tasse, è arrivata l’ora che l’Unione europea si doti di una politica fiscale unica e sicura che combatta queste aberrazioni”, ha affermato oggi l’eurodeputato dei Verdi Ignazio Corrao.

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I Paesi Bassi, noti “frugali”, sono anche tra i Paesi più attivi nel chiedere la riattivazione, nella sua forma attuale (oggi sospesa per pandemia) del Patto di Stabilità e crescita, l’insieme di regole e parametri fiscali su debito e deficit che oggi alcuni membri della Commissione Europea e diversi Paesi Ue chiedono di riformare perché basato su regole e norme che hanno aggravato la situazione finanziaria degli Stati più indebitati, invece di migliorarla.

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