La Commissione Europea resta abbottonata sulle prossime mosse nei riguardi della Polonia, che con la sentenza del Tribunale Costituzionale di giovedì scorso ha messo in dubbio il primato del diritto Ue su quelli nazionali, stabilito dai trattati.
“Credeteci, presenteremo tutto al momento giusto – ha risposto oggi durante il briefing con la stampa il portavoce capo Eric Mamer – se e quando la Commissione deciderà di mandare una lettera a specifici Stati membri. Fino ad allora, non faremo speculazioni sui prossimi passi né sulla tempistica. Sono temi molto importanti e delicati”. L’esecutivo Ue “se e quando si muoverà, lo farà su basi giuridiche solidissime. La presidente Ursula Von der Leyen ha detto che la Commissione lo farà presto, ma annunceremo i prossimi passi quando li decideremo, non prima”. La valutazione della Commissione della sentenza emanata dal Tribunale Costituzionale polacco, che ha stabilito l’incompatibilità tra alcuni articoli del Tue e la Costituzione polacca, “non è ancora disponibile – ha tagliato corto Mamer – avrete la nostra valutazione quando la avremo. Non sono nella posizione di dare una tempistica. Stiamo conducendo l’analisi”. La Commissione potrebbe avviare una procedura d’infrazione nei confronti della Polonia, come minimo, visto che è stato fatto anche nei confronti della Germania, il 9 giugno scorso, a causa della sentenza con cui la Corte di Karlsruhe, nel maggio 2020, aveva dichiarato che il Pspp, un programma di acquisti di titoli della Bce, costituiva un atto ‘ultra vires’ e che la Corte di Giustizia Ue, avendo stabilito che la decisione della Bce rientrava nei limiti del diritto Ue, stava agendo parimenti ‘ultra vires’, cioè al di là dei suoi poteri, come spiegava a suo tempo Thu Nguyen del Jacques Delors Centre
La Commissione è il guardiano dei trattati e sicuramente agirà, anche perché Ursula Von der Leyen ha dichiarato che l’esecutivo userà “tutti i poteri” di cui dispone “in base ai trattati per assicurare” il primato del diritto Ue su quelli nazionali, incluse “le disposizioni costituzionali. E’ quello che tutti gli Stati membri dell’Ue hanno sottoscritto, come membri dell’Unione Europea”, ha ricordato. Il caso della Polonia appare politicamente diverso da quello della Germania. Come ha spiegato Lucas Guttenberg del Jacques Delors Centre a Berlino, la sentenza del Tribunale Costituzionale polacco, contrariamente a quella della Corte di Karlsruhe che avvenne ‘motu proprio’, non è stata “un caso”, dato che è stata “richiesta” dal premier Mateusz Morawiecki. E ci sono parecchi dubbi sull’indipendenza del Tribunale Costituzionale polacco: Jeroen Lenaers, olandese del Ppe, ha detto senza mezzi termini che “il Tribunale Costituzionale illegittimo della Polonia ha messo il Paese sulla strada della Polexit”.
A Bruxelles è opinione diffusa che il premier polacco abbia deciso di forzare la mano per fare pressione sulla Commissione, che non ha ancora approvato il Pnrr della Polonia, Paese che è tra i principali beneficiari di Next Generation Eu, per via delle carenze del piano stesso sulle tutele dello Stato di diritto, uno dei campi in cui Varsavia deve fare progressi, in base alle raccomandazioni specifiche per Paese. C’è chi pensa che il governo polacco sia stato involontariamente incoraggiato dalla linea relativamente ‘morbida’ della Commissione von der Leyen, che sarebbe stata percepita come debolezza dai vertici del Pis
Non pochi ritengono che Morawiecki abbia fatto male i suoi calcoli, dato che è evidente che adesso la Commissione, anche se insiste nel sottolineare che Pnrr e sentenza del Tribunale Costituzionale sono due dossier separati, non potrà dare via libera al piano. Di sicuro non in tempi brevi, anche perché ha il fiato del Parlamento sul collo. Il presidente David Sassoli ha reagito molto duramente, dicendo che la sentenza di Varsavia non potrà restare senza conseguenze. E’ assai più cauto il Consiglio: non è sfuggito, a Bruxelles, che il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, solitamente prodigo di tweet, si è guardato dal prendere posizione sulla questione. Per Lucas Guttenberg, la mossa di Varsavia si rivelerà “un grosso boomerang”.
Nei confronti della Polonia già nel 2017, come dell’Ungheria nel 2018, è stata avviata la procedura prevista dall’articolo 7 del Tue, che in realtà si è rivelata un’arma spuntata. Come ha scritto già nel 201
Martin Michelot, associate research fellow dell’Istituto Jacques Delors, “l’interesse dei media che ha accompagnato l’avvio di queste procedure, a causa della loro novità, sembra essere in acuto contrasto con i risultati effettivi”. Di fatto la Polonia del Pis non ha deviato dalla sua linea nazionalista e Viktor Orban, come è stato notato, negli anni non ha mostrato alcun miglioramento, dal punto di vista del ‘consensus’ Ue. Anzi, è peggiorato.
In realtà la Commissione potrebbe ricorrere anche al meccanismo che tutela il bilancio Ue dalle violazioni dello Stato di diritto, tenuto finora nel congelatore per via di un accordo di compromesso raggiunto nel Consiglio Europeo del dicembre 2020 e procacciato dalla presidenza tedesca: in sostanza, in cambio del via libera di Ungheria e Polonia al Quadro finanziario pluriennale 2021-27, la Commissione si astiene dall’innescare il meccanismo prima che la Corte di Giustizia Ue si sia pronunciata sui ricorsi presentati da Budapest e Varsavia. Il Parlamento ha fin da subito ritenuto che, trattandosi di un regolamento, la Commissione deve applicarlo, indipendentemente da accordi politici intercorsi tra i capi di Stato e di governo.
I portavoce della Commissione si mantengono abbottonatissimi su questo punto: “Fondamentalmente – si è limitato a spiegare Balasz Ujvari, che segue le questioni legate al Bilancio – l’idea è che il meccanismo viene attivato quando viene individuato un legame tra una violazione dello Stato di diritto e il bilancio dell’Ue. Le condizioni sono elencate nell’articolo 4 del regolamento.
Il meccanismo viene attivato quando gli interessi dell’Ue sono minacciati da una violazione dello Stato di diritto”. Venerdì scorso tre presidenti di commissione importanti del Parlamento, tutti e tre della maggioranza (una popolare, un liberale e un socialista) hanno invocato a gran voce il ricorso al meccanismo, che colpirebbe Varsavia dove fa più male: nel portafogli.
La Polonia è un grande beneficiario dei fondi Ue, come l’Ungheria, e i polacchi, anche quelli del Pis, lo sanno perfettamente. Tra le dichiarazioni dei tre eurodeputati della maggioranza, spiccava quella della presidente della commissione Controllo dei Bilanci, Monika Holmeier. E’ un’eurodeputata tedesca, della Csu bavarese, che presiede una commissione importante. La Germania a Bruxelles conta molto e ha rapporti economici molto stretti con la Polonia, come pure con l’Ungheria, in particolare, ma non solo, nel settore automotive. Per Holmeier, “purtroppo con questa sentenza la Polonia ha detto addio all’ordinamento giuridico europeo. Se gli atti giuridici europei non vengono più accettati, allora è discutibile che la Polonia possa beneficiare dell’enorme ammontare di fondi che riceve. Varsavia è il primo beneficiario dei fondi di coesione e il quarto beneficiario di Next Generation Eu”. Sono parole che a Varsavia potrebbero aver fatto suonare un campanello d’allarme. Anche perché, se a governare a Berlino saranno Spd, Verdi e Liberali, è molto difficile aspettarsi che abbiano una linea più conciliante. E Varsavia potrebbe ritrovarsi con pochissime sponde politiche al di là dell’Oder-Neisse.
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