Dimenticati. Catturati. Confinati in lager infernali. Usati come arma di ricatto. Remember the Afghan refugees?
Il Sultano-carceriere
Le forze di sicurezza turche hanno catturato nei giorni 164 migranti, in larga parte afghani, che erano entrati illegalmente in Turchia dall’Iran. Lo riporta il quotidiano Sabah. I migranti afghani sono stati catturati nelle province di Ardahan, Bitlis e Van e poi trasferiti in centri di detenzione. Arrestate in tutto 11 persone, sospettate di essere trafficanti di esseri umani. Durante l’estate il numero dei migranti afgani diretti in Turchia dall’Iran era salito in seguito alla presa del potere in Afghanistan da parte dei talebani.
In occasione del G20 di Roma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva avvertito “Non apriremo le nostre porte” a un nuovo flusso di migranti verso la Turchia, parlando di circa 300 mila profughi afghani già presenti nel Paese.
Secondo recenti dichiarazioni del ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu, 2 milioni di afghani in Iran sarebbero “pronti a muoversi” mentre già circa 2.000 migranti dall’Afghanistan entrano ogni giorno in Turchia illegalmente attraverso il confine iraniano. Il quotidiano Sabah parla anche di 258 richiedenti asilo soccorsi dalla Guardia costiera turca nelle ultime 24 ore, dopo presunti respingimenti da parte della Marina greca nell’Egeo. I migranti sono soprattutto siriani e sono stati portati in centri di accoglienza sulla costa turca in provincia di Smirne e Mugla.
Recentemente la commissaria europea per gli Affari Interni Ylva Johansson aveva espresso preoccupazione per dei rapporti su presunti respingimenti di migranti verso la Turchia da parte delle autorità greche.
Matteo Villa dell’ISPI ha elaborato dei dati Eurostat e fa notare come dal 2008 a oggi sono 600.000 le richieste d’asilo degli afghani in Europa, di queste 290.000 sono state rifiutate, rimpatriando 70.000 persone. Il dato che fa più impressione sono le bambine: 21.000 sono quelle alle quali è stato rifiutato l’asilo politico. Secondo Villa quindi il 76% degli afghani ai quali è stato negato il visto è ancora in Europa, probabilmente in un limbo giuridico
Quell’allarme inascoltato
Concludendo una visita di tre giorni in Afghanistan, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, aveva lanciato un appello per un sostegno urgente e prolungato agli afghani che si trovano nel paese e ai rifugiati fuggiti all’estero.
“La situazione umanitaria in Afghanistan rimane disperata”, ha detto Grandi. Anche prima degli eventi che si sono verificati nelle ultime settimane, più di 18 milioni di afghani necessitavano di assistenza umanitaria urgente.
Oltre 3,5 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case a causa del conflitto e rimangono all’interno del paese, compresi circa 630.000 afghani che sono sfollati solo quest’anno.
“Se i servizi pubblici e l’economia collassano, la sofferenza crescerà, e con essa l’instabilità e gli spostamenti della popolazione sia all’interno che fuori dal paese”, ha avvertito Grandi.
“La comunità internazionale se vuole prevenire una crisi umanitaria ancora più grande, con implicazioni non solo regionali, ma globali deve sostenere l’Afghanistan – e deve farlo con rapidità”.
Nel corso della sua visita a Kabul, Grandi ha incontrato il governo provvisorio afghano e alcuni delle centinaia di membri del personale delle Nazioni Unite e delle Ong che sono rimasti nel paese e continuano a fornire assistenza, nonostante le difficoltà.
Dopo i suoi incontri con i ministri afghani ad interim, Grandi ha dichiarato: “Ho accolto con favore il loro impegno a fornire sicurezza e consentire l’accesso umanitario in tutto il paese. Hanno riconosciuto i bisogni e hanno ringraziato l’Onu per aver fornito aiuto agli afghani”.
“Abbiamo anche discusso altre questioni critiche come garantire che il personale femminile possa tornare al lavoro in sicurezza, l’importanza dell’istruzione per tutti i bambini afghani e la sicurezza di tutta la popolazione, incluse le minoranze”.
“Ho incoraggiato il governo provvisorio a ribadire pubblicamente questi importanti impegni e a garantire che vengano mantenuti nella pratica”, ha aggiunto.
Durante la sua visita, Grandi ha assistito all’arrivo di un convoglio di camion in un magazzino dell’Unhcr a Kabul. Giunti dal Pakistan attraverso il valico di frontiera di Torkham, i camion erano carichi di migliaia di tende e altri beni di prima necessità destinati alle famiglie afghane sfollate.
L’Unhcr quest’anno ha già fornito assistenza a più di 300.000 sfollati in Afghanistan con beni di prima necessità e un sostegno in denaro, e ora sta rapidamente ampliando le sue operazioni per poter raggiungere più persone in vista del rapido avvicinarsi dell’inverno.
A Mazar-e-Sharif, nel nord dell’Afghanistan, Grandi ha anche inaugurato un laboratorio di tappeti che impiega 45 lavoratori che a loro volta sostengono centinaia di familiari.
Mentre la situazione presente in Afghanistan non ha ancora visto un grande esodo di persone, l’Unhcr continua a fare appello ai donatori per aumentare il sostegno ai milioni di rifugiati afghani già accolti in Pakistan e Iran, e a coloro che potrebbero aver bisogno di cercare protezione internazionale in futuro.
“Il Pakistan e l’Iran hanno generosamente ospitato i rifugiati afghani per oltre 40 anni. Ora, più che mai, la comunità internazionale deve fare di più per fornire aiuto umanitario e allo sviluppo a questi rifugiati e alle comunità che li accolgono, e per aumentare le opportunità di reinsediamento degli afghani che già si trovano in questi paesi”, ha detto Grandi.
L’Alto Commissario si recherà ora in Pakistan dove terrà colloqui con funzionari del governo e esaminerà la risposta ai rifugiati nel paese.
La visita dell’Alto commissario dell’Unhcr era avvenuta in settembre. Due mesi dopo, nulla è cambiato.
Corridoi e non solo
Ma la vera emergenza continua ad essere l’evacuazione di tanti afghani, già collaboratori dei Paesi occidentali, la cui incolumità è a rischio oggi in Afghanistan nonostante il governo di Kabul abbia varato l’amnistia nei confronti di coloro che hanno lavorato con organismi stranieri. “E’ un dovere morale” al quale l’occidente deve obbedire, afferma il professor Giuseppe Valditara, docente di Diritto Romano all’Università di Torino e coordinatore di Lettera 150, l’iniziativa nata da decine di docenti universitari durante l’epidemia di Covid-19 e poi allargatasi ad altre tematiche. Lettera 150 si è fatta portavoce presso il governo italiano – afferma Valditara in un’intervista a Radio Vaticana-Vatican News – per la realizzazione di corridoi umanitari a favore di coloro che ancora non riescono a lasciare l’Afghanistan.
Sono circa 200 mila i collaboratori dei Paesi occidentali che non hanno potuto usufruire di ponti aerei. Sono persone che hanno messo a rischio la loro vita, il loro futuro in un Paese diventato per loro ostile, quindi credo che i Paesi occidentali, l’Italia in primo luogo, abbiano un dovere morale nei confronti di tutte queste persone. Ovviamente poi bisognerà essere molto attenti a non far arrivare insieme con i collaboratori, che sono rimasti in Afghanistan, anche personaggi legati, magari ad organizzazioni di tipo terroristico. Ma questo è un profilo ulteriore molto importante che non deve distogliere l’attenzione da questa necessità che ritengo sia innanzitutto di tipo morale e cioè insistere con il nuovo governo afghano perché sia possibile dare vita ad un corridoio umanitario per garantire un futuro a tutte queste persone che hanno creduto e attivamente lavorato insieme con i Paesi occidentali.
In Afghanistan ci sono 18 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria; 400mila civili, di cui la metà bambini, in fuga. Solo nel 2021 sono stati uccisi 550 bambini, mentre 3 milioni e 700mila bambini e bambine non vanno a scuola, già da prima dell’arrivo dei talebani. È partendo da questi dati che Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, lancia l’allarme sulla situazione in Afghanistan in un’intervista a Fanpage.it. La crisi, spiega, è umanitaria ed esiste da prima dell’arrivo dei talebani al potere. E la soluzione non può essere solamente quella dei corridoi umanitari, per Iacomini: “È un’azione efficace ma che non copre i numeri di un esodo”. Ora “bisogna salvare questa popolazione”, ma “il problema non si risolve per slogan”. La partita si giocherà “all’interno del Paese” e la paura è quella che i bambini siano ancora più esposti a “pratiche nefaste” come flagellazioni, costrizioni, arruolamento tra le truppe, matrimoni precoci.
Ci sono 400mila persone in fuga, la metà sono bambini: come facciamo ad assisterli? Quali sono le vie di accesso? Bisogna fare quello che non è stato fatto negli ultimi anni per Siria, Iraq, ovvero non bisogna spegnere la luce. Oggi sul bagnasciuga siamo tutti indignati, ma tra un mese in campagna elettorale parleremo ancora di Afghanistan? Il corridoio umanitario può essere la soluzione per 18 milioni di persone in fuga? Bisogna salvare questa popolazione, che negli ultimi 20 anni si è trovata in una condizione difficile, a differenza di altri scenari complessi dove ancora restano le truppe straniere, in Afghanistan non c’è stata quella osmosi con la popolazione che porta al nation building. Vanno aperte le vie di accesso interne, continuare con altre Ong il nostro lavoro, l’obiettivo è salvare vite di bambini e bambine dialogando con tutti”
Anche l’inferno respinge i profughi afghani. L’inferno in terra: Moria.
Altro che solidarietà, inclusione, vicinanza al popolo afghano. È solo a parole che i leader europei esprimono preoccupazione per la sicurezza dei profughi afghani, perché di fatto stanno voltando le spalle a migliaia di persone in fuga da guerra e violenza.
A dimostrarlo le condizioni disumane in cui vivono i migranti intrappolati nel campo di Mavrovouni a Lesbo, ribattezzato “Moria 2.0”, che per il 63% sono afghani; o la decisione presa a giugno dal Governo greco di riconoscere la Turchia come paese sicuro, con l’obiettivo di mandare indietro gli afghani, oltre che i siriani, i somali, i pakistani e i bengalesi. Famiglie spesso in fuga da guerre e persecuzioni, che avrebbero il diritto ad essere accolte in Europa come rifugiati.
È la denuncia contenuta nel nuovo rapporto diffuso ormai più di un mese fa da Oxfam e Greek Refugees Council.
Moria 2.0
“Un anno fa bruciava il campo Moria di Lesbo, quando il Commissario Ue Ylva Johansson dichiarò ‘mai più campi come questo’ Eppure per i rifugiati che stanno a Moria 2, una struttura temporanea e allestita in tutta fretta, le condizioni di vita sono tutt’ora indicibili. – rimarca Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie- Allo stesso tempo nulla è cambiato nell’impostazione dell’Unione europea e dei leader dei paesi membri sull’accoglienza di chi è in fuga in cerca di salvezza come gli afghani, ora al centro dell’attenzione internazionale, nessun passo concreto è stato fatto per garantire diritti e dignità. Al contrario, dopo la prima fase di evacuazione e il grande moto di solidarietà espresso al popolo afghano, l’unica strategia messa in atto è bloccare i flussi migratori a monte e lungo la rotta balcanica, nel tentativo di delegare a paesi terzi il controllo delle frontiere e di scaricare sui paesi al confine con l’Afghanistan, la gestione del possibile esodo che si registrerà nei prossimi mesi”.
L’immorale posizione assunta dal Governo greco con il bene-placet europeo
Il 16 agosto, il giorno dopo la caduta di Kabul, il ministro greco per le migrazioni, Notis Mitarachi, ha affermato che la Grecia non sarebbe diventata la porta di ingresso per gli afghani in Europa, in palese violazione degli obblighi internazionali che prevedono l’accoglienza di chi è in cerca di sicurezza.
“La decisione del Governo greco di bandire gli afghani dall’Europa è semplicemente immorale – aggiunge Vasilis Papastergiou, esperto legale del Greek Refugees Council – Non solo va contro il diritto internazionale ed europeo, ma impedisce alle persone di ricostruirsi una vita. Attraverso un meccanismo di manipolazione burocratica nel momento in cui vengono registrati, gli viene negato ogni aiuto. In un caso che abbiamo seguito direttamente, le autorità greche si sono rifiutate di esaminare la domanda di asilo di una famiglia afghana, nonostante lo imponesse la normativa europea, dichiarando che dovevano essere rimandate in Turchia, dove avevano trascorso solo 4 giorni. Una decisione assunta nonostante il governo turco dal 2020 rifiuti qualsiasi nuovo trasferimento dalla Grecia. Il risultato è che adesso la famiglia è bloccata a Lesbo, come altre centinaia di persone che si trovano a Moria 2.0. Tutti intrappolati in un limbo in cui i richiedenti asilo vengono usati come mera merce di scambio politico”.
Eravamo stati facili profeti. Passata l’estate, i riflettori internazionali, aveva scritto Globalist in più articoli e interviste, si sarebbero spenti sulla tragedia di un popolo abbandonato, tradito, lasciato alla mercé di un violento regime oscurantista e misogino: quello dei Talebani. Così è.